Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19195 del 19/08/2013


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Civile Sent. Sez. L Num. 19195 Anno 2013
Presidente: MIANI CANEVARI FABRIZIO
Relatore: MANNA ANTONIO

SENTENZA

sul ricorso 19339-2011 proposto da:
DOTTORESSA GALLI IVANA GLLVNI5OB4A462F, elettivamente
domiciliata in ROMA, VIA FEDERICO CONFALONIERI 5,
presso lo studio dell’avvocato MANZI LUIGI,
rappresentato e difeso dall’avvocato PUTATURO WALTER,
giusta delega in atti;
– ricorrente –

2013

contro

1682

CAMERA DI COMMERCIO INDUSTRIA ARTIGIANATO AGRICOLTURA
t

DI

PESCARA

00338600687,

in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata

Data pubblicazione: 19/08/2013

in ROMA, VIALE ANGELICO 103, presso lo studio
dell’avvocato VAGNOZZI DANIELE, rappresentata e difesa
dall’avvocato CERCEO GIULIO;
– controri corrente –

avverso la sentenza n. 1/2011 della CORTE D’APPELLO di

udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 14/05/2013 dal Consigliere Dott. ANTONIO
MANNA;
udito l’Avvocato FEDERICA MANZI per delega WALTER
PUTATURO;
udito l’Avvocato VAGNOZZI DANIELE per delega GIULIO
CERCEO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. MARIO FRESA, che ha concluso per il
rigetto del ricorso.

L’AQUILA, depositata il 25/01/2011 r.g.n. 451/2010;

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RG. n. 19339/11
Ud. 14.5.13
Galli c. Camera di Commercio di Pescara

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con sentenza depositata il 25.1.11 la Corte d’appello di L’Aquila rigettava il
gravame interposto da Ivana Galli contro la pronuncia del Tribunale di Pescara che

ne aveva rigettato la domanda intesa ad ottenere dalla locale Camera di Commercio
(di cui l’attrice era dipendente) il rimborso — ai sensi dell’art. 3 co. 2 bis legge n.
639/96 – delle spese legali sostenute in un giudizio di responsabilità contabile
svoltosi innanzi alla Corte dei conti e conclusosi con il proscioglimento nel merito
della Galli medesima, che ricorre per la cassazione di tale sentenza affidandosi ad
un solo articolato motivo.
La Camera di Commercio di Pescara resiste con controricorso.
Entrambe le parti hanno depositato memoria ex art. 378 c.p.c.

MOTIVI DELLA DECISIONE
1- Con unico articolato motivo di ricorso si lamenta violazione e falsa
applicazione dell’art. 3 co. 2 bis d.l. n. 543/96 (convertito, con modificazioni, in
legge n. 639/96), dell’art. 18 co. 1° d.l. n. 67/97 (convertito, con modificazioni, in
legge n. 135/97) e dell’art. 10 bis co. 10 0 d.l. n. 203/05 (convertito, con
modificazioni, in legge n. 248/05), nonché vizio di motivazione e omessa
pronuncia, per avere i giudici d’appello negato il diritto al rimborso delle spese
legali sostenute in un giudizio di responsabilità contabile svoltosi innanzi alla Corte
dei conti, nonostante il proscioglimento della Galli, non essendo precluso tale
rimborso — contrariamente a quanto asserito nell’impugnata sentenza — dalla
pronuncia di compensazione delle spese emessa dal giudice contabile.

2- Il motivo è infondato.
Si premetta che il giudizio innanzi alla Corte dei conti si è concluso con sentenza
11.2.08 n. 50, che ha prosciolto nel merito Ivana Galli e ha disposto la
compensazione delle spese (come pacificamente risulta dagli atti difensivi e
dall’impugnata sentenza).
Qui di seguito si riproduce il tenore delle norme di cui l’odierna ricorrente
lamenta la violazione o la falsa applicazione.
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Ud. 14.5.13
Galli c. Camera di Commercio di Pescara

