Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19198 del 02/08/2017
Cassazione civile, sez. trib., 02/08/2017, (ud. 20/04/2017, dep.02/08/2017), n. 19198
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. BIELLI Stefano – Presidente –
Dott. FRASCA Raffaele – Consigliere –
Dott. BRUSCHETTA Ernestino Luigi – Consigliere –
Dott. CAIAZZO Rosario – Consigliere –
Dott. TEDESCO Giuseppe – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 13005/2010 R.G. proposto da:
G.M., rappresentata e difesa dagli avv. Francesca Elia e
Mauro Sabetta, con domicilio eletto in Roma, piazza Bainsizza 1,
presso lo studio legale Elia;
– ricorrente –
contro
Agenzia delle Entrate, in persona del direttore pro tempore,
domiciliata in Roma, via dei Portoghesi 12, presso 12, l’Avvocatura
Generale dello Stato, che la rappresenta e difende;
– controricorrente –
Avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della
Toscana n. 19/14/09, depositata il 20 marzo 2009;
Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 20 aprile 2017
dal Consigliere Giuseppe Tedesco;
uditi gli avv. Barbara Simonetti e Paolo Gentili;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore
generale Del Core Sergio, che ha concluso chiedendo il rigetto del
ricorso.
Fatto
FATTI DI CAUSA
G.M. ha proposto ricorso per cassazione contro la sentenza della Commissione tributaria regionale della Toscana (Ctr), che ha confermato, riuniti i procedimenti, le sentenze di primo grado, sfavorevoli per la contribuente in relazione ad avvisi di accertamento e atti di contestazione per Iva e Irpef 1999; per Irpef, Iva Irap 1998, per sanzioni Iva 1999; per sanzioni Iva 2000; per Irpef e Irap 2000.
In particolare la Ctr ha confermato la valutazione dei primi giudici che avevano ritenuto il carattere commerciale dell’associazione sportiva Centro Studi Danza, di cui la contribuente, attuale ricorrente, ricopriva la carica di presidente, con conseguente determinazione del reddito di impresa.
Il ricorso è proposto sulla base di due motivi, cui l’Agenzia delle entrate reagisce con controricorso.
Diritto
RAGIONI DELLA DECISIONE
In via preliminare va rilevata l’inammissibilità del ricorso proposto dalla G. per essere il relativo contenuto privo del requisito dell’esposizione sommaria dei fatti di causa di cui all’art. 366 c.p.c., n. 3.
E’ stato chiarito che il requisito della sommaria esposizione dei fatti di causa, prescritto dall’art. 366 cit. a pena di inammissibilità, può ritenersi soddisfatto senza necessità che esso dia luogo a una premessa autonoma e distinta rispetto ai motivi, laddove il contenuto consenta al giudice di legittimità, in relazione ai motivi proposti, di avere una chiara e completa cognizione dei fatti che hanno originato la controversia e dell’oggetto dell’impugnazione, senza dover ricorrere ad altre fonti o atti in suo possesso, compresa la stessa sentenza impugnata (Cass., SU, 18 maggio 2006, n. 11653).
Nella specie nulla di quanto richiesto per ritenere sussistente il requisito in questione è possibile rinvenire nel ricorso così come predisposto dalla G., nel quale l’esposizione dei fatti di causa in senso stretto si risolve esclusivamente nella riproposizione di uno stralcio della motivazione dei provvedimenti impositivi impugnati; nessun accenno è contenuto nè ai motivi di ricorso, nè alle difese dell’Ufficio, nè all’esito del giudizio di primo grado, nè ai motivi d’appello, nè infine al contenuto della sentenza impugnata.
I motivi di ricorso, così come formulati, non apportano alcun effettivo contributo alla comprensione della vicenda, con una palese violazione del principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, ch’è volto a consentire, fra l’altro, al giudice di legittimità “un’adeguata comprensione dell’oggetto delle pretese del ricorrente e delle critiche sollevate alla sentenza impugnata, in immediato coordinamento con i motivi di censura (Cass., SU, 17 luglio 2009, n. 16628)”.
I motivi di ricorso incorrono a loro volta in una pluralità di profili di inammissibilità.
Il primo motivo deduce violazione del D.Lgs. n. 460 del 1997, art. 5, commi 1 e 3 in quanto i giudici d’appello avrebbero applicato tali disposizioni, applicabili a partire dal 1998, al precedente anno di imposta 1997. Ma, come esattamente replica l’Agenzia delle entrate, non si comprende la ragione della censura, se è vero che la prima delle annualità di imposta a cui si riferiscono i provvedimenti impositivi impugnati è proprio il 1998.
Quanto al secondo motivo, dedotto cumulativamente quale violazione di legge e vizio di motivazione, la censura che si muove alla Ctr è di avere attribuito rilevanza, al fine di riconoscere la natura commerciale dell’attività svolta, alla carenza di un requisito formale (il mancato adeguamento della forma dello statuto in conformità con la nuova disciplina che richiedeva l’atto pubblico o la scrittura privata autenticata), che non aveva invece valore decisivo. Così ragionando la Ctr avrebbe trascurato che D.P.R. n. 917 del 1986, ex art. 87, comma 4: “L’oggetto esclusivo o principale dell’ente è determinato in base all’atto costitutivo, se esistente in forma di atto pubblico o di scrittura privata autenticata, e, in mancanza in base all’attività effettivamente esercitata”.
Ciò posto la sentenza è in modo contraddittorio censurata, in relazione al medesimo profilo, sia per violazione della norma e sia per vizio di motivazione; ma nessuna delle due censure coglie nel segno, tenuto conto: a) che la Ctr, dopo avere rilevato la carenza del dato formale, non si è fermata a tale rilievo, ma ha indicato gli elementi di fatto in base ai quali aveva ritenuto che l’ente sottoposto a verifica fosse un ente commerciale; b) che la critica rivolta a tale accertamento, sotto la veste del vizio di motivazione, censura nella sostanza la valutazione complessiva che la sentenza ha dato della vicenda, pretendendone inammissibilmente una diversa, che è attività che non rientra nell’ambito del controllo consentito alla Corte ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5 nel testo applicabile ratione temporis, “posto che una simile revisione, in realtà, non sarebbe altro che un giudizio di fatto e si risolverebbe sostanzialmente in una sua nuova formulazione, contrariamente alla funzione assegnata dall’ordinamento al giudice di legittimità” (Cass. n. 11789/2005).
In conclusione il ricorso va dichiarato inammissibile.
PQM
dichiara inammissibile il ricorso; condanna la ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 7.300,00, per compensi, oltre alle spese prenotate a debito.
Così deciso in Roma, il 20 aprile 2017.
Depositato in Cancelleria il 2 agosto 2017