Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19198 del 19/07/2018


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Civile Ord. Sez. 3 Num. 19198 Anno 2018
Presidente: TRAVAGLINO GIACOMO
Relatore: OLIVIERI STEFANO

lucri cum

ORDINANZA

damno

sul ricorso 21919-2015 proposto da:

Data pubblicazione: 19/07/2018

R.G.N. 21919/2015

DAVOLI VIRGINIA, elettivamente domiciliata in ROMA,
cron.

,(9

VIA ANASTASIO II 80, presso lo studio dell’avvocato
Rep.

ADRIANO BARBATO, che la rappresenta e difende
Cd. 18/05/2018

unitamente all’avvocato CESARE GRAPPI giusta procura
CC

speciale in calce al ricorso;
– ricorrente contro

2018

GENERALI

1515

rappresentante pro tempore e procuratore speciale

ITALIA

SPA

in

persona

del

legale

VITTORIO PASCOLI, elettivamente domiciliata in ROMA,
VIA GIUSEPPE FERRARI 35, presso lo studio
dell’avvocato MARCO VINCENTI, rappresentata e difesa

1

dall’avvocato FRANCO MAllA giusta procura speciale in
calce al controricorso;
– controricorrente nonchè contro

TECLI

MARIA

ELISABETTA,

VERDUROPOLI

SRL

IN

– intimati –

avverso

la

sentenza

n.

2227/2014

della

CORTE

D’APPELLO di BOLOGNA, depositata il 28/10/2014;
udita la relazione della causa svolta nella camera di
consiglio

del

18/05/2018

dal

Consigliere

Dott.

STEFANO OLIVIERI;
lette le conclusioni scritte del Pubblico Ministero,
in persona del Sostituto Procuratore generale ALBERTO
CARDINO, che ha chiesto il rigetto del ricorso;

2

LIQUIDAZIONE , MUSSINI LIANA;

Fatti di causa
Con sentenza in data 28.10.2014 n. 1893 la Corte d’appello di Bologna
confermava la pronuncia di prime cure, ritenendo corretta l’applicazione della
presunzione di pari responsabilità ex art. 2054co2 c.c., del conducente del
veicolo, Maria Elisabetta Tedi, che non aveva fornito la prova liberatoria di
aver tenuto, effettuando un sorpasso in coda ad un altro autoveicolo, una

Strada, nonché del conducente del velocipede, Virginio Mussini, deceduto a
causa dell’impatto, non essendo emersi dalla istruttoria elementi idonei a
dimostrare che stesse percorrendo la strada con andamento lineare e tenendo
rigorosamente la destra.
Il Giudice di seconde cure rigettava entrambi gli appelli principale, proposto dal
coniuge e dalla figlia superstiti, ed incidentale proposto da INA Assitalia s.p.a.
(che ha assunto poi la denominazione Generali Italia s.p.a.), rilevando, per
quanto interessa, che la domanda avente ad oggetto il risarcimento del danno
conseguente alla “mancata percezione del reddito da lavoro del marito tra la
data della morte -6.5.2000- fino alla data di maturazione della pensione [di
vecchiaia al 65° anno di età] -28.2.2001-“, nonché quantificato nell’importo
differenziale tra le maggiori somme che il marito, prossimo alla pensione di
vecchiaia a 65 anni, avrebbe percepito a tale titolo, rispetto al minore importo
percepito dalla Davoli a titolo di pensione di reversibilità (spettante al coniuge
superstite nella misura del 60%), era sfornita di prova, in quanto in ogni caso il
marito avrebbe destinato a sé una quota di detti importi, ed appariva congrua
una destinazione alle esigenze della famiglia nella misura del 60% del
reddito/pensione, ed inoltre nessun elemento di valutazione (prospetti di
calcolo od indicazione della differenza tra i vari importi) era stato prodotto dal
coniuge che si era limitata ad un mero conteggio ed alla richiesta di una
inammissibile c.t.u. meramente esplorativa.