Recita l’art. 3 co. 2 bis d.l. n. 543/96 (convertito, con modificazioni, in legge n.
639/96): “In caso di definitivo proscioglimento ai sensi di quanto previsto dal
comma 1 dell’articolo 1 della legge 14 gennaio 1994, n. 20, come modificato dal

comma 1 del presente articolo, le spese legali sostenute dai soggetti sottoposti al
giudizio della Corte dei conti sono rimborsate dall’amministrazione di
appartenenza.”.
Dispone l’art. 18 co. 1° d.l. n. 67/97 (convertito, con modificazioni, in legge n.
135/97): “Le spese legali relative a giudizi per responsabilità civile, penale e
amministrativa, promossi nei confronti di dipendenti di amministrazioni statali in
conseguenza di fatti ed atti connessi con l’espletamento del servizio o con
l’assolvimento di obblighi istituzionali e conclusi con sentenza o provvedimento che
escluda la loro responsabilità, sono rimborsate dalle amministrazioni di
appartenenza nei limiti riconosciuti congrui dall’Avvocatura dello Stato. Le
amministrazioni interessate, sentita l ‘Avvocatura dello Stato, possono concedere
anticipazioni del rimborso, salva la ripetizione nel caso di sentenza definitiva che
accerti la responsabilità”.
Infine, il successivo art. 10 bis co. 10° d.l. n. 203/05 (convertito, con
modificazioni, in legge n. 248/05) prevede che: “Le disposizioni dell’articolo 3,
comma 2-bis, del decreto-legge 23 ottobre 1996, n. 543, convertito, con
modifìcazioni, dalla legge 20 dicembre 1996, n. 639, e dell’articolo 18, comma 1,
del decreto-legge 25 marzo 1997, n. 67, convertito, con modificazioni, dalla legge
23 maggio 1997, n. 135, si interpretano nel senso che il giudice contabile, in caso
di proscioglimento nel merito, e con la sentenza che definisce il giudizio, ai sensi e
con le modalità di cui all’articolo 91 del codice di procedura civile, non può
disporre la compensazione delle spese del giudizio e liquida l’ammontare degli
onorari e diritti spettanti alla difesa del prosciolto, fermo restando il parere di
congruità dell’Avvocatura dello Stato da esprimere sulle richieste di rimborso
avanzate all’amministrazione di appartenenza”.
Le parole “non può disporre la compensazione delle spese del giudizio e” sono
state inserite dall’art. 17 co. 30 quinquies d.l. 1°.7.09 n. 78, convertito – con
modificazioni — in legge 3.8.09 n. 102, vale a dire dopo la sentenza della Corte dei
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conti che ha prosciolto l’odierna ricorrente, emessa sotto il vigore dell’originario
testo del cit. art. 10 bis.
Prima di procedere oltre è appena il caso di notare che si colloca al di là

dell’orizzonte del ricorso in esame la questione relativa alle conseguenze di
un’omessa pronuncia sulle spese da parte della Corte dei conti pur in presenza d’un
dispositivo di proscioglimento nel merito.
Del pari estranea alla presente vicenda processuale è quella concernente
un’eventuale traslazione convenzionale (in via di contrattazione collettiva) a carico
dell’amministrazione di appartenenza dell’onere economico delle spese sostenute
dal dipendente prosciolto nel merito e non liquidate — o liquidate in maniera
incongrua — dal giudice contabile (non è questa la doglianza mossa dall’odierna
ricorrente).
Puntualizzato ciò, per meglio inquadrare il problema è opportuno un brevissimo

excursus storico (senza pretesa alcuna di esaustività).
L’art. 26 del regolamento di procedura per i giudizi innanzi alla Corte dei conti
(r.d. n. 1038/33) dispone che nei procedimenti contenziosi si osservano le norme e i
termini della procedura civile, in quanto siano applicabili e non modificati dalle
disposizioni del regolamento medesimo.
Prima dell’intervento del cit. art. 3 co. 2 bis d.l. n. 543/96, la giurisprudenza della
Corte dei conti era orientata a compensare comunque, in caso di assoluzione, le
spese tra le parti nel presupposto che il Procuratore contabile si configurasse come
parte meramente formale; né riteneva possibile condannare l’amministrazione nel
cui interesse agiva l’organo requirente, dal momento che essa non si considerava
tecnicamente rappresentata in giudizio dal Procuratore regionale o generale della
Corte dei conti.
Analoga l’impostazione delle S.U. di questa S.C. nella sentenza 12.11.03 n.
17014, secondo la quale, data la struttura dei giudizi di responsabilità
amministrativo—contabile, il Procuratore regionale o generale della Corte dei conti
non poteva chiedere la rifusione delle spese legali, quando fosse stata accolta la
domanda di condanna, perché si trattava di parte pubblica, che esercitava d’ufficio
la relativa azione. E, come non poteva chiedere la rifusione delle spese legali, così
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non poteva nemmeno essere condannata a rimborsarle in favore dell’agente
contabile assolto, dal momento che nell’interesse della collettività svolgeva
un’azione pubblica, doverosa e officiosa, non diversamente da quanto avviene nel

