Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19210 del 02/08/2017


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Cassazione civile, sez. trib., 02/08/2017, (ud. 08/06/2017, dep.02/08/2017),  n. 19210

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAPPABIANCA Aurelio – Presidente –

Dott. GRECO Antonio – Consigliere –

Dott. TERRUSI Francesco – rel. Consigliere –

Dott. IANNELLO Emilio – Consigliere –

Dott. SPENA Francesca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 10490-2012 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

D.S.F., elettivamente domiciliato in ROMA VIA APPIA

NUOVA 37/A, presso lo studio dell’avvocato ANTONIO CANINI, che lo

rappresenta e difende;

– resistente con atto di costituzione –

avverso la sentenza n. 61/2011 della COMM.TRIB.REG. di ROMA,

depositata il 10/03/2011;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

08/06/2017 dal Consigliere Dott. FRANCESCO TERRUSI.

Fatto

RILEVATO

che:

con sentenza in data 10-3-2011, la commissione tributaria regionale del Lazio dichiarava inammissibile l’appello proposto dall’agenzia delle entrate avverso la sentenza con la quale la commissione tributaria provinciale di Roma aveva accolto un ricorso di D.S.F. nei confronti del silenzio-rifiuto formatosi su una sua istanza di rimborso dell’Irap corrisposta nell’anno 2000;

propone ricorso per cassazione l’agenzia delle entrate, deducendo, in unico motivo, la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 53, comma 1, non potendosi affermare che il gravame fosse stato caratterizzato da incertezza assoluta degli elementi indicati dalla norma;

l’intimato ha depositato una memoria di costituzione e deposito di procura speciale al solo asserito fine di partecipare alla discussione della causa; la quale peraltro è stata avviata alla trattazione camerale.

Diritto

CONSIDERATO

che:

l’impugnata sentenza ha così testualmente motivato la declaratoria di inammissibilità dell’appello: “quanto sostenuto sia nella pagina 2 dell’atto di appello (errata indicazione del nominativo del contribuente, degli anni d’imposta (1998 e 1999), della decisione di primo grado e di quella d’appello), sia nella successiva pagina 3 (errata indicazione dell’attività professionale svolta dal contribuente e quanto esposto in ordine alla sussistenza del presupposto d’imposta) e con i riferimenti ad altra parti dell’atto, evidenzia l’assoluta approssimazione e incongruenza con la quale è stato redatto l’atto incidendo, di certo, negativamente sull’ammissibilità del richiesto riesame”;

l’argomentazione è in verità essa approssimativa e incongruente, in quanto il diretto esame dell’atto di appello, consentito alla Corte essendo stato dedotto un vizio in procedendo, rende palese che, seppur con gli errori rivenienti alle pag. 2 e 3, l’atto conteneva, nella prima pagina, l’esatto riferimento al contribuente D.S., al suo ricorso (r.g. 3496/07), alla sua domiciliazione, all’ambito di attività esercitato (dottore commercialista) e alla sentenza impugnata (la n. 23-41-09 della commissione tributaria provinciale di Roma, depositata il 20-1-2009); inoltre, alle pag. da 4 a 7, erano stati riportati gli elementi ritenuti sintomatici dell’organizzazione specifica dell’attività svolta dal predetto, risultanti dalla dichiarazione mod. unico 2001;

il ricorso è allora fondato;

infatti, in base al D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 53, l’appello deve contenere l’indicazione della commissione tributaria a cui è diretto, dell’appellante e delle altre parti nei cui confronti è proposto, gli estremi della sentenza impugnata, l’esposizione sommaria dei fatti, l’oggetto della domanda e i motivi specifici dell’impugnazione;

vero è che l’appello è inammissibile se manca o è assolutamente incerto uno degli elementi sopra indicati; ma non è men vero che la discordanza tra gli estremi della sentenza appellata come precisati nell’atto di impugnazione e i corrispondenti dati identificativi della pronuncia prodotta in copia autentica dell’appellante non è di per sè significativa, potendo essere conseguenza di un mero errore materiale; soprattutto tale situazione non comporta incertezza nell’oggetto del giudizio, qualora la corrispondenza tra la sentenza depositata e quella nei cui confronti è rivolta l’impugnazione sia confermata da una verifica della congruenza tra contenuto della sentenza in atti e motivi dell’appello (v. Cass. n. 2588-16; Cass. n. 1935-12; Cass. n. 16921-07);

l’affermazione costituisce espressione di un principio generale estensibile a tutte le situazione contemplate nell’art. 53, comma 1, cit., in quanto le cause di inammissibilità devono essere interpretate in senso restrittivo, e cioè riservando loro un limitato campo di operatività, comprensivo di quei soli casi nei quali il rigore estremo è davvero giustificato, tenendo presente l’insegnamento fornito dalla Corte costituzionale secondo il quale le disposizioni processuali tributarie devono essere lette in modo da tutelare le parti in posizione di parità e da “evitare irragionevoli sanzioni di inammissibilità” (v. C. cost. n. 189-00 e n. 520-02); alla luce dei citati insegnamenti l’impugnata sentenza va cassata; segue il rinvio alla medesima commissione tributaria regionale, diversa sezione, ai fini della decisione sul merito del gravame; la commissione provvederà anche sulle spese del giudizio svoltosi in questa sede di legittimità.

PQM

 

La Corte accoglie il ricorso, cassa l’impugnata sentenza e rinvia, anche per le spese del giudizio di cassazione, alla commissione tributaria regionale del Lazio.

Così deciso in Roma, su relazione del cons. Terrusi (est.), il 8 giugno 2017.

Depositato in Cancelleria il 2 agosto 2017

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