3
RG ti. 21919/2015
ric. Davoli Virginia c/ Generali Italia s.p.a. + 2

C
Stef o “vieri

condotta di guida conforme alle prescrizioni dell’art. 149 col del Codice della

La sentenza di appello, notificata in data 11.6.2015, è stata ritualmente
impugnata con tre mezzi da Virginia Davoli, con atti notificati a mezzo posta in
data 9.9.2015.
Resiste con controricorso Generali Italia s.p.a.
Non hanno svolto difese gli altri intimati.

Il Pubblico Ministero ha rassegnato conclusioni scritte instando per il rigetto del
ricorso.
Ragioni della decisione
Il Collegio ha raccomandato la redazione della motivazione in forma
semplificata.
Il primo motivo (violazione e falsa applicazione degli artt. 143, 1223, 2043
e 2056 c.c.) censura la sentenza impugnata avendo la Corte d’appello liquidato
il danno da lucro cessante, per perdita dell’apporto economico che il marito, se
ancora in vita, avrebbe continuato ad erogare per le esigenze della famiglia e
del coniuge, senza applicare il principio secondo cui la “compensatio lucri cum
damno”, non trova applicazione quando siano diversi i titoli su cui si fonda il
risarcimento del danno e l’attribuzione della indennità assistenziale o
previdenziale spettante ai superstiti.
Il motivo è inammissibile.
Premesso che la questione concernente la cumulabilità del risarcimento
danni con il vantaggio che la vittima abbia comunque ottenuto in conseguenza
del fatto illecito, ad esempio percependo emolumenti versatigli da assicuratori
privati, da assicuratori sociali, da enti di previdenza, ovvero anche da terzi, ma
comunque in virtù di atti indipendenti dalla volontà del danneggiante è stata
rimessa alle Sezioni Unite di questa Corte (ordinanza interlocutoria in data 22
giugno 2017, n. 15534) e che analoga questione concernente , in particolare,
la decurtabilità o meno del valore capitalizzato della pensione di reversibilità
4
RG n. 21919/2015
ric. Davoli Virginia c/ Generali Italia s.p.a. + 2

Cons. es
Stefa

eri

Le parti hanno depositato memorie illustrative ex art. 380 bis.1 c.p.c.

erogata dall’ente previdenziale, dal danno patrimoniale -consistito nella perdita
dell’apporto economico fornito dalla vittima- liquidato al coniuge della persona
deceduta (ordinanza interlocutoria in data 22 giugno 2017, n. 15536), osserva
il Collegio che la censura:
a) è del tutto nuova e non trova riscontro nella domanda risarcitoria
formulata in primo grado e reiterata con i motivi di gravame , come

del danno da lucro cessante in relazione: 1-alla mancata contribuzione
economica della vittima dalla data del decesso (6.5.2000) fino alla data
(1.3.2001) in cui la vittima avrebbe percepito la pensione di vecchiaia al
65° anno di età (traguardo che avrebbe raggiunto dopo “pochi mesi”,
come rilevato dalla sentenza del Tribunale di Reggio Emilia riportata nella
sentenza impugnata); 2-alla differenza tra l’importo della pensione di
vecchiaia di cui la vittima avrebbe goduto a far data dall’1.3.2001 (65°
anno di età) e l’importo erogato al coniuge superstite a titolo di pensione
di reversibilità
b) è del tutto inconferente rispetto alla “ratio decidendi” impugnata, non
avendo la Corte d’appello rifiutato il maggiore importo risarcitorio
applicando la impropria “compensazione” tra risarcimento del danno e
pensione di reversibilità, ma avendo piuttosto rigettato la domanda sul
rilievo che, dovendo tenersi conto della quota di reddito o di pensione di
vecchiaia -ritenuta congrua nella misura del 40%- che la vittima avrebbe
trattenuto per le proprie esigenza di vita, la differenza di importo tra la
quota del 60% del reddito o della pensione di vecchiaia presumibilmente
destinata alla famiglia, e l’importo effettivamente erogato alla moglie a
titolo di pensione di reversibilità, doveva ritenersi “non apprezzabile”,
mentre per il resto al domanda era sfornita di idonea prova
Risulta dunque evidente come in nessun caso venga in questione la
applicazione del principio di diritto invocato dalla ricorrente a parametro del
sindacato di legittimità
5
RG n. 21919/2015
ric. Davoli Virginia c/ Generali Italia s.p.a. + 2

