Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19189 del 19/07/2018


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Civile Ord. Sez. 3 Num. 19189 Anno 2018
Presidente: TRAVAGLINO GIACOMO
Relatore: FIECCONI FRANCESCA

ORDINANZA

sul ricorso 27325-2016 proposto da:
IANNELLI ANGELINA, EGITTO LUCIEN

elettivamente

domiciliati in ROMA, VIA DELLA VALLE PIETRO 1, presso
lo studio dell’avvocato FRANCESCO ISGRO’,
rappresentati e difesi dall’avvocato PIETRO ROSSI
giusta procura in calce al ricorso;
– ricorrenti contro

2018
1407

LI BASSI PAOLO, elettivamente domiciliato in ROMA,
VIA FEDERICO CESI, 72, presso lo studio dell’avvocato
PAOLO DE ANGELIS, rappresentato e difeso
dall’avvocato GIUSEPPE PICONE giusta procura in calce
al controricorso;

1

Data pubblicazione: 19/07/2018

- controricorrente nonchè contro

AZIENDA SANITARIA PROVINCIALE DI AGRIGENTO ;

intimata

Nonché da:
SANITARIA PROVINCIALE

DI AGRIGENTO

considerata domiciliata ex lege in ROMA, presso la
CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentata
e difesa dall’avvocato GIOVANNI IACONO MANNO giusta
procura in calce al controricorso e ricorso
incidentale;
– ricorrente incidentale contro

IANNELLI ANGELINA, EGITTO LUCIEN

elettivamente

domiciliati in ROMA, VIA DELLA VALLE PIETRO l, presso
lo studio dell’avvocato FRANCESCO ISGRO’,
rappresentati e difesi dall’avvocato PIETRO ROSSI
giusta procura in calce al controricorso;
– controricorrenti all’incidentale nonchè contro

LI BASSI PAOLO;

intimato

avverso la sentenza n. 777/2016 della CORTE D’APPELLO
di PALERMO, depositata il 28/04/2016;
udita la relazione della causa svolta nella camera di
consiglio

del

10/05/2018

dal

2

Consigliere

Dott.

AZIENDA

FRANCESCA FIECCONI;
lette le conclusioni scritte del Pubblico Ministero,
in persona del Sostituto Procuratore generale Dott.
GIUSEPPE CORASANITI che ha concluso chiedendo

I

l’accoglimento del ricorso principale;

RG 27325/2016
RITENUTO IN FATTO

1. La vicenda posta alla base del ricorso per cassazione riguarda un ricovero
coatto del ricorrente presso il servizio psichiatrico degli Ospedali Riuniti
di Sciacca, intervenuto il 14 marzo 1998, in seguito a una diagnosi di

o sociali, che aveva provocato un’ordinanza sindacale di TSO nei suoi
confronti. Sul presupposto che il paziente versasse in una crisi di
astinenza da sostanze stupefacenti, gli veniva prescritto un trattamento
con metadone. Dopo vari giorni di trattamento il 19 marzo, alle ore 5:30,
veniva trovato in stato di corna da cui sono derivati postumi invalidanti,
con un quadro neuromotorio di tetraparesi spastica. L’azione giudiziaria
pertanto è stata esperita dal soggetto ricoverato, allora ventunenne, e
dai suoi genitori nei confronti della struttura ospedaliera di ricovero,
dell’azienda ospedaliera di riferimento e dei medici che avevano praticato
le cure, per ottenere la condanna al risarcimento in relazione ai rispettivi
titoli di responsabilità, sull’assunto che al momento del ricovero non
fosse stata accertata l’esistenza di tracce di sostanze stupefacenti nel
sangue e che, anzi, i risultati degli esami ematici dovevano fare
intendere ai sanitari l’esistenza di alcol-dipendenza, incompatibile con il
trattamento mediante metadone; deducevano altresì i ricorrenti che il
paziente fosse stato lasciato in stato di abbandono fino a che non era
stato trovato in corna, dal quale si è ripreso con postumi invalidanti. Nel
primo grado veniva esperita una c.t.u. e il tribunale di Sciacca, dopo
avere dichiarato il difetto di legittimazione passiva dell’ospedale di
Sciacca, condannava l’azienda Usl di Agrigento, competente per il TSO, e
il medico che aveva somministrato varie dosi di metadone al
risarcimento del danno, in solido tra loro, nella misura di C 573.632,62
in favore dell’assistito rimasto invalido e di C 77.470 in favore dei
genitori. La sentenza veniva impugnata da tutte le parti convenute e gli
attori formulavano appello incidentale per le domande non accolte.
4

