Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19190 del 19/07/2018


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Civile Ord. Sez. 3 Num. 19190 Anno 2018
Presidente: TRAVAGLINO GIACOMO
Relatore: GORGONI MARILENA

ORDINANZA

sul ricorso 19948 2016 proposto da:

AZIENDA SANITARIA PROVINCIALE N 7 RAGUSA , in persona
del Direttore Generale Dott. MAURIZIO ARIC0′,
elettivamente domiciliata in ROMA, V.LE GIUSEPPE
MAZZINI 142, presso lo studio dell’avvocato VINCENZO
ALBERTO PENNISI, rappresentata e difesa dall’avvocato
CARMELO DI PAOLA giusta procura in calce al ricorso;
– ricorrente contro

2018
1414

IOZZIA MICHELE, IOZZIA ANNALISA, FRASCA MARIA LUCIA,
elettivamente domiciliati in ROMA, VIA GOLAMETTO 2,
presso lo studio dell’avvocato VALERIA BUCALO,
rappresentati

e

difesi

dall’avvocato

1

ANTONINO

Data pubblicazione: 19/07/2018

FRANCONE giuste procure in calce al controricorso;
– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 923/2016 della CORTE D’APPELLO
di CATANIA, depositata il 08/06/2016;
udita la relazione della causa svolta nella camera di

MARILENA GORGONI;
lette le conclusioni scritte del Pubblico Ministero,
in persona del Sostituto Procuratore generale Dott.
GIUSEPPE CORASANITI che ha concluso chiedendo il
rigetto del ricorso principale;

/

2

consiglio del 10/05/2018 dal Consigliere Dott.

R.G. N. 19948/16
FATTI DI CAUSA

■c67

1. Nella notte tra il 29 e il 30 aprile 1998, Maria Frasca, lamentando dolori
pre-parto, si recava presso l’Azienda Ospedaliera civile M. P. Arezzo di Ragusa,
ove il ginecologo di turno le consigliava il rientro a casa, ritenendo il ricovero
prematuro. Persistendo i forti dolori, i coniugi Iozzia-Frasca si rivolgevano il

consigliava l’immediato ricovero ospedaliero. Tornata in ospedale, Maria Frasca
veniva sottoposta a controllo tococardiografico ed avviata in sala operatoria,
ove, a seguito di parto cesareo d’urgenza, partoriva, 73 minuti dopo
l’accertamento della sofferenza fetale in atto, la figlia Annalisa, risultata affetta
da gravi danni cerebrali, consistenti in una ischemia con emiparesi sinistra.
1.1. Michele Iozzia e Maria Lucia Frasca, anche nella veste di titolari della
responsabilità genitoriale nei confronti di Annalisa Iozzia, citavano in giudizio
(30.04.98), dinanzi al Tribunale di Ragusa, l’Azienda Ospedaliera civile M. P.
Arezzo di Ragusa, lamentando il colpevole ritardo con cui erano stati eseguiti il
tracciato tococardiografico e il parto cesareo, e ne chiedevano la condanna al
risarcimento dei danni alla nascita subiti dalla figlia e dei danni patrimoniali,
morale ed esistenziale patiti da essi attori quali vittime indirette: danni
quantificati in complessi euro 2.600.000 o nella maggiore o minor somma
ritenuta equa ed opportuna dal Tribunale.
1.2. Autorizzata la chiamata in garanzia della Società Cattolica di
Assicurazione Coop. a.r.I., assicuratrice della convenuta, e dei sanitari Giorgio
Migliorisi, Giuseppe Bonanno e Giovanni Maltese, i quali, a loro volta
chiamavano in garanzia i propri assicuratori, rispettivamente, la ma Assitalia
s.p.a., la Zurigo Assicurazioni e la Milano Assicurazioni, il Tribunale di Ragusa,
con sentenza n. 311/2007, depositata il 12.04.2007, rigettava le richieste
attoree anche nei confronti dei terzi chiamati in causa dalla convenuta;
condannava i coniugi Iozzia- Frasca alla rifusione delle spese giudiziali nei
confronti della convenuta e del chiamato in garanzia; condannava l’Azienda
ospedaliera alla rifusione delle spese giudiziali nei confronti dei sanitari che
essa aveva chiamato in causa e dei loro assicuratori.
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mattino successivo al ginecologo di fiducia – Giuseppe Bonanno – che

