Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19212 del 02/08/2017


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Cassazione civile, sez. trib., 02/08/2017, (ud. 08/06/2017, dep.02/08/2017),  n. 19212

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAPPABIANCA Aurelio – Presidente –

Dott. GRECO Antonio – Consigliere –

Dott. TERRUSI Francesco – Consigliere –

Dott. IANNELLO Emilio – rel. Consigliere –

Dott. SPENA Francesca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 26423/2010 R.G. proposto da:

Agenzia delle entrate, rappresentata e difesa dall’Avvocatura

Generale dello Stato, con domicilio eletto in Roma, via dei

Portoghesi, n. 12, presso l’Avvocatura Generale dello Stato;

– ricorrente –

contro

T.G., rappresentato e difeso dagli Avv.ti Marcello e

Cecilia Furitano e dall’Avv. Marco Zanasi, con domicilio eletto

presso lo studio dei primi in Roma, Via Monte Zebio, n. 37;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale

dell’Emilia-Romagna, n. 63/19/09 depositata il 24 settembre 2009;

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio dell’8 giugno

2017 dal Consigliere Emilio Iannello.

Fatto

RILEVATO

che l’Agenzia delle entrate propone ricorso per cassazione, con tre mezzi, nei confronti di T.G. (che resiste con controricorso), avverso la sentenza in epigrafe con la quale la Commissione tributaria regionale dell’Emilia-Romagna ha respinto l’appello dell’Ufficio ritenendo illegittimi – conformemente alla decisione di primo grado – gli avvisi di accertamento con i quali l’Ufficio, sulla base di p.v.c. della Guardia di Finanza, aveva determinato a carico del contribuente, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 41, a fini Irpef e Irap, per gli anni 1999 e 2001, il reddito d’impresa a seguito della omessa presentazione della dichiarazione dei redditi;

che i giudici d’appello hanno sul punto affermato di condividere la decisione di primo grado, che aveva ritenuto non compiutamente motivati gli avvisi relativi ai predetti anni “in quanto fondati su circostanze genericamente evidenziate nel p.v.c. della GdF e riguardanti gli anni di imposta 2002 e 2003, non costituenti oggetto del contenzioso”, soggiungendo inoltre che “l’Agenzia non ha fornito a supporto delle proprie pretese adeguate prove tali da inficiare l’istanza integrativa L. n. 289 del 2002, ex art. 8, comma 3”;

che il controricorrente ha depositato memoria ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., comma 1.

Diritto

CONSIDERATO

che con il primo motivo la ricorrente denuncia la nullità della sentenza per violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36, dell’art. 132 c.p.c., dell’art. 118disp. att. c.p.c. e dell’art. 111 Cost., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per avere la C.T.R. motivato con rinvio meramente adesivo e acritico alla decisione dei giudici di primo grado, trascurando del tutto di vagliare le deduzioni difensive svolte dall’Ufficio appellante, così incorrendo in vizio di motivazione apparente;

che, con il secondo motivo, la ricorrente deduce in subordine, sulla base dei medesimi rilievi, insufficienza della motivazione su un fatto controverso e decisivo per il giudizio, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5;

che con il terzo motivo la ricorrente deduce poi violazione o falsa applicazione dell’art. 2967 c.c. e del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per avere la Commissione regionale posto a base della decisione l’affermazione secondo cui “l’Agenzia non ha fornito a supporto delle proprie pretese adeguate prove tali da inficiare l’istanza integrativa L. n. 289 del 2002, ex art. 8, comma 3”, omettendo di considerare che, in base alle citate disposizioni, in ipotesi, quale quella di specie, di omessa presentazione della dichiarazione, l’Ufficio può procedere ad accertamento induttivo anche utilizzando presunzioni c.d. supersemplici, a fronte delle quali incombe sul contribuente l’onere di dedurre e provare i fatti impeditivi, modificativi o distintivi della pretesa;

ritenuto che è infondata la censura – dedotta con il primo motivo di ricorso – di nullità della sentenza per mancanza di motivazione (in quanto “meramente apparente”);