disturbo di personalità con predominio delle manifestazioni sociopatiche

2. La Corte d’appello di Palermo pronunciava prima, una sentenza non
definitiva (numero 828 del 2014 pubblicata il 20 maggio 2014) con cui,
in parziale riforma della sentenza del tribunale di Sciacca, e in
accoglimento dell’appello incidentale proposto dal medico, rigettava la
domanda degli attori nei suoi confronti reputando che il metadone
somministrato, avuto riguardo del basso dosaggio, non fosse stata una

aveva presentato sintomi di astinenza; rigettava, invece, l’appello
dell’ azienda sanitaria di Agrigento tendente ottenere la riforma, nei suoi
confronti, della condanna pronunciata contro la struttura sanitaria,
ritenendo che la struttura fosse in parte responsabile per avere lasciato il
paziente privo della necessaria sorveglianza nella fase di ricovero, posto
che era presumibile che il paziente avesse trovato il modo di acquisire
sostanze oppiacee o alcool da cui era dipendente; affermava, quindi, la
corresponsabilità della vittima nella produzione dell’evento dannoso che
lo aveva riguardato nella misura del 70%, attribuendo la restante quota
del 30% all’azienda sanitaria appellante. Disponeva infine la rimessione
della causa sul ruolo per gli accertamenti inerenti alle condizioni di salute
dell’attore e per la quantificazione dei danni. La difesa degli attori faceva
riserva di impugnazione della sentenza non definitiva della Corte.
3. Con sentenza definitiva veniva accertata la sussistenza di postumi
invalidanti nella misura del 80% di danno biologico; pertanto la somma
complessiva a titolo risarcitorio veniva rideterminata in C 561.463,47,
oltre interessi legali dalla data della sentenza soddisfo; l’azienda
ospedaliera veniva inoltre condannata al risarcimento di euro 32.000,19
a favore dei genitori della vittima; dichiarava compensate, in ragione di
un mezzo, le spese del doppio grado di giudizio relative al rapporto
processuale tra l’azienda sanitaria e gli attori; dichiarava interamente
compensate tra le parti le spese del doppio grado del giudizio relative al
rapporto intercorso tra il medico e gli attori; condannava gli attori alla
rifusione delle spese del doppio grado del giudizio sostenute dal medico
Dott. Scifo, ordinando la distrazione delle medesime in favore del
5

terapia inappropriata su un soggetto da anni tossicodipendente e che

procuratore antistatario; poneva infine le spese di c.t.u. del doppio
grado, in ragione del 50% a carico dell’appellante azienda sanitaria di
Agrigento, e in ragione 50% a carico solidale degli attori.
4. Avverso la sentenza 777/2016 pubblicata il 28 aprile 2016, non
notificata, nonché avverso la precedente sentenza non definitiva numero
828/2014 pubblicata il 20 maggio 2014 della corte d’appello di Palermo,

