Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19212 del 08/09/2010
Cassazione civile sez. trib., 08/09/2010, (ud. 22/06/2010, dep. 08/09/2010), n.19212
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. MERONE Antonio – Presidente –
Dott. CARLEO Giovanni – Consigliere –
Dott. GIACALONE Giovanni – rel. Consigliere –
Dott. IACOBELLIS MARCELLO – Consigliere –
Dott. VIRGILIO Biagio – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ordinanza
sul ricorso 3512/2009 proposto da:
FRAMA SNC di ANTONIO FRATEA & C. in persona del socio
amministratore
e legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in
ROMA, VIA FEDERICO CONFALONIERI 5, presso lo studio dell’avvocato
MANZI Luigi, che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato
GLENDI CESARE, giusta procura speciale a margine del ricorso;
– ricorrente –
contro
AGENZIA DELLE ENTRATE in persona del Direttore pro tempore,
elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso
l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende, ope
legis;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 118/2007 della Commissione Tributaria
Regionale di GENOVA del 15.6.07, depositata il 17/12/2007;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del
22/06/2010 dal Consigliere Relatore Dott. GIOVANNI GIACALONE;
udito per la ricorrente l’Avvocato Federica Manzi (per delega avv.
Luigi Manzi) che si riporta agli scritti e chiede il rinvio del
ricorso in pubblica udienza.
E’ presente il Procuratore Generale in persona del Dott. CARLO DESTRO
che nulla osserva rispetto alla relazione scritta.
Fatto
RITENUTO IN FATTO
Nella causa indicata in premessa, ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., è stata depositata in cancelleria la seguente relazione:
“La parte contribuente propone ricorso per cassazione contro la sentenza della CTR che ha accolto l’appello dell’Ufficio contro la pronuncia di primo grado, ritenendo non documentato alcun elemento idoneo a vincere la presunzione di legge per il periodo dal 1 gennaio all’ispezione L’intimata parte erariale ha resistito con controricorso.
Il ricorso contiene quattro motivi. Può essere trattato in camera di consiglio (art. 375 c.p.c., n. 5) e respinto per manifesta inammissibilità delle censure, alla stregua delle considerazioni che seguono.
Con il primo motivo la parte privata deduce il difetto di giurisdizione del giudice tributario per effetto della sentenza della Corte costituzionale n. 130 del 2008.
Il mezzo è inammissibile. Premesso che l’efficacia retroattiva delle pronunce di illegittimità costituzionale si arresta di fronte al giudicato, anche implicito, sulla giurisdizione, sicchè, nel caso in cui la sentenza della Corte costituzionale sia intervenuta quando il giudicato in merito alla giurisdizione si era già formato, non essendo stata impugnata sul punto (eventualmente anche sollevando questione di legittimità costituzionale) la pronunzia, è inammissibile l’eccezione di giurisdizione sollevata per la prima volta in sede di legittimità (SS.UU., 24883/08; 28545/08; 8998/09;
23205/09; 24182/09), deve rilevarsi che la ricorrente nulla deduce riguardo al fatto che l’appello riguardasse anche la questione di giurisdizione.
Con il secondo motivo, sotto il profilo della violazione di legge, la parte privata si duole del fatto che sia stata ritenuta non provata la diversa decorrenza del rapporto di lavoro sulla base delle dichiarazioni rese a verbale dai lavoratori. Il terzo ed il quarto motivo deducono vizi di motivazione sulla medesima circostanza.
Con la sentenza n. 144 del 2005 la Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale del D.L. n. 12 del 2002, art. 3, comma 3, convertito nella L. n. 73 del 2002, nella parte in cui non prevede la possibilità, per il datore di lavoro, di fornire la prova che il rapporto di lavoro irregolare ha avuto inizio successivamente al 1^ gennaio dell’anno nel quale è stata elevata contestazione della violazione. Ne discende che l’onere di provare la decorrenza del rapporto (successiva al 1 gennaio) grava sul datore di lavoro, presumendosi in difetto di prova che il rapporto decorra dal 1 gennaio (e non dal giorno stesso dell’accertamento nè dal giorno dichiarato dai lavoratori come data di assunzione) La sentenza impugnata resiste alle censure proposte, avendo congruamente e correttamente apprezzato le risultanze di causa.
Di fronte a tale ricostruzione, il secondo motivo si rivela privo di pregio, in quanto, pur articolato come pretesa violazione di legge, prospetta un’inammissibile rivalutazione della ricostruzione dei fatti, congruamente e correttamente motivata dalla C.T.R. e che non si rivela ammissibile neanche se prospettata – come avviene nel terzo e nel quarto motivo – quale vizio motivazionale, dovendosi ribadire che il motivo di ricorso per cassazione con il quale la sentenza impugnata venga censurata per vizio della motivazione non può essere inteso a far valere la rispondenza della ricostruzione dei fatti operata dal giudice del merito al diverso convincimento soggettivo della parte e, in particolare, non vi si può proporre un preteso migliore e più appagante coordinamento dei molteplici dati acquisiti, atteso che tali aspetti del giudizio, interni all’ambito della discrezionalità di valutazione degli elementi di prova e dell’apprezzamento dei fatti, attengono al libero convincimento del giudice (tra le molte, v. Cass. n. 3881/2006)”.
La relazione è stata comunicata al Pubblico Ministero e notificata agli avvocati delle parti costituite.
Non sono state depositate conclusioni scritte; vi è memoria della parte privata.
Diritto
CONSIDERATO IN DIRITTO
che il Collegio, a seguito della discussione in Camera di consiglio, condivide i motivi in fatto e in diritto esposti nella relazione (non inficiati da quanto rilevato nella memoria, posto che il terzo motivo può essere trattato e respinto per le medesime ragioni esposte in ordine al secondo, essendo anch’ esso rubricato come violazione di legge, ma sostanzialmente rivolto a riproporre una rivalutazione delle risultanze di causa) e, pertanto, riaffermato il principio di diritto sopra richiamato, il ricorso deve essere rigettato; che le spese seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alle spese, che liquida in Euro 1.200,00, di cui Euro 200,00 per spese vive, oltre spese generali ed accessori di legge.
Così deciso in Roma, il 22 giugno 2010.
Depositato in Cancelleria il 8 settembre 2010