Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19205 del 19/08/2013


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Civile Sent. Sez. L Num. 19205 Anno 2013
Presidente: MAISANO GIULIO
Relatore: MAISANO GIULIO

SENTENZA

sul ricorso 23058-2011 proposto da:
LOPEZ NAKIA CRISTINA LPZNCR80D61E379S, elettivamente
domiciliata in ROMA, VIA B RICASOLI 7, presso lo
studio degli avvocati MUGGIA STEFANO e MUGGIA ROBERTO,
che la rappresentano e difendono unitamente
all’avvocato BISACCA SIMONE, giusta delega in atti;
– ricorrente –

2013
2063

contro

CASSA DI RISPARMIO DI ASTI S.P.A. 000060550050, in
persona del legale rappresentante pro tempore,
elettivamente domiciliata in ROMA, VIA ALFREDO FUSCO

Data pubblicazione: 19/08/2013

104, presso lo studio dell’avvocato CAIAFA ANTONIO,
che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato
ROLANDO BARBARA, giusta delega in atti;
– controricorrente

avverso la sentenza n. 564/2011 della CORTE D’APPELLO

udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 11/06/2013 dal Consigliere Dott. GIULIO
MAISANO;
udito l’Avvocato MUGGIA ROBERTO;
udito l’Avvocato CAIAFA ANTONIO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. GIANFRANCO SERVELLO, che ha concluso
per il rigetto del ricorso.

di TORINO, depositata il 11/07/201 R.G.N. 875/2010;

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con sentenza dell’ l l luglio 2011 la Corte d’appello di Torino ha
confermato la sentenza del Tribunale di Torino del 22 febbraio 2010 con la
quale è stata rigettata la domanda di Lopez Nalcia Cristina intesa ad
ottenere la dichiarazione di illegittimità di due sanzioni disciplinari

qualità di cassiera presso la filiale di Lauriano Po, e consistenti nella
sospensione dal lavoro e dalla retribuzione per la durata di giorni 10 per
avere operato due addebiti su un conto corrente su richiesta di un soggetto
non autorizzato ad operare su quel conto, e nel licenziamento per giusta
causa per avere autorizzato un’operazione di prelievo senza controllare
l’identità del cliente, ed intesa ad ottenere il risarcimento per la subita
forzosa modifica del trattamento pattuito all’atto di conclusione di un
mutuo con la banca convenuta. La Corte territoriale ha motivato tale
pronuncia ritenendo legittimo il ricorso ai poteri istruttori d’ufficio operato
dal giudice di primo grado, ed ha ritenuto provato il comportamento
contestato alla Lopez sulla base delle deposizioni testimoniali assunte, e
della documentazione acquisita anche d’ufficio; ha ritenuto irrilevante il
differente trattamento riservato ad altri dipendenti per ammanchi di cassa,
ed ha ritenuto conforme alla previsione contrattuale anche la modifica
unilaterale delle condizioni di mutuo concesso a dipendente cessato per

irrogatele dalla Cassa di Risparmio di Asti istituto di cui era dipendente in

motivi disciplinari.
La Lopez propone ricorso per cassazione avverso tale sentenza articolato
su otto motivi.
Resiste con controricorso la Cassa di Risparmio di Asti.
La ricorrente ha presentato memoria.
MOTIVI DELLA DECISIONE

A

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Con il primo motivo si lamenta violazione e falsa applicazione di legge con
riferimento all’art. 360, n. 3 cod. proc. civ. in relazione agli artt. 210, 421 e
416 cod. proc. civ. In particolare si censura l’asserito superamento dei
limiti di cui all’art. 421 cod. proc. civ. relativi ai poteri istruttori d’ufficio
per disporre l’acquisizione di ulteriore documentazione.