cassazione i signori Lucien Egitto e Angelina Iannelli, madre del
ricorrente, affidato a due motivi di ricorso. L’Azienda sanitaria provinciale
di Agrigento ha notificato controricorso e ricorso incidentale, notificato in
data 23 dicembre 2000, affidato a un motivo. Il dottor Paolo Libassi ha
notificato controricorso notificato per via telematica, munito di
attestazione di ricevuta sulla copia analogica della relata della notifica
sottoscritta digitalmente, in data 30/12/2016; i ricorrenti hanno
presentato controricorso per resistere al ricorso incidentale a’ sensi
dell’articolo 371, comma quattro, c.p.c., notificato per via telematica.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. SUL PRIMO MOTIVO. Con il primo motivo i ricorrenti denunciano la
violazione o falsa applicazione ai sensi dell’articolo 360 comma 1, numero 3
cod.proc.civ. delle norme di cui alle articoli 1176, 1218.2697 codice civile,
ovvero, in alternativa, la violazione o falsa applicazione dell’articolo 132
comma due, numero quattro cod.proc.civ. e l’ omesso esame di un fatto
decisivo ai sensi dell’articolo 360, primo comma, numero 5 cod.proc.civ. in
relazione alla responsabilità del medico e della struttura per le terapie
apprestate. Si deduce in particolare che la Corte territoriale non abbia fatto
buon governo dei principi su riparto dell’onere probatorio in tema di
accertamento della responsabilità medica per la terapia praticata.
1.1.

Il motivo è inammissibile. La sentenza della Corte d’appello, sulla

scorta della c.t.u. espletata, ha ritenuto che la somministrazione di
metadone, tra l’altro nei confronti di un soggetto che già in precedenza
6

con atto notificato il 25 novembre 2016, propongono ricorso per

si era dimostrato propenso all’uso di oppiacei, anche in ragione dei bassi
dosaggi somministrati, non sia stata causa dello stato di coma, e che
tale stato sia conseguenza di una mancata sorveglianza del paziente
che, durante il ricovero, avrebbe autonomamente assunto ulteriori dosi
di alcool e oppiacei, posto che la successiva applicazione della terapia
specifica di contrasto a sostanze tossiche (Narcan) ha evitato la morte

instaurati. Pertanto la Corte ha ritenuto che un maggior controllo poteva
consentire un precoce trattamento o comunque poteva evitare l’auto o
etero somministrazione di sostanze tossiche. La ragione del decidere
riposa quindi in un accertato difetto di nesso di causalità tra la
somministrazione del metadone e le conseguenze patite, e in un
ritenuto nesso di causalità tra l’omessa vigilanza e lo stato di coma
acquisito, provocato dall’assunzione di oppiacei e di alcool mentre il
paziente era in terapia con metadone, mentre i ricorrenti assumono che
l’affermazione, fatta dalla Corte, della sussistenza di una convincente
prova contraria circa la condotta colposa del medico sia del tutto
apodittica e apparente. Inoltre i ricorrenti assumono che non siano
state osservate le regole sugli oneri probatori in caso di responsabilità
medica, per potere escludere la responsabilità conseguente alla terapia
praticata..
1.2.

La ragione del decidere riscontrabile nella decisione de qua si fonda

sulla constatazione in fatto che la somministrazione di metadone da
parte del medico della struttura, per il dosaggio somministrato, non
possa avere causato la lesione successivamente riscontrata, e che
quest’ultima, invece, sia diretta conseguenza dell’omessa vigilanza
dell’Istituto sul ricoverato che, probabilmente, mentre era in fase di
miglioramento è riuscito a procurarsi oppiacei ed alcool da cui era
dipendente, posto che la cianosi è migliorata non appena è stato trattato
con il farmaco di contrasto “Narcan”. I ricorrenti, sul punto, omettono di
indicare in quale passo della consulenza tecnica, le cui valutazioni sono
state fatte proprie dai giudici, sia desumibile una diversa ricostruzione
7

del paziente, ma non i danni cerebrali che nel frattempo si sono

dell’ evento occorso; essi , piuttosto, ripongono le diverse valutazioni su
criteri astratti, attinenti alla prova della colpa medica, non valevoli per il
caso in analisi ove vi è stato un accertamento in concreto della
mancanza di un nesso causale tra la somministrazione di metadone,
indicata come terapia appropriata, e la lesione riscontrata. Il motivo va
dunque dichiarato inammissibile perché non offre elementi in concreto

prova della responsabilità medica per erroneo trattamento sanitario, non
tenendo conto degli specifici rilievi svolti sulla base delle prove raccolte e
della CTU ai fini del decidere, dimostrandosi la censura del tutto non
pertinente rispetto alla decisione in concreto assunta e carente del
requisito di autosufficienza di cui all’art. 366 numero 4 e 6
cod.proc.civ..