giudizio penale, anch’esso contraddistinto da ufficiosità dell’azione e sua titolarità
monopolistica in capo al Pubblico Ministero.
In questo modo restava, però, irrisolto l’inconveniente per cui la parte prosciolta
nel merito del giudizio di responsabilità continuava a dover sopportare le spese
anticipate per la propria pur vittoriosa difesa.
Ciò aveva indotto la giurisprudenza contabile a suggerire altra strada,
rappresentata dalla possibilità, per il convenuto assolto, di chiedere in via
extragiudiziale il rimborso delle spese direttamente all’amministrazione di
appartenenza. Tale sistema di rimborso extragiudiziale era stato già utilizzato dalla
legge e dai contratti collettivi di lavoro per non penalizzare il soggetto convenuto, a
causa dello svolgimento di funzioni istituzionali, in giudizi civili o penali.
Con il cit. art. 3 co. 2 bis d.l. 23.10.1996 convertito in legge 20.12.1996 n. 639, le
spese legali sostenute dal convenuto assolto nel giudizio innanzi alla Corte dei conti
sono rimborsate dall’amministrazione di appartenenza.
In senso analogo ha disposto anche il cit. art. 18 co. 1° d.l. n. 67/97 (convertito,
con modificazioni, in legge n. 135/97), relativamente a giudizi per responsabilità
civile, penale e amministrativa, promossi nei confronti di dipendenti di
amministrazioni statali in conseguenza di fatti ed atti connessi con l’espletamento
del servizio o con l’assolvimento di obblighi istituzionali e conclusi con sentenza o
provvedimento che escluda la loro responsabilità.
Ma si tratta di norme concepite pur sempre in vista di un rimborso extragiudiziale
e non giudiziale, benché certa giurisprudenza contabile (Corte dei conti, sez.
Basilicata, 13.2.97 n. 43) avesse ritenuto in via di interpretazione logico-sistematica
la assoggettabilità a condanna dell’amministrazione in caso di rigetto della
domanda di responsabilità, cosa che la giurisprudenza della Corte dei conti aveva
prevalentemente negato in base al rilievo che il giudizio era introdotto da una
citazione del Procuratore contabile, considerato solo come Pubblico Ministero e
quindi come parte esclusivamente formale (come s’è detto).
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Le persistenti perplessità applicative di tali norme hanno infine indotto il
legislatore ad intervenire con l’art. 10 bis co. 10 d.l. n. 203/05 (convertito, con
modificazioni, in legge n. 248/05), il cui tenore è stato sopra riportato.

La disposizione riconosce espressamente anche nei giudizi di responsabilità il
potere del giudice contabile, ai sensi dell’art. 91 c.p.c., di liquidare a favore di chi
sia stato prosciolto nel merito l’ammontare delle spese comprensive di diritti ed
onorari di avvocato; nel contempo conferma la procedura di rimborso delle spese
legali che fanno carico all’amministrazione di appartenenza del prosciolto in merito,
ribadendo la necessità del parere di congruità dell’Avvocatura dello Stato, laddove
previsto.
Deve ritenersi che la procedura espressamente prevista per l’amministrazione
statale sia applicabile in via analogica anche agli altri enti pubblici, fatti salvi i
necessari adattamenti, tra cui la sostituzione del parere obbligatorio e vincolante
dell’Avvocatura dello Stato (quando non sia consentita l’utilizzazione di tale
organo) con quello della struttura interna, eventualmente esistente,
nell’ordinamento dell’ente; in caso di mancanza di un’avvocatura interna o di altra
analoga istituzione, l’organo di gestione può direttamente provvedere,
motivatamente, allo stesso modo.
Ora, che il cit. art. 10 bis co. 10 d.l. n. 203/05 abbia o meno natura interpretativa o
parzialmente innovativa (per la portata innovativa v. infra; v. altresì Cass. S.U. n.
8455/08), sta di fatto che prevede, senza dubbio alcuno, una vera e propria
condanna alle spese dell’amministrazione di appartenenza del prosciolto e non una
mera liquidazione insuscettibile di formare titolo esecutivo nei confronti
dell’amministrazione medesima.
Lo testimonia l’esplicito richiamo all’art. 91 c.p.c., che si esprime
inequivocabilmente in termini di “condanna” della “parte soccombente”.
E una siffatta statuizione non può emettersi, pena manifesta violazione degli artt.
24 e 111 Cost., se non nei confronti di chi sia stato parte del processo.
Deve quindi dedursi, in via di interpretazione costituzionalmente conforme, che se
una condanna alle spese viene emessa (come espressamente prevede il cit. art. 10
bis co. 10 d.l. n. 203/05 mediante rinvio all’art. 91 c.p.c.) nei confronti
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dell’amministrazione di appartenenza (che può o meno intervenire nel giudizio di
responsabilità, sia pure nelle sole forme dell’intervento adesivo dipendente, l’unico
ammesso in tale giudizio dalla giurisprudenza della Corte dei conti: cfr., ex aliis,

