Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19201 del 19/08/2013


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Civile Sent. Sez. L Num. 19201 Anno 2013
Presidente: LAMORGESE ANTONIO
Relatore: LAMORGESE ANTONIO

SENTENZA
sul ricorso 18790-2008 proposto da:
POSTE ITALIANE S.P.A. 97103880585, in persona del
legale rappresentante pro tempore, elettivamente
domiciliata in ROMA, VIA PO 25/B, presso lo studio
dell’avvocato PESSI ROBERTO, che la rappresenta e
difende giusta delega in atti;
– ricorrente –

2013
2012

contro

CECCHINI ALESSANDRO, elettivamente domiciliato in
ROMA, PIAZZA TARQUINIA 5/D, (STUDIO AVVOCATO FALLA
TRELLA MARIA LUISA) presso lo studio degli avvocati

Data pubblicazione: 19/08/2013

RIOMMI MAURIZIO e MICHELI CARLO che lo rappresentano
e difendono, giusta delega in atti;

controricorrente

avverso la sentenza n. 103/2008 della CORTE D’APPELLO
di PERUGIA, depositata il 23/02/2008 R.G.N. 354/2006;

udienza del 06/06/2013 dal Presidente e Relatore
Dott. ANTONIO LAMORGESE;
udito l’Avvocato BONFRATE FRANCESCA per delega.PESSI
ROBERTO;
udito l’Avvocato RIOMMI MAURIZIO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. GIANFRANCO SERVELLO che ha concluso
per il rigetto del ricorso.

udita la relazione della causa svolta nella pubblica

Svolgimento del processo
Con sentenza depositata il 23 febbraio 2008 la Corte d’appello di
Perugia ha rigettato l’impugnazione di Poste Italiane s.p.a. avverso la
decisione di primo grado, che nella controversia promossa nei suoi confronti
da Alessandro Cecchini, aveva dichiarato la nullità del termine apposto al

contratto di lavoro intercorso con costui per il periodo dal 25 giugno al 30
ottobre 1999 e, affermata la conversione del rapporto in quello a tempo
indeterminato, aveva condannato la società a versare al lavoratore le
retribuzioni maturate a far data dal 23 gennaio 2003.
Per la cassazione di tale sentenza Poste Italiane ha proposto ricorso
con tre motivi, cui l’intimato ha resistito con controricorso.
La società ha depositato memoria.
Il Collegio ha autorizzato la motivazione della sentenza in forma
semplificata.
Motivi della decisione
La sentenza impugnata, dopo avere accertato che il contratto di
lavoro in questione, relativo al periodo dal 25 giugno al 30 ottobre 1999, era
stato stipulato ai sensi dell’art. 8 =l 26 novembre 1994 e successivi
accordi integrativi, per

esigenze eccezionali conseguenti alla fase di

ristrutturazione e di rimodulazione degli assetti occupazionali in corso, quale
condizione per la trasformazione della natura giuridica dell’Ente ed in ragione
della graduale introduzione di nuovi processi produttivi, di sperimentazione di
nuovi servizi ed in attesa dell’attuazione del progressivo e completo equilibrio

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sul territorio delle risorse umane, ha ritenuto l’illegittimità del termine, in
quanto il contratto era stato concluso dopo il 30 aprile 1998.
Ciò premesso, con il primo motivo di ricorso Poste Italiane censura la
sentenza impugnata per non essersi pronunciata sull’eccepita risoluzione
del contratto per mutuo consenso, omettendo di considerare l’inerzia

mantenuta dal lavoratore dopo la scadenza del contratto a termine nonché
la circostanza che questi si era ricevuto il trattamento di fine rapporto, e la
possibilità che lo stesso avesse continuato a lavorare con altri datori di
lavoro.
Il motivo è inammissibile. Si tratta infatti di questione che non risulta
trattata dalla sentenza impugnata e che per la sua soluzione implica
accertamenti di fatti non compiuti dal giudice di merito perché non
richiesti. In proposito la giurisprudenza di questa Corte ha più volte
sottolineato che in tali ipotesi il ricorrente che proponga una siffatta
questione in sede di legittimità ha l’onere, al fine di evitare una statuizione
di inammissibilità per novità della censura, non solo di allegare l’avvenuta
deduzione della questione innanzi al giudice di merito, ma anche di indicare
in quale atto del giudizio precedente lo abbia fatto, onde dar modo alla
Corte di Cassazione di controllare ex actis la veridicità di tale asserzione
prima di esaminare nel merito la questione stessa (cfr. fra le tante Cass. 28
luglio 2008 n. 20518).
Qui Poste Italiane, dopo aver affermato che la risoluzione per mutuo
consenso non costituisce eccezione in senso proprio, ma rappresenta un
fatto estintivo che può essere accertato anche d’ufficio, ha addebitato alla