2. SUL SECONDO MOTIVO E SUL RICORSO INCIDENTALE.
2.1.

Con il secondo motivo i ricorrenti denunciano la violazione e la falsa

applicazione, ai sensi dell’articolo 360, primo comma, numero 3 cod.
proc. civ., delle norme di cui agli articoli 1227 e 2056 codice civile, in
relazione all’articolo 40 codice penale e agli articoli 1176, 1374 e 1218
codice civile in tema di concorso colposo del paziente. I ricorrenti si
dolgono del fatto che sia stata attribuita la responsabilità prevalente al
paziente, nella misura del 70%, rispetto a quella della struttura sanitaria
che aveva ricevuto il paziente nel reparto psichiatrico sotto il regime di
trattamento sanitario obbligatorio. Deducono che la Corte di merito,
disattendendo le argomentazioni del tribunale di Sciacca che aveva
definito di “pura fantasia” la circostanza relativa alla pretesa assunzione
da parte del giovane di alcool o droga durante il ricovero in trattamento
sanitario obbligatorio, dopo la somministrazione di metadone, avrebbe
elevato la c.t.u. a fonte di prova di quella circostanza, non tanto per
escludere il nesso causale tra il fatto e il danno, ma per affermare quel
fatto come realmente accaduto e provato, anche ai fini del concorso
colposo del danneggiato. Lo stesso capo della sentenza viene fatto
8

idonei a contrastare i rilievi svolti dalla Corte in merito alla carenza di

oggetto di ricorso incidentale da parte dell’azienda sanitaria
controricorrente, sull’assunto che vi sia stata una violazione dell’articolo
112 c.p.c. in quanto la Corte si sarebbe pronunciata su una domanda
che gli attori non avevano proposto in prime cure e che comunque le
medesime avevano radicalmente mutato ponendo a suo fondamento
nuovi fatti costitutivi, vale a dire l’assunzione da parte del giovane di

conclusionale del giudizio di primo grado: la domanda principale,
attinente alla somministrazione di metadone in assenza di adeguati
accertamenti preventivi e preliminari, quindi, si sarebbe in via del tutto
inammissibile trasformata in domanda di accertamento di responsabilità
per mancata vigilanza su un soggetto ricoverato in regime di
trattamento sanitario obbligatorio, sull’assunto che le visite di terzi non
erano annotate sulla cartella clinica e che un maggiore controllo sul
paziente avrebbe potuto evitare l’eventuale ingestione o
somministrazione di sostanze tossiche o, comunque, avrebbe consentito
un rapido intervento da parte dei sanitari con terapia specifica.
2.2. Risulta preliminare la questione processuale di ius novum e di
ultrapetizione posta dall’azienda controricorrente, al tempo resa oggetto
di specifico appello, rigettato dalla Corte d’appello. Sul punto rileva
osservare che la ASL non ha fatto riserva di impugnazione della
sentenza non definitiva di rigetto, sebbene tale attività sia richiesta
anche per il ricorso per cassazione, ai sensi dell’art. 361 cod.proc. civ., il
che rende il ricorso incidentale del tutto inammissibile.
2.3.