che, infatti, non può dubitarsi che una motivazione esista e non sia meramente apparente, consentendo la stessa, nei termini sopra trascritti, di comprendere quale sia la ragione della decisione adottata;

che ciò vale certamente ad escludere la dedotta violazione dai doveri decisori di cui all’art. 112 c.p.c. denunciata dall’amministrazione, che si configura soltanto nell’ipotesi in cui sia mancata del tutto da parte del giudice – ovvero sia meramente apparente – ogni statuizione sulla domanda o eccezione proposta in giudizio, mentre rientra nell’ambito dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, la censura con la quale si deduca la mancata (o insufficiente o contraddittoria) valutazione di alcuni dei fatti (controversi e decisivi) posti a fondamento della domanda o della eccezione medesima (v. ex multis Cass. 07/04/2008, n. 6858);

ritenuto che è poi inammissibile, perchè generico e non autosufficiente, il secondo motivo, non essendo specificamente illustrati gli elementi di fatto che i giudici d’appello avrebbero omesso di valutare, essendosi piuttosto limitata la ricorrente a trascrivere testualmente il contenuto pressochè integrale dell’atto d’appello, contenente varie argomentazioni difensive, e poi a lamentarne la mancata confutazione da parte del giudice d’appello;

che occorre al riguardo rammentare che il vizio di omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, deve essere dedotto mediante esposizione chiara e sintetica del fatto controverso – in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria – ovvero delle ragioni per le quali l’insufficienza rende inidonea la motivazione a giustificare la decisione, fornendo elementi in ordine al carattere decisivo di tali fatti, che non devono attenere a mere questioni o punti (v. ex multis Cass. n. 16655 del 2011);

che tanto meno può ritenersi tale onere soddisfatto dalla mera trascrizione, da un lato, dell’atto d’appello, per ampi testuali stralci, e degli avvisi di accertamento; dall’altro, dell’analoga testuale trascrizione della motivazione della sentenza impugnata: tecnica redazionale che, inammissibilmente, lascia allo stesso giudice di legittimità di dover ricavare, dalla lettura stessa degli atti di causa, quali elementi esattamente, in grado di assumere rilievo decisivo, non sarebbero stati valutati;

che è poi infondato anche il terzo motivo, non essendo ravvisabile nella decisione impugnata l’applicazione di una regula iuris difforme o in contrasto con le norme invocate;

che, invero, il principio invocato dalla ricorrente – secondo cui, in caso di accertamento d’ufficio (art. 41 D.P.R. cit.), l’Ufficio determina il reddito complessivo del contribuente sulla base dei dati e delle notizie comunque raccolti o venuti a sua conoscenza, con facoltà dunque di ricorso a presunzioni c.d. supersemplici, anche prive, cioè, dei requisiti di gravità, precisione e concordanza, che comportano l’inversione dell’onere della prova a carico del contribuente (v. Cass. 13/02/2006, n. 3115; Cass. 18/06/2003, n. 9755; Cass. 02/12/2002, n. 17016) – richiede pur sempre, infatti, che l’Ufficio alleghi e dia dimostrazione degli elementi (ossia dei suddetti “dati e notizie comunque raccolti”) che, quale fatto noto e sia pure alla stregua di un ragionamento presuntivo attenuato, non dotato cioè dei requisiti di gravità, precisione e concordanza altrimenti richiesti, possa far risalire al fatto ignoto (reddito imponibile) posto a base dell’accertamento;

che la sentenza impugnata, come detto, esprime invece una radicale negazione al riguardo, circa la sussistenza cioè di alcun elemento, sia pur di tal genere, idoneo a giustificare l’imposizione;

che, in ragione delle considerazioni che precedono, deve in definitiva pervenirsi al rigetto del ricorso, con la conseguente condanna dell’amministrazione ricorrente al pagamento delle spese processuali, liquidate come da dispositivo.

PQM

 

rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento, in favore del controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 1.800 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento ed agli accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 8 giugno 2017.

Depositato in Cancelleria il 2 agosto 2017

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