Co
est.
Stefailo Olivieri

trascritta dalla stessa ricorrente che concerneva, invece, la liquidazione

Con il secondo motivo (violazione degli artt. 1223, 2043, 2056, 2697; art.
115 c.p.c., in relazione all’art. 360co1 n. 3 c.p.c.)

la ricorrente impugna la

sentenza di appello sostenendo che, in relazione ad entrambe le domande
risarcitorie, erano stati prodotti documenti sufficienti all’accertamento e
liquidazione del maggior danno da lucro cessante, tanto che il primo giudice

avevano condiviso tale conclusione.
Il motivo dichiaratamente svolto per censurare un errore di diritto nella
applicazione delle norme che regolano la prova, del criterio di causalità cd.
giuridica, del criterio di liquidazione del danno in via equitativa ed il principio di
non contestazione, viene a risolversi in una inammissibile censura di fatto
intesa a rivedere il giudizio di merito sulle prove espresso dal Giudice di
appello.
La denuncia del vizio di “error juris”, in ordine alla applicazione delle norme
di diritto sostanziale o processuale in materia di prove, per essere sottoposta al
sindacato di legittimità non può che procedere necessariamente al di fuori
dell’ambito riservato al “prudente apprezzamento” del Giudice, come stabilito
nell’art. 116 c.p.c., rimanendo circoscritta la verifica della conformità
dell’attività svolta dal Giudice allo specifico parametro normativo che disciplina
la prova, sia sotto il profilo di eventuali limitazioni imposte dall’ordinamento
all’acquisizione processuale di una fonte, o ancora, delle limitazioni alla
discrezionalità valutativa dei fatti imposte dalla previsione di prove legali, sia
sotto il profilo del conforme utilizzo dei mezzi di prova tipici -individuati dalle
norme del codice di rito- in relazione tanto ai limiti legali di ammissione o di
efficacia dimostrativa del singolo mezzo, quanto alle modalità procedurali di
verifica istruttoria del mezzo. Con la conseguenza che una denuncia ex art.
360co1 n. 3 o n. 4 c.p.c., come ha ribadito più volte questa Corte (cfr. Corte
cass. Sez. 3, Sentenza n. 26965 del 20/12/2007; id. Sez. L, Sentenza n.

6
RG n. 21919/2015
ric. Davoli Virginia c/ Generali Italia s.p.a. — 2

Còis. est.
Stefa o Olivieri

aveva reputato superfluo disporre c.t.u. sul “quantum” e le parti convenute

13960 del 19/06/2014; id. Sez. 3, Sentenza n. 11892 del 10/06/2016), è
concepibile soltanto:
a) se il giudice di merito valuta una determinata prova ed in genere una
risultanza probatoria, per la quale l’ordinamento non prevede uno specifico
criterio di valutazione diverso dal suo prudente apprezzamento, pretendendo di

ad una diversa risultanza probatoria (come, ad esempio, valore di prova
legale);
b)