Il motivo dei ricorrenti, invece, è infondato. In proposito, vale la

considerazione per cui, in ipotesi di lesioni determinatesi in fase di
ricovero ospedaliero, che implica una responsabilità contrattuale della
struttura sanitaria, «incombe sul paziente che agisce per il
risarcimento del danno l’onere di provare il nesso di causalità tra
l’aggravamento della patologia (o l’insorgenza di una nuova malattia) e
l’azione o l’omissione dei sanitari, mentre, ove il danneggiato abbia
assolto a tale onere, spetta alla struttura dimostrare l’impossibilità della
9

alcol e droga durante il ricovero coatto, allegati solo nella comparsa

prestazione derivante da causa non imputabile, provando che l’inesatto
adempimento è stato determinato da un impedimento imprevedibile ed
inevitabile con l’ordinaria diligenza» (Cass. Sez. 3 – , Sentenza n.
18392 del 26/07/2017 (Rv. 645164 – 01).
2.4.

Tra le prestazioni a carico della struttura assumono un ruolo
rilevante gli obblighi, normalmente accessori, di sicurezza e protezione

sopra detto, quale effetto naturale ex art. 1374 cod. civ., l’obbligo della
struttura sanitaria di sorvegliare il paziente in modo adeguato rispetto
alle sue condizioni, al fine di prevenire che questi possa causare danni a
terzi o subirne. A proposito della responsabilità per omessa vigilanza nei
confronti di persona ospite di un reparto psichiatrico, anche se non
interdetta ne’ sottoposta ad intervento sanitario obbligatorio, questa
Corte ha in più di una occasione ricondotto il rapporto nell’ambito
contrattuale del rapporto di spedalità, ed in particolare di quel contratto
atipico di assistenza sanitaria che si sostanzia di una serie complessa di
prestazioni che la struttura eroga in favore del paziente, sia di natura
medica che latu sensu di ospitalità alberghiera, con obbligazioni di
assistenza e di protezione destinate a personalizzarsi in relazione alla
patologia e alle condizioni soggettive del soggetto bisognoso di cure. In
relazione a pazienti con problemi psichiatrici o di tossicodipendenza, la
configurabilità di un particolare dovere di sorveglianza a carico del
personale sanitario addetto al reparto, e della conseguente
responsabilità risarcitoria per i danni provocati al ricoverato o dal
ricoverato, presuppone la prova della concreta -e non presuntaincapacità di intendere o di volere del soggetto (in questo senso v. Cass.
n. 2483 del 1997, Cass. n. 12965 del 2005, Cass. n. 22818 del 2010).
Pertanto il suddetto obbligo sussiste in ogni ipotesi, e la diversità di
giudizio può incidere unicamente sulle modalità del suo adempimento a
seconda dei casi che si presentano (Sez. 3, Sentenza n. 22331 del
22/10/2014).

10

dei soggetti ricoverati, atteso che il contratto di ricovero produce, come

2.5.

L’obbligo di sorveglianza, dunque, è connaturato al regime di

trattamento sanitario in fase di ricovero e, a maggior ragione, richiede
la prova di un adempimento da parte della struttura ospedaliera
commisurato alle condizioni effettive in cui si trova il paziente.
2.6. Ciò posto, in merito al nesso di causalità tra violazione dell’obbligo
di protezione e di cura in fase di ricovero ed evento lesivo verificatosi

condotta di stretta sorveglianza, nel caso di specie rileva certamente la
circostanza che il paziente coattivamente ricoverato in regime di TSO,
disposto ai sensi della legge 13 maggio 1978, n. 180, fu trovato in corna
dopo 17 ore dall’ultima visita annotata, ove « il paziente si era
dimostrato orientato nello spazio e nel tempo. Lucida la coscienza.
Espressione partecipe, atteggiamento collaborante…(v. p.10 sentenza
828/2014 impugnata) ». Pertanto, nel caso specifico, ha assunto
rilievo il fatto che, dopo una terapia appropriata che aveva stabilizzato il
paziente, non si aveva ragione di pretendere dalla struttura ospedaliera
che venissero realizzate modalità di sorveglianza particolarmente
differenziate e qualificate a tutela della salute e sicurezza del paziente
ricoverato. Il che ovviamente è stato dimostrato in maniera del tutto
soddisfacente nella fase iniziale del ricovero coatto e della terapia
praticata, ma non del tutto nel prosieguo del trattamento allorché il
paziente aveva dato prova di avere recuperato le proprie capacità
mentali, tuttavia certamente non sufficienti a evitare comportamenti
autolesionisti collegati alla tossicodipendenza, o interferenze
dall’esterno, atteso che in un reparto psichiatrico anche l’ingresso di
terzi dovrebbe essere in qualche modo sorvegliato o più strettamente
regolamentato, mentre su questo punto la struttura ospedaliera ha
riferito che la sua prestazione non poteva spingersi oltre.
2.7.

