Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19201 del 19/07/2018


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Civile Ord. Sez. 3 Num. 19201 Anno 2018
Presidente: TRAVAGLINO GIACOMO
Relatore: GORGONI MARILENA

ORDINANZA

sul ricorso 703-2016 proposto da:
COMUNE ARAGONA , in persona del Sindaco pro-tempore,
elettivamente domiciliato in ROMA, VIA TACITO, 41,
presso lo studio dell’avvocato SIMONE GRASSI,
rappresentato e difeso dall’avvocato SALVATORE MAZZA
giusta procura a margine del ricorso;
– ricorrente contro

FARRUGGIA GIUSEPPE, elettivamente domiciliato in
ROMA,

L.RE DELLE NAVI,

20,

presso lo studio

dell’avvocato GIANLUCA MERANDA, rappresentato e
difeso dall’avvocato GIUSEPPE DANILE giusta procura
in calce al controricorso;

1

Data pubblicazione: 19/07/2018

controricorrente

avverso la sentenza n. 1293/2015 del TRIBUNALE di
AGRIGENTO, depositata il 07/10/2015;
udita la relazione della causa svolta nella camera
di consiglio del 18/05/2018 dal Consigliere Dott.

MARILENA GORGONI;

2

Rg 703/2016
FATTI DI CAUSA
1. Il Giudice di Pace di Aragona, adito da Giuseppe Farruggia, utente del
servizio idrico e di fognatura gestito dal Comune di Aragona, accoglieva la
richiesta attorea di annullamento delle fatture relative alle annate 2012 e 2013
emesse dal Comune di Aragona, perché il canone idrico annuale era stato

prescindendo dal volume di consumo effettivo, e in assenza di una specifica
pattuizione

negoziale,

condannava

l’amministrazione

convenuta

alla

restituzione degli importi già percepiti.
2. Il Tribunale di Agrigento, dinnanzi al quale il Comune di Aragona aveva
impugnato la sentenza del Giudice di Pace, confermava integralmente la
decisione di prime cure, con sentenza n. 1293/2015, depositata il 7.10.2015.
3. Il Comune di Aragona propone ricorso in cassazione avverso la sentenza
del Tribunale di Agrigento, fondato su un unico motivo. Il Comune premette
che il ricorso, il cui contenuto economico è assai modesto, viene azionato al
fine di contrastare i capi di decisione impugnati, i quali hanno oggettiva
influenza nei riguardi di tutti gli utenti del Comune di Aragona.
3.1. Resiste con controricorso, illustrato da memorie, Giuseppe Farruggia.

MOTIVI DELLA DECISIONE
4. Con l’unico motivo di ricorso il Comune lamenta la violazione e falsa
applicazione dell’art. 1339 c.c. e degli artt. 33 e 34 del Regolamento per la
concessione dell’acqua potabile del comune di Aragona, approvato con
deliberazione consiliare n. 18 del 18.6.2003.
4.1. A parte il fatto che il ricorrente richiama solo stralci dell’invocato
Regolamento, omettendo di riportarne il contenuto (e va ricordato che non
opera, con riguardo alle norme giuridiche secondarie, il principio iura novit
curia e non rientra, pertanto, la conoscenza dei regolamenti comunali tra i
doveri del giudice: Cass. 29 agosto 2006 n. 18661) e di indicare se esso sia
stato prodotto e quando nei precedenti gradi di merito, violando l’art. 366,

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determinato applicando un regime tariffario a forfait ovvero ad importo fisso,

comma 1, n. 6 c.p.c. (Cass. 22.5.2017, n. 12870), vanno fatte alcun
premesse:
a) la inserzione automatica di clausole, ex art. 1339 c.c., opera anche in
presenza di norme non aventi natura legislativa, ma regolamentare o
provvedimentale (come le disposizioni- prezzo), purché imperative ed
inderogabili (Cass. 10/02/2010 n. 3018; Cass. 30/08/2011, n. 17779).

chiara ed inequivoca di tale deroga da parte di una fonte esterna al contratto
che abbia immediato contenuto precettivo e che non disponga quindi un solo
obbligo generico;
c) il rapporto tra ente erogante ed utente trova la sua disciplina nel
contratto stipulato e non in un atto normativo unilaterale, ancorché secondario,
qual è il regolamento, il quale, nonostante la denominazione usuale impiegata,
non riveste in alcun modo natura di atto regolamentare in senso tecnico (fonte
di diritto), come tale in grado di imporsi unilateralmente sul pubblico degli
utenti;
d) le tariffe devono intendersi come corrispettivi di diritto privato a partire
dal 3 ottobre 2000, per effetto dell’art. 31, 28° comma, L. 23.12.1998, n. 448
e succ. modi?. (Cass. sez. un. 25/03/2005, n. 6418).
4.2. Stanti le suddette premesse non è censurabile la decisione con la
quale il giudice a quo ha ritenuto in concreto non applicabile – né in via diretta
(pp. 2-3 della sentenza) né ex art. 1339 c.c. (pp. 3-4) – il regime tariffario a
forfait o ad importo fisso, prescindendo dal consumo effettivo del singolo
utente.
4.3. Il Tribunale di Agrigento ha tenuto conto dell’art. 36 del Regolamento
comunale, ove è prescritto che l’utente è tenuto a corrispondere un consumo
minimo convenuto anche se non consumato, nonché dell’art. 33, che prevede
che il contratto di utenza debba contenere anche l’impegno minimo
contrattuale, per come previsto nel contratto individuale, concludendo, all’esito
della propria attività ermeneutica, nel senso che, in assenza di una specifica
pattuizione negoziale, non era possibile inserire automaticamente, ex art. 1339
c.c., nel contratto la tariffazione a consumo presunto: interpretazione
4