Corte dei conti, sez. Abruzzo, 8.3.11 n. 91), ciò significa che quest’ultima è già
parte del processo quanto meno in qualità di soggetto rappresentato ex lege da un
sostituto processuale (nell’accezione di cui all’art. 81 c.p.c.), che altri non è che il
Procuratore contabile (che, quindi, vede valorizzata quella sua duplice natura di cui
s’è detto).
Non si tratta di un’evoluzione imprevista od eccentrica rispetto al sistema, dal
momento che già prima dell’avvento dell’art. 3 co. 2 bis d.l. n. 543/96, la posizione
del Procuratore regionale o generale della Corte dei conti era del tutto peculiare,
godendo egli di una legittimazione straordinaria ex lege ad agire a tutela delle
ragioni dell’amministrazione presuntivamente lesa, tanto da potersi considerare un
sostituto processuale ex art. 81 c.p.c.
Anzi, ben può dirsi che ciò costituisce il punto di arrivo di un lento progresso
rispetto alla posizione originaria che vedeva il Procuratore contabile esclusivamente
come Pubblico Ministero perché la Corte dei conti esercitava essenzialmente
compiti di giurisdizione sulla regolarità dei conti, conoscendo solo incidentalmente
della responsabilità gestionale degli agenti contabili.
In siffatto contesto la funzione del Procuratore generale era di vigilanza e di
generica tutela della legalità nel campo delle gestioni pubbliche.
La proiezione sul piano processuale di tali compiti di vigilanza era costituita dalla
funzione di Pubblico Ministero volta alla mera tutela della legalità finanziaria e
amministrativa.
Con l’evoluzione della giurisdizione contabile, la figura del relativo Procuratore si
è arricchita, essendogli stato affidato il potere di convenire in giudizio i pubblici
amministratori per responsabilità connesse a quella più squisitamente contabile.
Lo sviluppo anche quantitativo dei giudizi di responsabilità ha finito con
l’accentuare implicitamente la configurazione del Procuratore contabile quale
rappresentante processuale ex lege dell’amministrazione a discapito dell’originaria

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funzione di Pubblico Ministero, più evidente in relazione agli enti diversi dallo
Stato.
Il fatto che la legge riservi al Procuratore generale o regionale della Corte dei

conti il potere di promuovere l’azione per responsabilità amministrativo—contabile
non toglie che egli “rappresenti” in giudizio l’ente pubblico, soggetto attivo del
rapporto sostanziale dedotto, pur coesistendo tale funzione con quella, propria di un
Pubblico Ministero, di astratta tutela della legalità e degli interessi della collettività
dei cittadini.
In breve, incrementandosi il novero delle amministrazioni tutelate dal Procuratore
contabile, se ne è accentuata la caratteristica di “Giano bifronte” che cumula in sé la
funzione di Pubblico Ministero e quella di rappresentante

ex lege

dell’amministrazione, prova ne sia che egli può interrompere la prescrizione
dell’azione di responsabilità e agire nell’interesse dell’amministrazione
presuntivamente danneggiata promuovendo gli opportuni atti conservativi (v. art. 48
r.d. n. 1038/33 e art. 5 d.l. n. 453/93, convertito, con modificazioni, in legge n.
19/94).
A questo punto possono trarsi le prime conclusioni: in caso di proscioglimento nel
merito del convenuto nel giudizio di responsabilità amministrativo-contabile, la
Corte dei conti condanna l’amministrazione di appartenenza alla rifusione delle
spese (compresi diritti e onorari di avvocato, oggi compensi professionali ai sensi
del d.m. 1°.8.12) sostenute dal dipendente e ciò è tecnicamente possibile (e
costituzionalmente consentito) solo ammettendo che il Procuratore contabile agisce,
oltre che come Pubblico Ministero, anche come sostituto processuale ex art. 81
c.p.c. dell’amministrazione di appartenenza del convenuto.
Resta da appurare se e che in termini, dopo il cit. art. 10 bis co. 10 d.l. n. 203/05,
permanga la possibilità di un rimborso extragiudiziale — alternativo od integrativo —
nel caso in cui, alla stregua del previgente testo della stessa norma, le spese del
giudizio conclusosi con proscioglimento nel merito siano state compensate in tutto
(come avvenuto nella vicenda in esame) o in parte.