Il ragionamento che ne è seguito, in termini di attribuzione di parte

della responsabilità alla struttura e di altra parte di responsabilità al
ricoverato, evidentemente sottrattosi volontariamente ai controlli, è
pertanto opera di un bilanciamento conseguente alla premessa circa la
11

all’interno della struttura, ai fini della valutazione della esigibilità di una

sussistenza di un generale obbligo di sorveglianza e di protezione
connaturato al ricovero di un paziente in regime di T.S.O. e all’accertata
sussistenza di una situazione di raggiunta tranquillizzante stabilità del
paziente dopo il ricovero coatto e la terapia praticata che, dunque, non
lasciava spazio per ritenere che sussistesse un margine di ulteriore
necessità di controllo sulle sue possibili azioni o determinazioni

all’articolo 1227 cod. civ., ha trovato quindi applicazione nel rapporto
con la parte contraente danneggiante, titolare di una posizione di
massima garanzia e di protezione, e il paziente ricoverato che, tornato
in stato di capacità di intendere o di volere, ma comunque ancora
bisognoso di terapia, è riuscito per cause rimaste ignote a procurarsi e
ad assumere, in via del tutto autonoma, sostanze nocive in grado di
interferire sulla sua salute, e ciò in presenza di condizioni che lasciavano
sì presumere come non necessaria una stretta sorveglianza sulla sua
persona, ma non fino al punto di consentirgli un libero contatto con terzi
provenienti dall’esterno o un’autonomia di comportamenti.
2.8.

La Corte d’appello, pertanto, ha dimostrato di avere dato concreta

applicazione della norma sul concorso colposo del creditore nella
determinazione dell’evento lesivo, ex art. 1227 cod. civ., dando maggior
peso alla condotta colposa del ricoverato in una fattispecie in cui non
solo rileva in concreto il rapporto tra sorvegliante e sorvegliato, ma
anche la condizione di recuperata lucidità psichica e di capacità naturale,
valutata ex ante, in cui si trovava il paziente sottoposto a terapia che,
evidentemente, ha dimostrato di avere un grado di autonomia tale da
poter sfuggire al controllo della struttura, procurandosi sostanze nocive.
Peraltro, la valutazione effettuata ai fini non solo del bilanciamento del
concorso causale delle due condotte nell’occorso, ma anche della
quantificazione del concreto contributo causale dell’una condotta colposa
sull’altra, tocca la sfera di discrezionalità del giudice del merito che, una
volta effettuato in maniera argomentata e motivata il giudizio sul
concorso di cause – alla luce del criterio della cosiddetta causalità
12

autolesioniste. La norma sul concorso causale del danneggiato, di cui

adeguata -, per il giudice di legittimità si offre come un territorio di
assoluta insindacabilità (cfr. Cass.Sez. 3, Sentenza n. 5086 del
02/03/2011; Cass. Sez. 1 -, Sentenza n. 272 del 10/01/2017).
3. Per i motivi sopra esposti, la Corte rigetta il ricorso principale, dichiara
inammissibile il ricorso incidentale e compensa le spese tra le parti, in

P.Q.M.

I.

La Corte rigetta il ricorso principale, dichiara inammissibile il ricorso
incidentale e compensa le spese tra le parti.

II.

Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del D.P.R. n. 115/2002, dà atto
della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del
ricorrente principale e del ricorrente incidentale, dell’ulteriore importo a
titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale,
a doma del comma 1 bis dello stesso articolo 13.

ragione della reciproca soccombenza.

i

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