Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19200 del 02/08/2017


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Cassazione civile, sez. trib., 02/08/2017, (ud. 20/04/2017, dep.02/08/2017),  n. 19200

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BIELLI Stefano – Presidente –

Dott. FRASCA Raffaele – Consigliere –

Dott. BRUSCHETTA Ernestino Luigi – Consigliere –

Dott. CAIAZZO Rosario – Consigliere –

Dott. TEDESCO Giuseppe – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 17722/2010 R.G. proposto da:

SOTER di M.S. & C. s.a.s. in liquidazione,

rappresentata e difesa dall’avv. Claudio Lucisano, con domicilio

eletto in Roma, via Crescenzio 91, presso lo studio del difensore;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle Entrate, in persona del direttore pro tempore,

domiciliata in Roma, via dei Portoghesi 12, presso 12, l’Avvocatura

Generale dello Stato, che la rappresenta e difende;

– controricorrente –

Equitalia Nomos S.p.A.

– intimata –

Avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale del

Piemonte n. 30/36/09, depositata l’11 maggio 2009;

Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 20 aprile 2017

dal Consigliere Giuseppe Tedesco;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

generale Del Core Sergio, che ha concluso chiedendo il rigetto del

ricorso e l’avvocato dello stato PAOLO GENTILI.

Fatto

FATTI DI CAUSA

La Commissione tributaria regionale del Piemonte (Ctr) ha confermato la sentenza di primo grado, di rigetto del ricorso del contribuente contro cartella di pagamento per recupero delle imposte risultanti dalla dichiarazione presentata per l’anno 2002 relativa a Irap e Iva, e che aveva condannato inoltre il ricorrente al pagamento delle spese di lite.

Contro la sentenza la società ha proposto ricorso per cassazione sua base di sedici motivi, cui l’Agenzia delle entrate reagisce con contro ricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

I sedici motivi di ricorso, tutti dedotti in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, condividono una medesima ragione di inammissibilità, derivante dal fatto che il quesito di diritto posto a conclusione dell’esposizione della pluralità dei motivi, richiesto a pena di inammissibilità del motivo stesso ex art. 366 bis c.p.c., applicabile ratione temporis, è formulato sempre in termini generici e astratti, ossia senza riferimenti alla fattispecie concreta (Cass. n 8016/2009; n. 4829/2016), risolvendosi inammissibilmente in una generica richiesta indirizzata alla Corte, senza mai investire la ratio decidendi, proponendone una alternativa di segno opposto (Cass. n. 4044/2009; 1751/2000).

Essi inoltre, presentano ulteriori profili di inammissibilità e di infondatezza, partire dal primo, il quale riflette la tesi della contribuente di aver corretto, nella dichiarazione dell’anno 2003, l’indicazione di un credito sorto nel 2001 per versamenti mai effettuati e poi riportato nell’anno 2002, cui si riferisce la cartella di pagamento, che avrebbe dovuto quindi tenere conto della correzione.

Il motivo, oltre che inammissibile, è infondato, esattamente per la ragione indicata nella sentenza, e cioè l’autonomia delle singole annualità di imposta, principio che impedisce al contribuente di compensare il carico di imposta dell’anno 2002, oggetto della cartella, con (supposti) crediti riferiti a una diversa annualità.

Il secondo motivo, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, deduce di avere censurato dinanzi alla Ctr la valutazione del primo giudice, il quale aveva negato l’applicabilità del cumulo giuridico in tema di sanzioni, senza tuttavia avere ottenuto risposta da parte dei giudici d’appello.

Il motivo è inammissibile, perchè censura come violazione di legge, una omessa pronuncia. L’omissione, inoltre, non sussiste, perchè è chiaro che la decisione della Ctr, di rigetto integrale dell’appello, comporta l’implicito rigetto di ogni e qualsiasi pretesa incompatibile con la decisione assunta, inclusa quella in esame, la quale, ove accolta, avrebbe importato una rideterminazione del carico iscritto.

Il terzo motivo riflette la tesi della contribuente sulla necessità che la cartella di pagamento fosse preceduta, nel caso di specie, dalla notificazione dell’avviso bonario.

Il motivo è infondato. “In tema di riscossione delle imposte, la L. 27 luglio 2000, n. 212, art. 6, comma 5, non impone l’obbligo del contraddittorio preventivo in tutti i casi in cui si debba procedere ad iscrizione a ruolo, ai sensi del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 36 bis, ma soltanto “qualora sussistano incertezze su aspetti rilevanti della dichiarazione”, situazione, quest’ultima, che non ricorre necessariamente nei casi soggetti alla disposizione appena indicata, la quale implica un controllo di tipo documentale sui dati contabili direttamente riportati in dichiarazione, senza margini di tipo interpretativo; del resto, se il legislatore avesse voluto imporre il contraddittorio preventivo in tutti i casi di iscrizione a ruolo derivante dalla liquidazione dei tributi risultanti dalla dichiarazione, non avrebbe posto la condizione di cui al citato inciso (Cass. n. 8343/2012)”.