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In dottrina se ne è ritenuta la sopravvivenza in base all’asserita diversità
ontologica rispetto al rimborso giudiziale delle spese in favore di chi sia stato
prosciolto nel merito all’esito del giudizio di responsabilità.

Tale opinione muove dal rilievo che la determinazione delle spese legali è
riservata al giudice, che in sentenza ne stabilisce (ora soltanto) il quantum (essendo
venuta meno la possibilità di compensarle, dopo la novella di cui all’art. 17 co. 30
quinquies d.l. 1°.7.09 n. 78).
Si tratta di una statuizione che integra una formale pronuncia di condanna (in
quanto tale suscettibile di essere emessa solo nei confronti di chi sia stato parte del
giudizio, come s’è detto).
E infatti soggetto passivo di tale obbligo di rimborso è l’amministrazione nel cui
interesse ha agito in giudizio il Procuratore contabile, quale suo sostituto
processuale ex lege, giacché è proprio l’amministrazione di appartenenza il soggetto
che si assumeva leso e a cui vantaggio sarebbe stato devoluto (almeno in via
generale, fatte salve deroghe legislative) l’importo del risarcimento in caso di
condanna.
Il diritto al rimborso delle spese legali, previsto dai summenzionati artt. 3 co. 2 bis
d.l. n. 543/96 e 18 co. 1° d.l. n. 67/97 sorgerebbe, invece, come automatica
conseguenza della pronuncia che abbia escluso l’ipotizzata responsabilità del
convenuto, di guisa che non sarebbe possibile una compensazione o un rifiuto da
parte dell’amministrazione, che è sempre e comunque quella di appartenenza.
Qui la sentenza assolutoria si presenta come mero presupposto di fatto, cui la
legge ricollega l’insorgenza del diritto al rimborso, che si muove sul piano
squisitamente sostanziale e al quale l’amministrazione risponde con una
liquidazione mediante un atto paritetico, liquidazione oggetto di possibile
contestazione davanti all’autorità giudiziaria ordinaria.
Tale posizione trae spunto dalla sentenza 12.11.03 n. 17014 delle S.U. di questa
S.C., che sottolinea come il rapporto sostanziale instaurato tra il convenuto assolto
nel giudizio di responsabilità e l’amministrazione di appartenenza ai fini del
rimborso delle spese legali (nella specie con riferimento all’art. 3 co. 2 bis cit.) non

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abbia nulla a che vedere con quello che ha per oggetto il giudizio di responsabilità
contabile.
In altre parole, sempre secondo tale impostazione, l’antinomia tra le disposizioni

disciplinanti i predetti due sistemi (ossia fra rimborso giudiziale ed extragiudiziale
delle spese del prosciolto nel merito) sarebbe solo apparente, in quanto essi,
incidenti in ambiti anche parzialmente non coincidenti, si porrebbero su due diversi
piani in forza della loro differenza ontologica e teleologica.
Il rimborso giudiziale costituisce infatti uno strumento prettamente processuale
con cui si tutela concretamente il diritto alla difesa affermato dall’art. 24 Cost.,
mentre il rimborso extragiudiziale è un meccanismo di diritto sostanziale con cui si
tutela la situazione di immedesimazione tra funzionario ed amministrazione
nell’ambito dell’art. 97 Cost.
La novella di cui al cit. art. 10 bis avrebbe inteso chiarire il punto, riaffermando il
potere-dovere del giudice contabile di pronunciare sulle spese legali, senza però
escludere il rimborso extragiudiziale (sempre che ne ricorrano i presupposti, tra cui
— prosegue la ricordata dottrina – il mancato totale rimborso giudiziale di tutte le
spese legali).
Naturalmente non è ammessa una duplicazione di rimborso delle spese legali, in
quanto tali sistemi non sono cumulativi; essi, parimenti non sono alternativi,
integrandosi invece tra di loro.
Infatti la valutazione che compie il giudice contabile, all’esito della definizione
del rapporto dedotto, riguarda nel suo complesso il regolamento delle spese del
giudizio in ragione dello sviluppo e della conclusione del processo, in particolare
pronunciando sull’ammissibilità e i limiti di riconoscimento delle spese legali per
come risultano dalla documentazione allegata dal convenuto.
Ne discende come conseguenza sul piano processuale — secondo tale
impostazione dottrinaria – che delle due forme di rimborso si occupano due giudici
diversi: quello contabile per il rimborso giudiziale vero e proprio e quello ordinario
(cfr. Cass. S.U. 10.1.06 n. 478, secondo cui la giurisdizione sul punto spetta al
giudice ordinario) per le controversie insorte in ordine al rimborso extragiudiziale.