2. I coniugi Iozzia-Frasca impugnavano la sentenza di prime cure presso la
Corte di Appello di Catania, insistendo per la condanna risarcitoria della sola
Azienda ospedaliera.
2.1. L’Azienda ospedaliera proponeva separato appello con cui lamentava
la condanna subita alla rifusione delle spese.
2.2. La Milano Assicurazioni s.p.a., assicuratrice di Giuseppe Bonanno, in

assicurativa e, quindi, accertata l’inoperatività della relativa copertura.
2.3. La Corte di appello, con sentenza n. 923/2016, pubblicata 1’8.6.2016,
accoglieva la domanda degli appellanti, anche nella veste di titolari della
responsabilità genitoriale nei confronti della figlia Annalisa, e condannava
l’Azienda ospedaliera a: a) pagare euro 1.506.103,00, a titolo di danno non
patrimoniale, oltre agli interessi legali da conteggiare sulla somma devalutata
alla data della nascita e rivalutata anno per anno; euro 500.000 a titolo di
danno patrimoniale a favore di Annalisa Iozzia; euro 180.000.00 a favore di
ciascun genitore a titolo di danno morale; b) rifondere i coniugi Iozzia-Frasca
delle spese del primo grado di giudizio, di quelle della C.t.u. ivi espletata
nonché delle spese del grado; c) rifondere delle spese del grado le
assicurazioni avverso le quali aveva proposto gravame; d) farsi carico delle
spese della C.T.U. del grado. 2.4. Rigettava l’appello proposto in via autonoma
dall’azienda ospedaliera nonché l’appello incidentale proposto dalla Milano
Assicurazioni s.p.a.
2.5. Compensava le spese di primo grado tra gli attori e la Società Cattolica
di Assicurazioni coop. a.r.I.; compensava le ulteriori spese del grado.
3. Avverso la decisione della corte territoriale propone ricorso in cassazione
l’Azienda sanitaria provinciale n. 7 di Ragusa, subentrata alla cessata Azienda
Regionale di riferimento per l’emergenza di secondo livello Ospedali civile e
M.P. Arezzo di Ragusa, fondandolo su 2 motivi, illustrati da memoria.
3.1. Resistono con controricorso i coniugi Iozzia- Frasca, illustrato da
memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE

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via incidentale, chiedeva che venisse dichiarato prescritto il diritto alla garanzia

V
4. Con il primo motivo, rubricato “Erronea applicazione delle norme di
legge e, in particolare degli artt. 1176, 1218, 1223 e 2697 c.c. – violazione del
principio di causalità e dell’ordine della prova – violazione degli artt. 2728 e
2729 c.c. – omesso esame di un fatto decisivo che è stato oggetto di
discussione delle parti”, l’Azienda sanitaria lamenta: a) l’errore della corte
territoriale per avere posto a carico del paziente la prova dell’esistenza del

dalla difettosa tenuta della cartella clinica. Tali errori sarebbero derivati
dall’omesso esame di un fatto decisivo, rappresentato dalle conclusioni della
C.T.U. che non avrebbe consentito di accertare se la sofferenza fetale fosse in
corso durante la fase di travaglio e se essa fosse stata di durata tale da aver
provocato ex se o in concorso con altre cause i danni cerebrali subiti dalla
neonata (p. 12 del ricorso).
5. Con il secondo motivo, rubricato violazione degli articoli 40 e 41 c.p. erronea applicazione del nesso di causalità al fine del danno liquidato e/o della
responsabilità civile – la ricorrente lamenta che, in ossequio al principio della
causalità adeguata, la corte territoriale gli abbia interamente addebitato
l’obbligo risarcitorio.
6. Preliminarmente va respinta la eccezione di improcedibilità sollevata dai
resistenti con la memoria ex art. 378 c.p.c. Il vizio lamentato, consistente nella
asserita notifica della sentenza di appello da parte della società Zurigo
assicurazioni a tutti i procuratori delle parti costituite in grado di appello, senza
che nel ricorso se ne facesse menzione, emerge — e per la prima volta — solo
dalla documentazione allegata alla memoria. Tale produzione documentale, la
cui portata è, peraltro, contestata dalla resistente nella sua memoria, non può
essere esaminata dalla Corte, onde verificare la ricorrenza o meno della
lamentata improcedibilità del ricorso, perché è stata allegata per la prima volta
irritualmente con la memoria di cui all’art. 378 c.p.c.
7. Si possono ora esaminare i motivi del ricorso.
8. Il primo motivo, al di là dei non marginali profili di inammissibilità da cui
risulta affetto, è infondato.