Nel caso in esame, al contrario, la omissione è dedotta dal ricorrente in modo disgiunto da qualsiasi considerazione sulla natura del controllo effettuato nel caso di specie, di cui emerge al contrario la natura squisitamente cartolare, tale da rendere pienamente applicabile il principio di cui sopra.

Il quarto motivo riflette la tesi della contribuente, sempre sotto il profilo della violazione di legge, della illegittimità della cartella di pagamento, in quanto non preceduta dalla comunicazione D.P.R. n. 602 del 1973, ex art. 60, comma 5.

Il motivo è inammissibile, perchè la Ctr ha ritenuto che, nella specie, l’avviso fosse stato inviato, per cui la relativa valutazione andava censurata sotto altro profilo.

In ogni caso, l’omissione è irrilevante, come esattamente ritenuto dalla Ctr, la cui decisione sul punto è del tutto conforme agli insegnamenti di questa Suprema corte: “In tema di IVA e nell’ipotesi di liquidazione dell’imposta dovuta in base alle dichiarazioni, ai sensi del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 54-bis e delle conseguenti sanzioni il D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 472, art. 17 prevedendo l’irrogazione immediata (mediante iscrizione a ruolo e senza previa contestazione) delle sanzioni in misura del trenta per cento dell’importo non versato, ha implicitamente abrogato il D.P.R. n. 633 del 1972, art. 60, comma 6citato nella parte in cui prevedeva che, prima di iscrivere a ruolo l’imposta non versata, l’ufficio invitasse preventivamente il contribuente al pagamento delle somme dovute, entro 30 giorni dal ricevimento dell’avviso, con l’applicazione della soprattassa pari al 60% della somma non versata, avendo tale invito l’unica funzione di dare al contribuente la possibilità di attenuare le conseguenze sanzionatorie della omissione di versamento e non di costituire un atto prodromico e necessario ai fini dell’iscrizione a ruolo, ed essendo tale funzione venuta meno con l’entrata in vigore dell’art. 17 cit. che ha fissato la sanzione in misura comunque inferiore a quella cui poteva accedersi in adesione all’invito (Cass. n. 26440/2010)” n. 20691/2014).

Il quinto motivo è inammissibile, perchè, benchè formulato in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 deduce un vizio di omessa pronuncia, che però non sussiste, in quanto la relativa deduzione della contribuente, riguardante la legittimità della diretta iscrizione a ruolo delle sanzioni, deve intendersi implicitamente rigettata: vale quanto sopra detto in relazione all’analogo difetto di cui al secondo motivo.

Il sesto motivo è infondato. Esso ipotizza che l’attività di liquidazione delle dichiarazioni sia soggetta a un autonomo termine di decadenza per la formazione e la notificazione, il che invece non è.

Infatti l’agente della riscossione deve rendere note ai contribuenti le iscrizioni a ruolo che li riguardano mediante notificazione della cartella di pagamento, per cui del tutto correttamente la Ctr ha considerato l’eccezione con riferimento alla notificazione della cartella di pagamento.

Il settimo motivo, dedotto in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 pone la questione della mancata sottoscrizione dell’atto impugnato da parte di soggetto che avesse i relativi poteri. La ricorrente si duole del rigetto della relativa eccezione da parte della Ctr, in quanto il riscontro positivo della qualità non sarebbe supportato da dal deposito del “documento attestante l’avvenuto conferimento di incarico dirigenziale”.

Il motivo è inammissibile, perchè non deduce una violazione di legge, ma semmai un vizio di motivazione.

L’ottavo motivo riflette la tesi della ricorrente, secondo cui l’istituto della continuazione in tema di sanzioni deve applicarsi qualunque sia la natura della violazione, e quindi anche nel caso, come quello in esame, di omesso versamento.

Il motivo è infondato. Anche in questo caso la valutazione della Ctr è in totale sintonia con gli insegnamenti della Suprema corte: “Le violazioni tributarie che si esauriscono nel tardivo od omesso versamento dell’imposta risultante dalla dichiarazione fiscale non sono soggette all’istituto della continuazione disciplinato dal D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 12, comma 2, perchè questo concerne le violazioni potenzialmente incidenti sulla determinazione dell’imponibile o sulla liquidazione del tributo, mentre il ritardo o l’omissione del pagamento è una violazione che attiene all’imposta già liquidata, per la quale il D.Lgs. n. 471 del 1997, art. 13 dispone un trattamento sanzionatorio proporzionale ed autonomo per ciascun mancato pagamento (Cass. 1540/2017; conf. Cass. 10357/2015)”.

Il nono motivo è inammissibile. Si deduce, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, una omessa pronuncia, che non sussiste. La domanda a cui è il vizio riferito si coordina con la tesi della ricorrente, già sopra confutata, in ordine al difetto di comunicazione dell’avviso bonario, che la Ctr ha ritenuto invece effettuata, seppure la stessa non fosse nella specie necessaria in considerazione della natura della violazione (v. supra).