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A tale impianto può però obiettarsi che storicamente il sistema del rimborso
giudiziale era nato al precipuo scopo di ovviare all’inconveniente per cui il
convenuto prosciolto nel merito all’esito del giudizio contabile doveva sopportare le

spese d’un giudizio instaurato contro la sua volontà e al quale non aveva dato causa.
Orbene, proprio la scelta del legislatore di rimettere al giudice contabile il
governo delle spese è espressamente finalizzata ad un maggior controllo della spesa
pubblica, per evitare tanto i possibili abusi per rimborsi eccessivi concessi dalle
amministrazioni di appartenenza, quanto il proliferare di contenziosi in sede civile
ove quest’ultima neghi il rimborso chiesto dal suo dipendente prosciolto nel merito
del giudizio contabile (come avvenuto nel caso di specie).
Non a caso il d.l. n. 203/05 si intitola “Misure di contrasto all’evasione fiscale e
disposizioni urgenti in materia tributaria e finanziaria” e nel relativo art. 10 bis co.
10 è trasparente la finalità di prevenire abusi nella liquidazione delle spese ad opera
dell’amministrazione di appartenenza, rimettendo alla competenza funzionale del
giudice contabile ogni determinazione a riguardo.
Ammettere ancora oggi, sempre e comunque, la permanenza di un doppio binario
ovvero la coesistenza d’un duplice piano — quello del rimborso giudiziale e quello
del rimborso extragiudiziale — sarebbe dissonante rispetto alla ratio del cit. art. 10
bis co. 10 d.l. n. 203/05 e, soprattutto, non spiegherebbe l’esplicito coinvolgimento
in esso tanto del cit. art. 3 co. 2 bis d.l. n. 543/96 quanto del cit. art. 18 co. 1° d.l. n.
67/97, che l’art. 10 bis co. 10 dichiara di voler interpretare.
In altre parole, la coesistenza di una sorta di doppio binario sarebbe stata ancora
ipotizzabile se l’art. 10 bis co. 10 d.l. n. 203/05 si fosse limitato a sancire tout court
l’obbligo di pronuncia sulle spese da parte del giudice contabile in caso di
proscioglimento nel merito, ma il dichiarato intento di interpretare sia il cit. art. 3
co. 2 bis d.l. n. 543/96 sia il cit. art. 18 co. l° d.l. n. 67/97 (originariamente
riguardanti il rimborso extragiudiziale) indubbiamente milita per una ridefinizione
del sistema ad esclusivo appannaggio della sede giudiziale e per la competenza
funzionale (anche a fini di contenimento della spesa) del solo giudice contabile (che
emette la sentenza di proscioglimento nel merito) in ordine alla liquidazione delle
spese, con esclusione di ogni possibilità di loro quantificazione a piè di lista (e su
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ciò v., ancora, Cass. S.U. n. 8455/08: si noti che in quel caso non era stata emessa
pronuncia sulle spese del giudizio contabile da parte della Corte dei conti).
Certamente è singolare che l’affermazione del potere del giudice contabile di

pronunciare sulle spese si rinvenga in una disposizione che in apertura si dichiara
interpretativa di norme che, invece, disciplinavano il rimborso extragiudiziale. Per
questo appare più convincente (come già asserito, in motivazione, dalla cit. Cass.
S.U. n. 8455/08) riconoscerle la natura di norma sostanzialmente innovativa, ad
onta della finalità interpretativa formalmente proclamata.
Non solo: altre considerazioni di non minor peso corroborano il venir meno del
doppio binario (rimborso giudiziale ed extragiudiziale) dopo l’art. 10 bis co. 10 d.l.
n. 203/05 cit.
La prima è data dal fatto che proprio la novella di cui all’art. 17 co. 30 quinquies
d.l. 1°.7.09 n. 78, che ha escluso la possibilità di compensare le spese, ha
oggettivamente rafforzato la scelta legislativa per l’unicità della sede giudiziale,
quasi a voler chiudere ogni possibilità di liquidazione extragiudiziale quale rimedio
alla compensazione delle spese disposta dal giudice contabile (come avvenuto nel
caso di specie).
La seconda è data dal rilievo che la diversa esegesi suggerita dalla ricorrente (che,
in sostanza, ritiene non preclusivo del rimborso extragiudiziale il diniego di quello
giudiziale avutosi con la compensazione pronunciata dal giudice contabile)
finirebbe con il dare luogo ad un sistema stabilmente produttivo di conflitti tra
giudicati (uno contabile e uno civile) sul regime delle spese, potendosi in sede civile
porre nel nulla, in tutto o in parte, la compensazione (o la differente liquidazione)
delle spese già espressamente disposta dalla Corte dei conti in contraddittorio delle
medesime parti (agente prosciolto e amministrazione di appartenenza, rappresentata