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nesso causale; b) l’aver presunto l’inadempimento dei sanitari, deducendolo

N-C

i
8.1. La prospettazione della censura, riportando solo stralci della relazione

peritale (p. 13 del ricorso) ed omettendo di indicare il fatto allegato e oggetto
di contestazione (deducendo, tra l’altro, la violazione dell’art. 2697 c.c., la
ricorrente avrebbe dovuto evidenziare che il fatto era stato fatto oggetto di
contestazione, perché l’onere della prova attiene solo a fatti contestati: Cass.
28/06/2012, n. 10853), il dato extratestuale dal quale evincere la sua

discussione tra le parti, non consente di attribuire al fatto omesso i caratteri
del tassello mancante alla plausibilità cui è giunta la sentenza rispetto a
premesse date nel quadro del sillogismo giudiziario (Cass., sez. un.,
07/04/2014, n. 8053; Cass. 9/09/2016, n. 19312). Il motivo, peraltro, risulta
anche genericamente formulato per non aver centrato la tipologia di vizio di
legittimità, nell’ambito della tassativa previsione di cui all’art. 360 c.p.c.,
comma 1, in presenza del quale si chiede la cassazione della sentenza di
merito. La ricorrente non riconduce, infatti, il vizio lamentato a nessuna delle
categorie logiche di cui all’art. 360, comma 1, c.p.c.
8.2. Nel merito va innanzitutto escluso, ex actis, che il giudice a quo abbia
omesso di porre a base delle proprie statuizioni le risultanze della C.T.U.,
soprattutto con riferimento alla ricorrenza di una grave situazione di sofferenza
fetale in corso di travaglio e alla sua incidenza causale sul danno occorso.

Ex

adverso, a pag. 11 della sentenza, il giudice territoriale dà atto, dopo aver
disposto una nuova C.T.U, affidata ad un collegio (p. 9), di aver invitato i periti
— i quali avevano inizialmente concluso che era “da ritenersi alquanto
probabile che una situazione di sofferenza fetale in corso di travaglio, seppure
di entità non grave, possa avere agito su un sostrato già compromesso con
conseguenze ed esti notevolmente più seri ed estesi …” — a specificare se i
reperti della R.M. e dell’angioRM dell’encefalo fossero compatibili con una grave
situazione di sofferenza fetale in corso di travaglio e/o ad individuare ed
illustrare la presenza di eventuali circostanze idonee ad escluderlo e atte a
giustificare in altro modo i danni riportati dalla nascitura ovvero ad aggravare il
sostrato già compromesso derivante da una situazione di sofferenza fetale,
seppure di entità non grave, in corso di travaglio.
6

esistenza nonché il come e il quando tale fatto fosse stato oggetto di

8.3. Ne risulta destituita di fondamento per tabulas la censura di cui alle
pp. 11-12 del ricorso. Non solo, infatti, la corte territoriale ha chiarito (p. 9) di
aver disposto una nuova C.T.U. per far luce sui numerosi rilievi formulati in
corso di causa, ma non appare veritiero che i giudici non avessero formulato
un quesito specifico relativo all’efficienza causale della sofferenza fetale sul
danno. Non è predicabile, dunque, che si fosse formato un giudicato, oggetto