360, n. 5 cod. proc. civ. in relazione alle acquisizioni ex art. 210 cod. proc.
civ. con specifico riferimento all’ordine alla parte convenuta di deposito
degli specimen di firma anche di delega relativi al conto sul quale sono stati
effettuati addebiti senza autorizzazione.
Con il terzo motivo si assume violazione e falsa applicazione di legge ex
art. 360, n. 3 cod. proc. civ. in relazione all’art. 5 della legge n. 604 del
1966. In particolare si deduce che con il suddetto abuso dei poteri istruttori
d’ufficio sarebbe stato vanificato il principio per cui incombe sul datore di
lavoro l’onere di provare la sussistenza degli elementi legittimanti il
licenziamento.
Con il quarto motivo si lamenta, con riferimento al merito della vicenda,
violazione e falsa applicazione di legge ex art. 360, n. 3 cod. proc. civ. in
relazione all’art. 7 della legge 300 del 1970; omessa, contraddittoria e
illogica motivazione ex art. 360, n. 5 cod. proc. civ.; illegittimità della
sanzione della sospensione di dieci giorni dal lavoro e dalla retribuzione in
data 6 luglio 2007. In particolare si assume che la decisione con cui è stata
dichiarata la legittimità della sanzione si fonderebbe su prove
illegittimamente acquisite con il suddetto abuso dei poteri istruttori
d’ufficio.
Con il quinto motivo si lamenta violazione e falsa applicazione di legge ex
art. 360, n. 3 cod. proc. civ. in relazione all’art. 7 della legge n. 300 del
1970 e all’art. 2119 cod. civ.; illegittimità del li licenziamento per giusta

Con il secondo motivo si deduce omessa, insufficiente motivazione ex art.

causa. In particolare si deduce che la Cassa di Risparmio di Asti, in sede di
costituzione, si era limitata a produrre la cedola di prelievo non autorizzato
sul conto corrente del sig. Baldan Tarcisio e due comunicazioni di tipo
informativo, mentre la decisione impugnata si è fondata sugli originali dei
documenti e sulla dichiarazione del titolare del conto corrente in esame,

Con il sesto motivo si lamenta omessa, insufficiente e contraddittoria
motivazione ex art. 360, n. 5 cod. proc. civ. in relazione a fatti controversi e
decisivi. In particolare si assume che non si sarebbe tenuto conto della
circostanza per cui la lavoratrice conosceva personalmente il titolare del
conto corrente in questione, cliente della banca da molti anni, ed era
consuetudine omettere l’identificazione a mezzo documento di identità in
caso di conoscenza personale.
Con il settimo motivo si deduce violazione e falsa applicazione di legge ex
art. 360, n. 3 cod. proc. civ. in relazione all’art. 1455 cod. civ. lamentandosi
la violazione del principio di proporzionalità tra illecito disciplinare e
sanzione.
Con l’ottavo motivo si assume omessa, insufficiente, contraddittoria
motivazione ex art. 360, n. 6 cod. proc. civ. in relaziona al tasso di interesse
sul mutuo della lavoratrice, deducendosi, in particolare, che, per la sua
variazione, sarebbe stato necessario l’incontro delle due volontà.
I primi quattro motivi possono esaminarsi congiuntamente riferendosi tutti
all’esercizio del potere istruttorio d’ufficio del giudice di merito che,
secondo la ricorrente, avrebbe consentito l’illegittima inversione dell’onere
della prova a carico del datore di lavoro sulla sussistenza dei presupposti
legittimanti le sanzioni disciplinari in questione. I motivi sono infondati. La
Corte di Cassazione ha costantemente affermato che il potere istruttorio
d’ufficio del giudice di cui all’art. 421 cod. proc. civ. (e, in appello, previsto

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prove dalle quali la cassa di Risparmio di Asti era decaduta.

