Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19209 del 15/09/2020

Cassazione civile sez. I, 15/09/2020, (ud. 23/06/2020, dep. 15/09/2020), n.19209

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GENOVESE Francesco – Presidente –

Dott. MELONI Marina – rel. Consigliere –

Dott. FERRO Massimo – Consigliere –

Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –

Dott. DOLMETTA Aldo Angelo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 18402/2018 proposto da:

S.M., elettivamente domiciliato in ROMA, Via della

Giuliana 32, presso lo studio dell’Avv.to Antonio Gregorace, che lo

rappresenta e difende, giusta procura speciale in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO elettivamente domiciliato in Roma Via dei

Portoghesi 12 presso l’Avvocatura Generale dello Stato;

– controricorrente –

avverso IL DECRETO n. 6627/2018 del TRIBUNALE DI ROMA, pubblicato il

10/5/2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio non

partecipata del 23/6/2020 dal Consigliere Dott.ssa Marina Meloni.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

Il Tribunale di Roma sezione specializzata per la protezione internazionale, con decreto in data 10/5/2018, ha confermato il provvedimento di rigetto pronunciato dalla Commissione Territoriale per il riconoscimento della Protezione Internazionale di Roma in ordine alle istanze avanzate da S.M. nato in (OMISSIS), volte, in via gradata, ad ottenere il riconoscimento dello status di rifugiato, il riconoscimento del diritto alla protezione sussidiaria ed il riconoscimento del diritto alla protezione umanitaria.

Il richiedente asilo proveniente dallo Stato del Gambia aveva riferito alla Commissione Territoriale per il riconoscimento della Protezione Internazionale di Roma di essere fuggito dal proprio paese in quanto temeva la vendetta della popolazione locale nonchè il processo a causa di una violenta lite con il secondo marito della madre il quale era caduto durante la colluttazione e si era rotto il ginocchio.

Il Tribunale di Roma in particolare ha escluso le condizioni previste per il riconoscimento del diritto al rifugio D.Lgs. n. 251 del 2007, ex artt. 7 e 8, ed i presupposti richiesti dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, per la concessione della protezione sussidiaria, non emergendo elementi idonei a dimostrare che il ricorrente potesse essere sottoposto nel paese di origine a pena capitale, tortura o a trattamenti inumani o degradanti. Nel contempo il collegio di merito riteneva non attendibile la vicenda e negava il ricorrere di uno stato di violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale nonchè una situazione di elevata vulnerabilità individuale.

Avverso il decreto del Tribunale di Roma il ricorrente ha proposto ricorso per cassazione affidato a cinque motivi. Il Ministero dell’Interno si è costituito con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo di ricorso il ricorrente denuncia omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio in relazione alla mancata traduzione del provvedimento di rigetto in relazione al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 2 e art. 13, comma 7, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Con il secondo motivo di ricorso il ricorrente denuncia omesso esame delle dichiarazioni rese dal ricorrente alla Commissione Territoriale, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, perchè il Tribunale ha ritenuto non attendibili le dichiarazioni del ricorrente in ordine alla situazione di pericolo nello stato di provenienza nonostante le notizie attestate da numerosi siti online.

Con il terzo motivo di ricorso il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione del D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, artt. 7 e 14, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in quanto il Tribunale ha escluso i presupposti per il riconoscimento della protezione sussidiaria nonostante le condizioni sociopolitiche del paese di origine.

Con il quarto motivo di ricorso il ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, lett. c), in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in quanto il Tribunale, nonostante la situazione di vulnerabilità e le violenze subite dal ricorrente, non ha riconosciuto il diritto alla protezione umanitaria.

Con il quinto motivo di ricorso il ricorrente denuncia illegittimità costituzionale, in materia di controversie di protezione internazionale, del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 35 bis, comma 13, modificato dal D.L. 17 febbraio 2017, n. 13, art. 6, per violazione degli artt. 3, 24,111, 113 Cost., rispettivamente in riferimento alla previsione del rito camerale ex artt. 737 c.p.c. e segg., ed al termine di impugnabilità del decreto solo in Cassazione entro 30 giorni dalla comunicazione a cura della cancelleria del decreto di primo grado.

Il primo motivo di ricorso è infondato. Infatti in riferimento al diritto alla traduzione nella lingua nota del provvedimento giurisdizionale decisorio Cass.Sez. 1 -, Ordinanza n. 23760 del 24/09/2019 ha affermato che: In tema di protezione internazionale, il D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 10, comma 5, non può essere interpretato nel senso di prevedere fra le misure di garanzia a favore del richiedente anche la traduzione nella lingua nota del provvedimento giurisdizionale decisorio che definisce le singole fasi del giudizio, in quanto la norma prevede la garanzia linguistica solo nell’ambito endo-procedimentale e inoltre il richiedente partecipa al giudizio con il ministero e l’assistenza tecnica di un difensore abilitato, in grado di comprendere e spiegargli la portata e le conseguenze delle pronunce giurisdizionali che lo riguardano.