parto vi era stata essa non poteva considerarsi che di durata tale da risultare
inidonea a provocare i danni neurologici patiti dalla nascitura (cfr. supra e p.
11 della sentenza).
8.4. Vero è che proprio e solo sull’attento esame anche della nuova C.T.U.
nonchè della successiva relazione integrativa — la quale, sulla scorta della
documentazione esaminata, chiariva che non fu possibile risalire con
precisione all’epoca di insorgenza del danno cerebrale, specificando
espressamente che poteva essersi verificato tanto in epoca perinatale, quanto
in epoca pre-intra e post natale — che la corte territoriale ha fondato la propria
decisione.
8.5. La ricorrente omette di considerare e anzi svaluta surrettiziamente la
circostanza che la C.T.U. nella prima relazione, e ancor più approfonditamente
in quella integrativa, aveva segnalato le rilevanti e numerose omissioni della
cartella clinica – mancanza di dati anamnestici riguardo alla visita nella notte
tra il 29 e il 30 aprile 1998; mancanza di registrazione cardiotocografica
successiva alle ore 8.32; mancanza di dati relativi alla visita effettuata alle ore
9.05; mancanza dell’indicazione delle ragioni che indussero a predisporre un
cesareo d’urgenza; mancanza di descrizione del reperto obiettivo relativo al
cordone ombelicale e alla placenta – che avevano impedito al collegio peritale
di dare risposta certa ai quesiti formulati dal giudice: in ordine alla decorrenza
della sofferenza neonatale e alla presenza di altre cause atte a provocare i
danni occorsi alla neonata (p. 13 della sentenza).
8.6.

E’ conforme al consolidato insegnamento della giurisprudenza di

questa Corte che l’incompletezza della cartella clinica, in considerazione anche
del principio della prossimità della prova, cioè della effettiva possibilità per
7

di C.T.U. in primo grado, in merito al fatto che se la sofferenza fetale durante il

l’una o per l’altra parte di offrirla, integra il presupposto affinché operi la prova
presuntiva del nesso causale a sfavore del medico, sempre che la sua
condotta sia astrattamente idonea a cagionare il danno occorso (Cass.
27/04/2010 n. 10060; Cass. 26/01/2010 n. 1538). Essendo le omissioni
evidenziate dalla C.T.U. imputabili ai medici, esse rilevano, infatti, sia ai fini
della figura sintomatica dell’inesatto adempimento, per difetto di diligenza, in

possibilità di fare ricorso alla prova presuntiva, poiché l’imperfetta
compilazione della cartella non può, in linea di principio, tradursi in un danno
nei confronti di colui il quale abbia diritto alla prestazione sanitaria” (Cass.
31/03/2016, n. 6209; Cass. 08/11/2016 n. 22639; Cass. 9/06/2011 n.
12686; Cass.13/03/2009 n. 6218; Cass. 19/04/ 2006 n. 9085; Cass.
21/07/2003 n. 11316; Cass.13/09/2000 n. 12103).
8.7. La ricorrente non può lamentare, dunque, che la sentenza impugnata
non abbia negato la sofferenza in travaglio, in assenza di accertamenti idonei a
tale esclusione, presumendo che il ritardo nell’esecuzione del parto cesareo sia
stato idoneo a provocare un evento trombotico, generatore dei danni riportati
dalla nascitura, senza aver vinto la presunzione richiamata, secondo il criterio
generale di cui all’art. 2697, comma 2, c.c., provando la presenza di una
situazione di benessere fetale.
8.8. Ciò che è emerso, al contrario, è che il monitoraggio cardiotocografico,
oltre ad essere stato di breve durata – 24 minuti a fronte della durata minima
di 40 indicata dalle Linee guida – a tratti sia risultato anche privo di indicazioni
– ad esempio tra il momento della visita e quello in cui fu deciso di ricorrere al
cesareo d’urgenza – . Pertanto, il ricorrente non ha dimostrato la ricorrenza di
una situazione di benessere fetale neppure temporanea né ha fornito
indicazioni circa il momento esatto in cui insorse la sofferenza fetale. Posto che
la prova certa della sussistenza di una sofferenza fetale non è stata raggiunta a
causa delle omissioni nella tenuta della cartella clinica e dell’indisponibilità di
una parte del tracciato cardiotografico, in sintonia con la giurisprudenza di
questa corte, è escluso che le mancanze – che hanno determinato la
situazione di incertezza – ridondino, come preteso dalla ricorrente, a favore di
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relazione alla previsione generale dell’art. 1176, comma 2, c.c. sia come

quella parte che invece avrebbe avuto l’obbligo di accertare la situazione clinica
della partoriente e del feto.
8.9. Richiedere detta prova positiva a carico della partoriente
significherebbe gravare quest’ultima di un onere probatorio che, invece, in
presenza di un’omissione (mancata diagnosi di sofferenza fetale e mancato
tempestivo intervento al momento del travaglio e del parto), che si assume