se il giudice di merito dichiara di valutare secondo prudente

apprezzamento una prova o risultanza soggetta ad altra regola, così
falsamente applicando e, quindi, violando la norma in discorso (oltre che quelle
che presiedono alla valutazione secondo diverso criterio della prova di cui
trattasi).
Nessuna di tali ipotesi è dedotta con il motivo di ricorso in esame.
Ad analoga conclusione di inammissibilità deve pervenirsi in relazione alla
dedotta violazione dell’art. 115 c.p.c. e dell’art. 2697 c.c..
Ed infatti un errore di diritto in tali casi è ravvisabile solo allorché si alleghi
che il Giudice abbia posto a base della decisione prove non dedotte dalle parti,
ovvero disposte d’ufficio al di fuori dei limiti legali, o abbia disatteso,
valutandole secondo il suo prudente apprezzamento, prove legali, ovvero abbia
considerato come facenti piena prova, recependoli senza apprezzamento
critico, elementi di prova soggetti invece a valutazione, o ancora, qualora si
alleghi che l’onere di provare il fatto costitutivo della domanda o della
eccezione sia stato posto a carico della parte cui non compete secondo la
regola dettata dall’art. 2697 c.c..
Non viene, invece, in questione una violazione di norme di diritto nel caso in
cui si alleghi che il Giudice non ha tenuto conto di fatti, pur dimostrati in
giudizio, che se considerati avrebbero determinato con elevato grado di
7
RG n. 21919/2015
ric. Davoli Virginia c/ Generali Italia s.p.a. + 2

Cdnest.
Stefao Olivieri

attribuirle un altro e diverso valore ovvero il valore che il legislatore attribuisce

certezza probabilistica una diversa decisione, ovvero si alleghi che il Giudice ha
attribuito valore determinante ad elementi probatori che si elidono a vicenda,
rendendo del tutto incomprensibile la “ratio decidendi”, o ancora qualora si
alleghi un non convincente esercizio del potere di ponderazione delle
risultanze probatorie. In tutti questi casi non vi è violazione del criterio di
riparto dell’onere della prova, né illegittima utilizzazione di prove non dedotte

sindacabile in sede di legittimità nei soli limiti consentiti dall’art. 360co1 n. 5
c.p.c. come definiti nel testo riformato dall’art. 54 DL n. 83/2012 conv. in legge
n. 134/2012 e dalla interpretazione che della norma ha fornito questa Corte
(cfr. Corte cass. Sez. U, Sentenza n. 8053 del 07/04/2014; id.

Sez. U,

Sentenza n. 19881 del 22/09/2014).
La giurisprudenza di legittimità è assolutamente ferma nella applicazione di
tali principi (cfr. Corte cass. Sez. 2, Sentenza n. 2707 del 12/02/2004; id. Sez.
3, Sentenza n. 12912 del 13/07/2004; id. Sez. 1, Sentenza n. 14267 del
20/06/2006; id. Sez. 3, Sentenza n.
Sentenza n.

26965 del 20/12/2007; id. Sez. L,

13960 del 19/06/2014; id. Sez. 3, Sentenza n.

11892 del

10/06/2016; id. Sez. U, Sentenza n. 16598 del 05/08/2016, in motivazione;
Id. Sez. 6 – L, Ordinanza n. 27000 del 27/12/2016; id. Sez. 3 -, Sentenza n.
23940 del 12/10/2017).
Occorre aggiungere inoltre che il principio di non contestazione è rivolto ai
fatti allegati e non anche al giudizio di rilevanza ed efficacia dimostrativa della
prova: risulta quindi invocata a sproposito la violazione dell’art. 115 c.p.c. con
riferimento all’affermazione delle parti convenute -ed alla valutazione del primo
giudice- secondo cui i documenti prodotti in giudizio rendevano superfluo
l’espletamento della c.t.u..
Il motivo si palesa peraltro inammissibile anche sotto altro profilo.