Gli ulteriori motivi di ricorso sono inammissibili.

I motivi di ricorso, contengono in realtà una serie di critiche agli accertamenti in fatto espressi nella motivazione del Tribunale territoriale che, come tali, si palesano inammissibili, in quanto diretti a sollecitare un riesame delle valutazioni riservate al giudice del merito, che del resto ha ampiamente e rettamente motivato la statuizione impugnata, esponendo le ragioni del proprio convincimento circa l’intrinseca inattendibilità del racconto del ricorrente.

La parte non può, invero, rimettere in discussione, proponendo una propria diversa interpretazione, la valutazione delle risultanze processuali e la ricostruzione della fattispecie operate dai giudici del merito poichè la revisione degli accertamenti di fatto compiuti da questi ultimi è preclusa in sede di legittimità (Cass., 07/12/2017, n. 29404; Cass., 04/08/2017, n. 19547; Cass., 02/08/2016, n. 16056). Il mezzo in esame contiene, per contro, censure di merito, cumulativamente riferite alle varie forme di protezione, e volte ad ottenere una rivisitazione, in senso favorevole all’istante, delle circostanze di fatto già considerate dal giudice.

Il Tribunale di Roma ha confermato il provvedimento della Commissione Territoriale ritenendo non credibili le affermazioni del ricorrente in quanto incoerenti, inattendibili ed inverosimili, comunque relative ad un fatto familiare che non giustificava la richiesta di protezione internazionale. La censura si risolve in una generica critica del ragionamento logico posto dal giudice di merito a base dell’interpretazione degli elementi probatori del processo e, in sostanza, nella richiesta di una diversa valutazione degli stessi, ipotesi integrante un vizio motivazionale non più proponibile in seguito alla modifica dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, apportata dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54, convertito in L. n. 134 del 2012 (v. Cass., sez. un., n. 8053/2014).

In ordine al dovere di cooperazione istruttoria officiosa, così come previsto dal D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, per accertare la situazione oggettiva relativa al Paese di origine occorre considerare che il giudice territoriale non è venuto meno al dovere di cooperazione istruttoria in quanto pur avendo ritenuto, a monte, che i fatti lamentati non costituiscano un ostacolo al rimpatrio nè integrino un’esposizione seria alla lesione dei diritti fondamentali della persona ha comunque indagato verificando, sulla base del rapporto internazionale indicato in motivazione e citando le fonti di informazione, che la situazioni della Nigeria in generale e quella della zona di provenienza del ricorrente non comportano il rischio di un danno grave derivante da violenza indiscriminata.

In riferimento ai presupposti per la concessione della protezione sussidiaria il Giudice ha correttamente ritenuto con motivazione coerente ed esaustiva che l’assenza di situazioni di violenza generalizzata ed indiscriminata e conflitto armato interno o internazionale nel paese d’origine ed in particolare nella zona di provenienza del ricorrente escludano il diritto alla protezione sussidiaria.

In ordine alla verifica delle condizioni per il riconoscimento della protezione umanitaria il motivo si rileva inammissibile in quanto censura l’accertamento di merito compiuto dal Tribunale in ordine alla insussistenza di una particolare situazione di vulnerabilità del ricorrente. Del tutto generica, comunque si mostra la doglianza avverso il diniego di protezione umanitaria: il ricorrente invero, a fronte della valutazione espressa con esaustiva indagine officiosa del Tribunale di merito (in sè evidentemente non rivalutabile in questa sede) circa la insussistenza nella specie di situazioni di vulnerabilità non ha neppure indicato se e quali ragioni di vulnerabilità avesse allegato, diverse da quelle esaminate nel provvedimento impugnato.

Infine con il quinto motivo di ricorso in via pregiudiziale il ricorrente solleva una questione di legittimità costituzionale sulla quale questa Corte ha già avuto modo di pronunciarsi in analoghi giudizi, ritenendola irrilevante e manifestamente infondata, con sentenza sez. 1 n. 17717 del 27/6/2018 e n. 27700 del 30/10/2018 pienamente condivisa da questo Collegio e dalle quali non vi è motivo per discostarsi.

Per quanto sopra il ricorso deve essere rigettato con condanna alle spese a favore del controricorrente liquidate come in dispositivo. Infine deve darsi atto che sussistono nella specie i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente stesso, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso per cassazione, a norma del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater.

PQM

Rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali in favore del Ministero dell’Interno che si liquidano in Euro 2.100,00 oltre spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, ricorrono i presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima della Corte di Cassazione, il 23 giugno 2020.

Depositato in Cancelleria il 15 settembre 2020

 

 

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