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Corte distrettuale di non essersi pronunciata sul punto “nonostante tale
elemento sia stato tempestivamente sollevato da (quella) difesa”.
Così argomentando la ricorrente non ha però adempiuto all’onere,
che ad essa faceva carico, di puntualizzare in quale atto del giudizio aveva
sollevato la questione.

Il secondo motivo, nel denunciare violazione e falsa applicazione
degli artt. 1362, 1363 e ss., nonché vizi di motivazione, censura la sentenza
impugnata nella parte in cui il giudice del gravame ha ritenuto di
interpretare gli accordi successivi a quello integrativo del 25 settembre
1997 nel senso dell’apposizione di un termine di validità ed efficacia
temporale fino al 30 aprile 1998, senza considerare i principi che regolano il
rapporto tra legge e contratto collettivo, così come delineato dall’art. 23 della
legge 28 febbraio 1987 n. 56.
Il motivo è infondato. Vanno qui richiamate le argomentazioni svolte
in numerose altre decisioni intervenute in materia di assunzione a tempo
determinato di dipendenti postali e con riferimento al sistema vigente
anteriormente al ccnl del 2001 ed al D.Lgs. 6 settembre 2001 n. 368,
proprio per l’ipotesi di contratto a termine innanzi trascritta, individuata
dalla parti collettive con l’accordo 25 settembre 1997 ad integrazione
dell’art. 8 del citato contratto collettivo del 1994.
Al riguardo, sulla scia di Cass. sez. unite 2 marzo 2006 n. 4588, è
stato precisato che l’attribuzione alla contrattazione collettiva, ex art. 23
legge 28 febbraio 1987 n. 56, del potere di definire nuove ipotesi di
assunzione a termine rispetto a quelle previste dalla legge 18 aprile 1962 n.

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230, discende dall’intento del legislatore di considerare l’esame congiunto
delle parti sociali sulle necessità del mercato del lavoro idonea garanzia per
i lavoratori ed efficace salvaguardia per i loro diritti (con l’unico limite della
predeterminazione della percentuale di lavoratori da assumere a termine

rispetto a quelli impiegati a tempo indeterminato) e prescinde, pertanto,
dalla necessità di individuare ipotesi specifiche di collegamento fra contratti
ed esigenze aziendali o di riferirsi a condizioni oggettive di lavoro o
soggettive dei lavoratori ovvero di fissare contrattualmente limiti temporali
all’autorizzazione data al datore di lavoro di procedere ad assunzioni a
tempo determinato (v. Cass. 4 agosto 2008 n. 21063 ed altre precedenti).
“Ne risulta, quindi, una sorta di delega in bianco a favore dei contratti
collettivi e dei sindacati che ne sono destinatari, non essendo questi
vincolati alla individuazione di ipotesi comunque omologhe a quelle previste
dalla legge, ma dovendo operare sul medesimo piano della disciplina
generale in materia ed inserendosi nel sistema da questa delineato” (v., fra
le altre, Cass. 4 agosto 2008 n. 21062, Cass. 23 agosto 2006 n. 18378).
In tale quadro, ove però, come nel caso di specie, un limite temporale sia
stato previsto dalle parti collettive (anche con accordi integrativi del
contratto collettivo) la sua inosservanza determina la nullità della clausola
di apposizione del termine (v. fra le altre Cass. 23 agosto 2006 n. 18383,
Cass. 14 aprile 2005 n. 7745, Cass. 14 febbraio 2004 n. 2866).
In particolare, quindi, come questa Corte ha costantemente affermato
e come va anche qui ribadito, “in materia di assunzioni a termine di
dipendenti postali, con l’accordo sindacale del 25 settembre 1997,