dall’art. 437, comma secondo cod. proc. civ.), può superare la preclusione
(riguardante sia le prove costituende che quelle precostituite) nel caso in
cui il giudice del rito del lavoro, sulla base di un potere discrezionale, non
valutabile in sede di legittimità, ritenga tali mezzi di prova, non indicati
dalle parti tempestivamente, comunque ammissibili perché rilevanti ed

va ribadito anche in questa sede che nel rito del lavoro, l’esercizio dei poteri
istruttori d’ufficio, nell’ambito del contemperamento del principio
dispositivo con quello della ricerca della verità, involge un giudizio di
opportunità rimesso ad un apprezzamento meramente discrezionale, che
può essere sottoposto al sindacato di legittimità soltanto come vizio di
motivazione, ai sensi del n. 5 dell’art. 360 cod. proc. civ., qualora la
sentenza di merito non adduca un’adeguata spiegazione del suo ricorso. È
carattere tipico del rito del lavoro il contemperamento del principio
dispositivo con le esigenze della ricerca della verità materiale, di guisa che,
allorquando le risultanze di causa offrano significativi dati di indagine, il
giudice ove reputi insufficienti le prove già acquisite non può limitarsi a
fare meccanica applicazione della regola formale di giudizio fondata
sull’onere della prova, ma ha il potere-dovere di provvedere d’ufficio agli
atti istruttori sollecitati da tale materiale ed idonei a superare l’incertezza
dei fatti costitutivi dei diritti in contestazione, indipendentemente dal
verificarsi di preclusioni o di decadenze in danno delle parti (per tutte Cass.
24 ottobre 2007 n. 22305). Nel caso in esame la corte ha esaurientemente
motivato in modo logico e compiuto il ricorso a tali mezzi istruttori che,
d’altra parte, sono stati disposti per l’accertamento dei fatti, astrattamente
anche nell’interesse della lavoratrice al fine di verificare la fondatezza delle
sue tesi difensive.
Anche il quinto motivo con il quale si lamenta che la Corte d’appello
avrebbe fondato la propria pronuncia su elementi diversi da quelli addotti

indispensabili ai fini della decisione nel giudizio di secondo grado. Per cui

dalla contro ricorrente in sede di costituzione in appello è infondato sulla
base di quanto esposto sopra riguardo al ricorso ai mezzi istruttori d’ufficio
che prescindono dalle indicazioni probatorie delle parti o dalla loro
eventuale decadenza.
Il sesto motivo riguarda la valutazione di una circostanza di fatto non

congruamente e logicamente motivata. La dedotta prassi di evitare
l’identificazione formale del cliente se questo è conosciuto personalmente
dal dipendente, è un’evidente circostanza liberamente valutabile dal giudice
di merito e tale valutazione, o omessa valutazione, non è rivisitabile in
questa sede.
Il settimo motivo, avente ad oggetto il giudizio di proporzionalità della
sanzione, è pure infondato in quanto, come pure costantemente affermato
da questa Corte, in tema di verifica giudiziale della correttezza del
procedimento disciplinare, il giudizio di proporzionalità tra violazione
contestata e provvedimento adottato si sostanzia nella valutazione della
gravità dell’inadempimento del lavoratore e dell’adeguatezza della
sanzione, tutte questioni di merito che ove risolte dal giudice di appello con
apprezzamento in fatto adeguatamente giustificato con motivazione
esauriente e completa, si sottraggono al riesame in sede di legittimità (ex
plurimis Cass. 7 aprile 2011 n. 7948).
L’ottavo motivo è anche infondato in quanto la Banca contro ricorrente,
nel revocare le condizioni di favore relative al muto della dipendente, ha
fatto corretta applicazione dell’art. 8 del proprio Regolamento in materia
accettato dalla dipendente, e che disciplina un trattamento di favore di cui il
dipendente non avrebbe altrimenti diritto, per cui è stata legittimamente
applicato il tasso di mutuo applicato generalmente a tutti i clienti.
Le spese di giudizio, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza.

censurabile in sede di legittimità se, come nel caso in esame, è

P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso;
Condanna il ricorrente al pagamento delle spese di giudizio liquidate in €
50,00 per esborsi ed € 3.000,00 per compensi professionali oltre accessori
di legge.

Così deciso in Roma l’ 11 giugno 2013.

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