ex lege dal Procuratore contabile).
Insomma, quella liquidazione negata dalla porta (della pronuncia di
compensazione emessa dal giudice contabile) rientrerebbe dalla finestra (della
liquidazione extragiudiziale che, se negata dall’amministrazione di appartenenza, a
seguito del ricorso dell’interessato si trasformerebbe in giudiziale, questa volta ad

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Galli c. Camera di Commercio di Pescara

opera del giudice del lavoro o, in ipotesi di pubblico impiego non contrattualizzato,
del TAR).
Né per negare il conflitto di giudicati varrebbe invocare la citata diversità

oggetto (spese del giudizio contabile) e delle stesse parti (soggetto prosciolto e
amministrazione di appartenenza).
Prova ne sia che, se davvero si trattasse di diritti ontologicamente diversi, il
prosciolto nel merito a seguito del giudizio contabile potrebbe, in teoria, convenire
la (recalcitrante) amministrazione di appartenenza innanzi al giudice del lavoro e
chiedere il rimborso delle spese pur dopo averne ricevuto la liquidazione da parte
della Corte di conti, con un’inammissibile duplicazione.

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Per la stessa ragione non può ammettersi neppure una sopravvivenza integrativa
del rimborso extragiudiziale a fronte di un’eventuale incongrua liquidazione delle
spese ad opera del giudice contabile e ciò non solo per le ragioni innanzi esplicitate,
ma anche per una di coerenza sistematica.
Infatti, in virtù di antica e costante giurisprudenza di questa S.C., il giudice
competente per il merito della causa è funzionalmente competente a decidere
sull’an e sul quantum delle relative spese e dell’eventuale risarcimento dei danni ex
art. 96 c.p.c. (Cass. 23.3.2004 n. 5734; Cass. 12.3.2002 n. 3573; Cass. 4.4.2001 n.
4947; Cass. 5.3.84 n. 1525; Cass. S.U. 6.2.84 n. 874), di guisa che è inammissibile
una domanda risarcitoria conseguente all’altrui azione o resistenza temeraria
avanzata in separato giudizio (cfr. Cass. 20.3.2006 n. 6116).

3- In sintesi, deve affermarsi il seguente principio di diritto: “Dopo l’entrata in
vigore dell’art. 10 bis co. 10 0 d. 1. n. 203/05 (convertito, con modificazioni, in legge
n. 248/05), in caso di proscioglimento nel merito del convenuto in giudizio per
responsabilità amministrativo-contabile innanzi alla Corte dei conti, spetta
esclusivamente a detto giudice, con la sentenza che definisce il giudizio, liquidare ai sensi e con le modalità di cui all’art. 91 c.p.c. e a carico dell’amministrazione di
appartenenza – l’ammontare delle spese di difesa del prosciolto, senza successiva
possibilità per il quest’ultimo di chiedere in separata sede all’amministrazione
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ontologica tra i due sistemi di rimborso, trattandosi pur sempre del medesimo

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medesima la liquidazione di dette spese, neppure in via integrativa della
liquidazione operata dal giudice contabile. Tale principio si applica anche in
ipotesi di compensazione delle spese disposta dal giudice contabile nel vigore del
testo del cit. art. 10 bis co. 10 dl. n. 203/05 anteriormente alla novella di cui