La

ricorrente afferma che in base alla documentazione allegata alla memoria ex
art. 184 c.p.c. depositata in data 30.6.2013, sarebbe stato sufficiente un mero

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RG n. 21919/2015
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Ce ts. – st.
Ste un 5 ivieri

dalle parti, ma la critica ricade interamente nell’ambito dell’errore di fatto

conteggio per calcolare il maggior “quantum” dalla stessa richiesto con le
domande risarcitorie.
Tale affermazione, tuttavia, non viene tuttavia supportata dalla mera
elencazione dei documenti (ricorso pag. 10) tenuto che:
a) quanto all’asserito mancato apporto contributivo dalla data del decesso a

la Davoli ha percepito già nell’anno 2000 la pensione di reversibilità (CUD), non
essendo stata individuata, pertanto, nel motivo di ricorso -in difetto del
requisito di specificità prescritto dall’art. 366co1 n. 4 c.p.c.- quale fosse la
lacuna temporale durante la quale sarebbe venuto meno l’apporto economico
della vittima, elemento fattuale indispensabile a verificare l’eventuale errore
commesso dal Giudice di merito;
b) quanto al minore importo percepito dal coniuge superstite a titolo di
pensione di reversibilità rispetto a quello di cui avrebbe fruito se al marito
fosse stata liquidata la pensione di vecchiaia, anche in questo caso nel motivo
di ricorso difetta qualsiasi indicazione utile ex art. 366co1 n. 4 c.p.c. volta ad
evidenziare la effettiva differenza tra le due poste e comunque la censura così
come formulata appare inconferente rispetto alla ratio decidendi secondo cui
una tale differenza non poteva essere calcolata in termini comparativi assoluti
tra i due importi, in quanto la pensione di vecchiaia -diversamente da quella di
reversibilità- non sarebbe stata devoluta “per intero” al coniuge superstite, in
quanto la vittima avrebbe comunque trattenuto per sé una quota per le proprie
esigenze, contribuendo ai bisogni del coniuge in misura pari al 60% ritenuta
congrua da entrambi i Giudici di merito.
Con il terzo motivo (vizio di omessa motivazione ex art. 360co1 n. 5 c.p.c)
la ricorrente censura la sentenza di appello per avere omesso di pronunciare in
ordine alla domanda risarcitoria relativa alla liquidazione del danno da lucro
cessante nel periodo intercorso tra la data del decesso e quella in cui la vittima
avrebbe raggiunta la età pensionabile.
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Con est.
Stefan Aijivieri

quello della pensione di vecchiaia, risulta che il marito è deceduto il 6.5.2000 e

Il motivo è infondato.
La ricorrente aveva richiesto anche il danno in questione, ma -secondo
quanto statuito dalla Corte d’appello- omettendo di fornire i dati fattuali
essenziali per consentire l’accertamento della pretesa, tanto più che nello
stesso anno del decesso del coniuge risulta aver conseguito la pensione di
reversibilità (CUD 2000). Orbene la Corte d’appello ha pronunciato anche su

da lucro cessante in quanto : a) era stato fornito soltanto un conteggio delle
somme che sarebbero spettate alla vittima ove collocata a riposo per
vecchiaia; b) non era stato effettuato alcun calcolo delle maggiori somme
asseritamente dovute alla moglie; c) in assenza di elementi utili di valutazione,
la richiesta di espletamento di c.t.u. appariva meramente esplorativa.

In conclusione il ricorso deve essere rigettato e la parte ricorrente va
dichiarata tenuta a rifondere le spese del giudizio di legittimità, liquidate in
dispositivo.
P.Q.M.
rigetta il ricorso.
Condanna la ricorrente al pagamento in favore della controricorrente, delle
spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 2.700,00 per compensi,
oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in
Euro 200,00, ed agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del Dpr 30 maggio 2002 n. 115,
inserito dall’art. 1 comma 17 della I. n. 228 del 2012, dà atto della sussistenza
dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo
a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del
comma 1-bis, dello stesso articolo 13 .

10
RG n. 21919/2015
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Co
Stefaiko_

t.
ivieri

tale domanda, laddove ha ritenuto non provata la pretesa del maggior danno

Così deciso in Roma il 18/05 /2018

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