b) l’inserzione ex art. 1339 c.c. può avvenire solo tramite una enunciazione

insindacabile in sede di legittimità, se non quando riveli violazione dei canoni
legali di ermeneutica oppure vizi logici per mancanza, insufficienza o
contraddittorietà della motivazione (Cass. 20/06/2017, n. 15252; Cass.
19/10/2012, n. 18052; Cass. 02/09/2009, n. 19104), ma non anche, là dove
siano possibili più interpretazioni, solo per dolersi, in sede di legittimità, di
quella offerta dai giudici del merito.

ritenersi esclusa anche per un’altra ragione, individuata facendo applicazione di
un consolidamento orientamento di questa Corte: ammesso che le prescrizioni
regolamentari possano integrare automaticamente il contratto di utenza, in
concreto ciò non sarebbe stato possibile senza una delibera comunale che
fissasse il quantum (Cass. 17.3.2015, n. 5209). Il Regolamento stabilisce che
all’utente sarebbe stati fatturati annualmente 80 mc, stando allo stralcio della
norma riprodotta dal ricorrente, ma non risulta determinato il prezzo unitario a
mc. Se ne deduce che la previsione si risolve, in definitiva, in una disposizione
puramente programmatica ed aspecifica, come tale inidonea ad essere
automaticamente inserita nel contratto attraverso il meccanismo integrativo di
cui all’art. 1339 c.c. L’addebito del minimo garantito non può basarsi
esclusivamente sulla potenzialità rappresentata dalla sua previsione negli atti
di riferimento, richiedendosi, infatti, anche la sua attualità mediante
specificazione pattizia che ne stabilisca il quantum, inteso quale parametro
imprescindibile al fine di consentire – sia in linea di principio, sia in concreto l’inserimento automatico, ex art. 1339 c.c., nel rapporto di fornitura. A nulla
vale la previsione dell’art. 33 del Regolamento che, come si è detto, tutt’al più
fissa la quantità minima fatturata, ma non il relativo importo, rimesso ad una
delibera sindacale, come riconosciuto dallo stesso ricorrente (p. 5 del ricorso).
La conclusione trova indiretta conferma anche in Cass. 29/09/2004 n. 19531
(con richiamo, tra l’altro, alla diversa ipotesi di integrazione del contratto ex
art. 1374 c.c.) che verteva su una fattispecie speculare alla presente, nella
quale l’amministrazione comunale aveva effettivamente inserito nel
Regolamento Comunale la previsione del minimo garantito.

5

4.4. Tale pretesa inserzione automatica, ad avviso del giudice a quo, è da

5.5. Quanto alla affermazione relativa all’avvenuto deposito delle
determinazioni per mezzo delle quali il Comune aveva provveduto a individuare
l’importo del canone nel giudizio di prime cure (p. 6 del ricorso), che non trova
riscontro nella sentenza, la quale, al contrario, a p. 4 riferisce che esse non
erano state prodotte in primo grado, si osserva che il ricorrente avrebbe
dovuto formulare uno specifico motivo di ricorso, non trattandosi di un vizio

che i documenti sono rinvenibili «nel fascicolo di primo grado», perché non si
può costringere il giudice non solo ad una ricerca dei suddetti documenti tra gli
atti di causa, ma, una volta rinvenutili, all’accertamento necessario per
decidere sulla ritualità del loro deposito e sulla tempestività delle eventuali
eccezioni che su tali documenti si fondino: attività che non possono essere
sottratte ad un regolare e pieno contradditorio tra le parti di causa (Cass.
4/04/2005, n. 6972).
6. Ne consegue che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile.
7. Le spese del presente giudizio di cassazione – liquidate nella misura
indicata in

dispositivo – seguono la soccombenza, dandosi atto della

sussistenza dei presupposti di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma

1

quater, introdotto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17.
PQM
La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al
pagamento delle spese in favore della controricorrente, liquidandole in Euro
700,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento,
agli esborsi liquidati in euro 200,00 ed agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater del d.p.r. 115 del 2002, dà atto della
sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente,
dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il
ricorso, a norma del comma ibis dello stesso articolo 13.
Così deciso nella Camera di Consiglio della Terza Sezione civile della Corte
di Cassazione il 18.5.2018.

riconducibile all’art. 360, comma 1, n. 3 c.p.c. Né basta che il ricorrente dica

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