Il decimo, l’undicesimo e il dodicesimo motivo riflettono, da diversi profili, la tesi della ricorrente secondo sarebbe nulla la notificazione della cartella di pagamento avvenuta a mezzo del servizio postale, qualora non sia stata compilata la relata di notifica e “per carenza della qualifica di messo notificatore in capo al soggetto che ha provveduto effettivamente alla notifica”.

I motivi sono infondati. E’ sufficiente in proposito richiamate il seguente principio di diritto: “In tema di riscossione delle imposte, la notifica della cartella esattoriale può avvenire anche mediante invio diretto, da parte del concessionario, di lettera raccomandata con avviso di ricevimento, in quanto la seconda parte del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 26, comma 1, prevede una modalità di notifica, integralmente affidata al concessionario stesso ed all’ufficiale postale, alternativa rispetto a quella della prima parte della medesima disposizione e di competenza esclusiva dei soggetti ivi indicati. In tal caso, la notifica si perfeziona con la ricezione del destinatario, alla data risultante dall’avviso di ricevimento, senza necessità di un’apposita relata, visto che è l’ufficiale postale a garantirne, nel menzionato avviso, l’esecuzione effettuata su istanza del soggetto legittimato e l’effettiva coincidenza tra destinatario e consegnatario della cartella, come confermato implicitamente dal citato art. 26, penultimo comma secondo cui il concessionario è obbligato a conservare per cinque anni la matrice o la copia della cartella con la relazione dell’avvenuta notificazione o con l’avviso di ricevimento, in ragione della forma di notificazione prescelta, al fine di esibirla su richiesta del contribuente o dell’amministrazione (Cass. n. 6395/2014).

Il tredicesimo motivo ipotizza una distinzione fra il termine per la notificazione della cartella di pagamento e il termine per la preliminare attività di liquidazione.

Il motivo è infondato. Tale distinzione non sussiste, per cui del tutto correttamente la Ctr ha considerato l’eccezione con riferimento alla notificazione della cartella di pagamento.

Il quattordicesimo motivo riflette la tesi secondo cui sarebbe nulla la cartella di pagamento per mancata indicazione dell’organo a cui proporre ricorso e per la mancata indicazione del responsabile del procedimento.

Il motivo è infondato. Anche in questo caso la sentenza è in linea con gli insegnamenti della Suprema corte: “L’omessa indicazione nella cartella del nome del responsabile del procedimento (nel regime anteriore all’entrata in vigore del D.L. 31 dicembre 2007, n. 248, art. 36, comma 4 ter, conv. con L. 28 febbraio 2008, n. 31), non determina il vizio di illegittimità della cartella, trattandosi di provvedimento a contenuto vincolato e secondo il principio generale in tema di annullamento degli atti amministrativi applicabile in materia, di cui alla L. 7 agosto 1990, n. 241, art. 21-octies, comma 2, in quanto la L. n. 212 del 2000, art. 7 sullo Statuto del contribuente, è norma minus quam perfecta e priva di sanzione, di guisa che la ricostruzione del suo regime non può essere operata che facendo ricorso ai precetti generali” (Cass. n. 3754 del 2013).

“La mancanza, nell’avviso di accertamento tributario, o negli altri atti impugnabili dinanzi alle commissioni tributarie, della indicazione dell’organo al quale il ricorso deve essere proposto – indicazione prescritta dal D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636, art. 16, comma 2, (applicabile ratione temporis), e poi, in generale, dalla L. 7 agosto 1990, n. 241, art. 3, comma 4, – non determina la nullità dell’atto stesso, salvo che ne derivi una giustificata incertezza sugli strumenti di tutela utilizzabili da parte del destinatario (Cass. n 7558/2003)”.

Il quindicesimo decimo motivo censura la sentenza per avere rigettato le eccezioni della contribuente circa la mancanza di sottoscrizione della cartella di pagamento, “in maniera apodittica (…) senza spiegare la motivazione”.

Il motivo, dedotto come violazione di legge, è inammissibile perchè la censura riguarda un vizio di motivazione.

Il sedicesimo motivo censura la sentenza d’appello per non aver colto l’errore che inficiava la sentenza di primo grado, che, nell’operare la liquidazione delle spese di lite, aveva indicato un importo unico, senza distinguere fra spese, diritti e onorari.

Il motivo è inammissibile. La parte denuncia la liquidazione cumulativa, ma in modo formale, mentre avrebbe dovuto indicare il concreto aggravio economico subito rispetto a quanto sarebbe risultato sulla base dell’applicazione delle tariffe (Cass. 20128 del 2015; Cass. 15363 del 2016).

In conclusione il ricorso va interamente rigettato.

PQM

 

rigetta il ricorso; condanna la ricorrente al pagamento, in favore della contro ricorrente Agenzia delle entrate, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 5.250 per compensi, oltre alle spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, il 20 aprile 2017.

Depositato in Cancelleria il 2 agosto 2017

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