all’art. 17 dl. n. 78/09, convertito, con modificazioni, in legge n. 102/09.”.
A tale principio non ostano le pronunce delle S.U. che hanno statuito la
giurisdizione del giudice civile — e non di quello contabile — sulle separate domande
di liquidazione delle spese avanzate dal prosciolto nel merito contro
l’amministrazione di appartenenza, trattandosi pur sempre di sentenze emesse sulla
sola questione di giurisdizione e che, proprio perché tali, non avrebbero mai potuto
prendere posizione sull’effetto preclusivo, rispetto a tali domande di rimborso, della
già avvenuta statuizione sulle spese (in termini di condanna o di compensazione,
totale o parziale) ad opera del giudice contabile.
Per tale ragione non è conferente il richiamo alla sentenza n. 6996/10 delle S.U. di
questa S.C. che si legge nella memoria ex art. 378 c.p.c. depositata dalla ricorrente.
Si tratta di pronuncia che non ne suffraga l’impugnazione poiché si limita a stabilire
che la controversia concernente il rimborso delle spese defensionali, disciplinato
dall’art. 18 d.l. 25.3.97 n. 67 (come autenticamente interpretato dall’art. 10 bis co.
10 d.l. n. 203/05), per i soggetti sottoposti a giudizio di responsabilità dinanzi alla
Corte dei conti e risultati prosciolti nel merito, esula dalla giurisdizione contabile e
appartiene a quella del giudice del rapporto di lavoro intercorrente tra
l’amministrazione e il suo dipendente, con la conseguenza che essa deve ritenersi
attribuita, di norma, al giudice ordinario, fatta salva l’assegnazione al giudice
amministrativo nei casi in cui essa attenga ad ipotesi di impiego non
contrattualizzato, come quello dei militari.
In altre parole, con la pronuncia n. 6996/10 le S.U. hanno sì cassato senza rinvio
la sentenza della prima sezione giurisdizionale centrale della Corte dei conti, che
aveva interpretato un proprio precedente arrét in cui, prosciolti i convenuti nel
giudizio di responsabilità, le spese del doppio grado del giudizio contabile erano
state però compensate per intero, sottolineando che ogni richiesta di rimborso di
dette spese da parte dei prosciolti nei confronti dell’Amministrazione di
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appartenenza non trovava giuridico fondamento; ma lo hanno fatto — ovviamente —
solo per motivi attinenti alla giurisdizione e non certo perché abbiano
implicitamente ammesso il diritto al rimborso extragiudiziale. Semplicemente, le

S.U. hanno affermato che lo stabilire l’effetto – preclusivo o meno – del diritto al
rimborso delle spese difensive preteso da alcuni ufficiali e sottoufficiali
dell’Aeronautica militare, prosciolti nel merito all’esito di giudizi di responsabilità
per danno erariale, spetta al TAR (vertendosi in tema di pubblico impiego non
contrattualizzato) e non alla Corte dei conti.
Del pari non osta al principio sopra formulato la sentenza n. 5918/11 delle S.U.,
anch’essa invocata nella memoria depositata ex art. 378 c.p.c. da parte ricorrente,
trattandosi di pronuncia che, senza operare alcuna menzione del cit. art. 10 bis co.
10 0 d.l. n. 203/05 che ha completamente ridefinito i rapporti tra rimborso giudiziale
ed extragiudiziale nei sensi innanzi chiariti, si rifà alla già citata Cass. S.U. n.
17014/03, anteriore alla suddetta norma.
Pertanto, trattandosi in sostanza di mero contrasto diacronico, si ritiene di non
dover investire ex art. 374 co. 3 c.p.c. le S.U. della decisione del presente ricorso.

4- Da ultimo, si colloca all’esterno dell’area dell’art. 360 co. 10 n. 5 c.p.c. il vizio
di motivazione lamentato dalla ricorrente.
Infatti, quello spendibile mediante ricorso per cassazione concerne solo la
motivazione in fatto, giacché quella in diritto può sempre essere corretta o meglio
esplicitata, sia in appello che in cassazione (v. art. 384 ult. co . c.p.c.), senza che la
sentenza impugnata ne debba in alcun modo soffrire.
Invero, rispetto alla questione di diritto ciò che conta è che la soluzione adottata
sia corretta ancorché malamente spiegata o non spiegata affatto; se invece risulta
erronea, nessuna motivazione (per quanto dialetticamente suggestiva e ben
costruita) la può trasformare in esatta ed il vizio da cui risulterà affetta la pronuncia
sarà non già di motivazione, bensì di inosservanza o violazione di legge o falsa od
erronea sua applicazione.

5- In conclusione, il ricorso è da rigettarsi.
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La particolare problematicità in punto di diritto della questione oggetto di lite,
anche in ragione di giurisprudenza non univoca, consiglia di compensare fra le parti
le spese del giudizio di legittimità.
La Corte
rigetta il ricorso e compensa le spese del giudizio di legittimità.
Così deciso in Roma, in data 14.5.13.

P.Q.M.

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