positiva del fatto capace di escludere il nesso di causalità tra il dedotto
inadempimento dei sanitari (o della struttura ospedaliera), idoneo a provocare
l’evento, e tale evento (rilevante in quanto ritenuto causa efficiente della grave
patologia lamentata dalla vittima).
9. Infondato è altresì il secondo motivo di ricorso.
9.1. L’elemento causale non solo è criterio di imputazione, ma anche
regola probatoria per il successivo accertamento dell’entità delle conseguenze
pregiudizievoli del fatto che si traducono in danno risarcibile Essa consta,
pertanto, di due fasi corrispondenti al giudizio sull’illecito (nesso
condotta/evento) costituito dalla ricostruzione del fatto idoneo a fondare la
responsabilità, per il quale la problematica causale, detta della causalità
materiale o di fatto, è analoga a quella penale di cui agli artt. 40 e 41 c.p., ed il
danno rileva solo come evento lesivo, e al giudizio sul danno da risarcire
(nesso evento/danno), al quale va riferita la regola dell’art. 1223 c.c., che
riguarda la determinazione dell’intero danno cagionato, oggetto
dell’obbligazione risarcitoria, attribuendosi rilievo, all’interno delle serie causali
così individuate, a quelle che, nel momento in cui si produce l’evento, non
appaiono del tutto inverosimili, come richiesto dalla cosiddetta teoria della
causalità adeguata o della regolarità causale, fondata su un giudizio formulato
in termini ipotetici (Cass. 23/12/2010, n. 26042).
9.2. La corte territoriale si è occupata del principio della c.d. causalità
adeguata alle pp. 21-22, chiarendo di voler “completare l’esame del quadro
giurisprudenziale di riferimento, a fronte delle dedotte questioni”, dopo aver
liquidato il danno a favore della nata, ma prima di liquidare il danno morale ai
genitori. Non a caso la corte richiama la decisione a sezioni unite
9

idonea a determinare l’evento, grava sui sanitari, atteggiandosi come prova

dell’1/07/2002 n. 9556 relativa al risarcimento del danno morale ai prossimi/
congiunti, già evocata a pag. 20 proprio al medesimo fine.
9.3. Non colgono nel segno, pertanto, le censure contenute a pag. 20 del
ricorso, del tutto eccentricamente dedotte e, per di più, inconferenti, perché
specificamente relative al fatto che il capo della sentenza impugnata non
riconosca “nemmeno l’esistenza di una verosimile concausa (una patologia

medesimo” e da giustificare (cfr. p. 22) la ripartizione dell’obbligazione
risarcitoria tra i soggetti.
9.4. E’ evidente – per collocazione topografica e per richiami testuali
disattesi dalla ricorrente – che il giudice

a quo ha inteso giustificare il

riconoscimento del danno morale ai genitori della nata, convenendo con la
giurisprudenza richiamata che il nesso di causalità fra fatto illecito ed evento
può essere anche indiretto e mediato, purché il danno si presenti come un
effetto normale, secondo il principio della c.d. regolarità causale (precisando
che la “c.d. teoria della causalità adeguata o della regolarità causale”, oltre che
una teoria causale è anche una teoria dell’imputazione del danno) e che il
riferimento al disposto dell’art. 1223 c.c., già richiamato a pag. 20, non è
idoneo ad escludere il risarcimento del danno morale in favore dei congiunti del
leso, poiché non vi è dubbio che lo stato di sofferenza dei congiunti, nel quale
consiste il loro danno morale, trova causa efficiente, per quanto mediata, pur
sempre nel fatto illecito del terzo nei confronti del soggetto leso.
10. Ne consegue che il ricorso deve essere rigettato.
11. Le spese del presente giudizio di cassazione – liquidate nella misura
indicata in

dispositivo – seguono la soccombenza, dandosi atto della

sussistenza dei presupposti di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1
quater, introdotto dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, per il
versamento di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato.
PQM

La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento delle spese
in favore dei controricorrenti, liquidandole in euro 18.000,00 per compensi,
10

congenita della piccola Annalisa) tale da incidere sulla entità del risarcimento

oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in
euro 200,00 ed agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater del d.p.r. 115 del 2002, dà atto della
sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente,
dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il
ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13.

civile della Corte di Cassazione.

Così deciso nella Camera di Consiglio del 10/05/2018 dalla Terza Sezione

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