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integrativo dell’art. 8 del ccnl. 26 novembre 1994, e con il successivo
accordo attuativo, sottoscritto in data 16 gennaio 1998, le parti hanno
convenuto di riconoscere la sussistenza della situazione straordinaria,
relativa alla trasformazione giuridica dell’ente ed alla conseguente
ristrutturazione aziendale e rimodulazione degli assetti occupazionali in

corso di attuazione, fino alla data del 30 aprile 1998; ne consegue che deve
escludersi la legittimità delle assunzioni a termine cadute dopo il 30 aprile
1998, per carenza del presupposto normativo derogatorio, con la ulteriore
conseguenza della trasformazione degli stessi contratti a tempo
indeterminato, in forza della legge 18 aprile 1962, n. 230, art. 1” (v., fra le
altre, Cass. 1 ottobre 2007 n. 20608; Cass. 28 novembre 2008 n. 28450;
Cass. 4 agosto 2008 n. 21062).
L’ultimo motivo (che è il terzo e non il quinto come erroneamente
indicato in ricorso, mancano infatti un terzo e un quarto mezzo di
annullamento) denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 1217,
2697 cod. civ. e critica la sentenza impugnata in relazione alla statuizione
di condanna al pagamento delle retribuzioni maturate senza tenere conto
della mancanza di qualsiasi prova del danno, senza avere svolto alcuna
verifica in ordine alla data della costituzione in mora, e senza avere
considerato l’eccezione

dell’ahunde perceptum sollevata dalla società,

ancorché genericamente.
A conclusione dell’esposizione del motivo è enunciato il seguente
quesito di diritto: Dica la Corte se in caso di domanda di risarcimento danni
da “scioglimento del rapporto di lavoro fondato su clausola risolutiva

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contrattuale nulla”, rimane a carico dello stesso lavoratore, in qualità di
attore, l’onere di allegare e di provare il danno da farsi equivalere alle
retribuzioni perdute – detratto l’aliunde perceptum – a causa della mancata
esecuzione delle prestazioni lavorative, ma presuppone che queste siano state
offerte dal lavoratore e che il datore di lavoro le abbia illegittimamente

rifiutate.
Il motivo è inammissibile per l’inadeguatezza del quesito di diritto,
assolutamente generico e non pertinente rispetto alla fattispecie: esso si
risolve nella enunciazione in astratto delle regole vigenti nella materia,
senza enucleare il momento di conflitto rispetto ad esse del concreto
accertamento operato dai giudici di merito.
L’inammissibilità del motivo concernente le conseguenze economiche
derivanti dalla illegittimità della clausola di apposizione del termine,
preclude l’applicabilità dello ius superveniens, rappresentato dall’art. 32,
commi 5 0 , 6° e 7° della legge 4 novembre 2010 n. 183.
In proposito, come questa Corte ha più volte affermato, in via di
principio, costituisce condizione necessaria per poter applicare nel giudizio
di legittimità lo ius superveniens che abbia introdotto, con efficacia
retroattiva, una nuova disciplina del rapporto controverso, il fatto che
quest’ultima sia in qualche modo pertinente rispetto alle questioni oggetto
di censura nel ricorso, in ragione della natura del controllo di legittimità, il
cui perimetro è limitato dagli specifici motivi di ricorso (cfr. Cass. 8 maggio
2006 n. 10547, Cass. 27 febbraio 2004 n. 4070).

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In tale contesto, è altresì necessario che il motivo di ricorso che
investe, anche indirettamente, il tema coinvolto dalla disciplina
sopravvenuta, oltre ad essere sussistente, sia altresì ammissibile secondo la
disciplina sua propria (v. fra le altre Cass. 4 gennaio 2011 n. 80),

Il ricorso va dunque rigettato.
In applicazione del principio della soccombenza, la società Poste
Italiane è tenuta al pagamento delle spese del giudizio di cassazione nei
confronti del resistente, che liquidate come in dispositivo sono attribuite
direttamente all’avv. Maurizio Riommi, per dichiarata anticipazione.

P. q. m.
La Corte rigetta il ricorso; condanna la ricorrente al pagamento in
favore del resistente delle spese del presente giudizio, liquidate in euro
3.500,00 (tremilacinquecento/00) per compensi professionali e in euro
50,00 (cinquanta/00) per esborsi, oltre accessori di legge, da attribuirsi
direttamente all’avv. Maurizio Riommi, per dichiarata anticipazione.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 6 giugno 2013.

condizione che qui non sussiste.

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