Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19188 del 07/09/2010

Cassazione civile sez. I, 07/09/2010, (ud. 11/06/2010, dep. 07/09/2010), n.19188

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SALME’ Giuseppe – Presidente –

Dott. DI PALMA Salvatore – rel. Consigliere –

Dott. ZANICHELLI Vittorio – Consigliere –

Dott. SCHIRO’ Stefano – Consigliere –

Dott. DIDONE Antonio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso proposto da:

R.G., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA ANGELO EMO

106, presso lo studio dell’avvocato MAFALDA MATTA, rappresentato e

difeso dagli avvocati QUATTROMINI GIULIANA, QUATTROMINI PAOLA, giusta

delega a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELLA GIUSTIZIA in persona del Ministro pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende, ope

legis;

– controricorrente –

avverso il decreto R.G. 54468/06 della CORTE D’APPELLO di ROMA del

17.9.07, depositato il 27/03/2008;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio

dell’11/06/2010 dal Consigliere Relatore Dott. SALVATORE DI PALMA;

E’ presente il Procuratore Generale in persona del Dott. RUSSO

ROSARIO GIOVANNI.

 

Fatto

RITENUTO IN FATTO

che R.G., con ricorso del 19 febbraio 2009, ha impugnato per cassazione – deducendo due motivi di censura -, nei confronti del Ministro della giustizia, il decreto della Corte d’Appello di Roma depositato in data 27 marzo 2008, con il quale la Corte d’appello, pronunciando sul ricorso del R. – volto ad ottenere l’equa riparazione dei danni non patrimoniali ai sensi della L. 24 marzo 2001, n. 89, art. 2, comma 1 -, in contraddittorio con il Ministro della giustizia – il quale, costituitosi nel giudizio, si e’ opposto al ricorso -, ha respinto la domanda;

che resiste, con controricorso, il Ministro della giustizia;

che, in particolare, la domanda di equa riparazione del danno non patrimoniale – richiesto per l’irragionevole durata del processo presupposto – proposta con ricorso del 12 settembre 2006, era fondata sui seguenti fatti:

a) il R., asseritamente creditore di retribuzioni nei confronti del Fallimento della s.r.l. ITI Italia aveva proposto – con ricorso del 12 aprile 2000 – domanda di insinuazione al passivo del Fallimento e – con ricorso del 2002 – opposizione allo stato passivo dinanzi al Tribunale di Napoli;

b) il Tribunale adito non aveva ancora deciso la causa alla data di deposito della domanda per equa riparazione (12 settembre 2006);

che la Corte d’Appello di Roma, con il suddetto decreto impugnato – dopo aver determinato in quattro anni la durata complessiva del processo presupposto -, ha respinto la domanda sia perche’, tenuto conto dei rinvii chiesti dal procuratore del R. (v. rinvio dell’udienza del 14.5.2004 e poi a quella del 29.9.2005) deve escludersi la maturazione di un irragionevole ritardo nella definizione del giudizio “de quo” per l’anno di stasi processuale, dovuto alla parte, mentre sul residuo triennio, l’attivita’ istruttoria espletata (con l’escussione di molteplici testi) porta ad escludere l’esistenza di ingiustificate lungaggini processuali, tanto piu’ che la causa risulta essere stata assegnata a sentenza all’udienza del 16.03.2006 e non vi e’ segnalazione nel ritardo del deposito della sentenza stessa da parte del Tribunale adito, sia perche’ e’ inesistente lo “stress” da ritardo lamentato dal ricorrente.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

che con i motivi di censura – i quali possono essere esaminati per gruppi di questioni -, vengono denunciati come illegittimi:

a) la considerazione dei rinvii richiesti dal ricorrente per la mancata comparizione dei testi ai fini della determinazione del periodo eccedente la ragionevole durata del processo presupposto (tre anni), e l’omessa considerazione della circostanza che tale processo doveva considerarsi iniziato alla data – 12 aprile 2 000 -della domanda di insinuazione al passivo;

b) l’omessa applicazione dei parametri di liquidazione dell’indennizzo indicati dalla Corte europea dei diritti dell’uomo;

c) l’omessa determinazione del periodo di ragionevole durata del processo presupposto;

che il ricorso deve essere dichiarato inammissibile;

che, come gia’ rilevato, il Giudice a quo – dopo aver determinato in tre anni il periodo di tempo necessario per la definizione secondo ragionevolezza del processo presupposto ed in quattro anni la durata complessiva del processo presupposto -, ha respinto la domanda sia perche’, tenuto conto dei rinvii chiesti dal procuratore del R. (v. rinvio dell’udienza del 14.5.2004 e poi a quella del 29.9.2005) deve escludersi la maturazione di un irragionevole ritardo nella definizione del giudizio “de quo” per l’anno di stasi processuale, dovuto alla parte, mentre sul residuo triennio, l’attivita’ istruttoria espletata (con l’escussione di molteplici testi) porta ad escludere l’esistenza di ingiustificate lungaggini processuali, tanto piu’ che la causa risulta essere stata assegnata a sentenza all’udienza del 16.03.2 006 e non vi e’ segnalazione nel ritardo del deposito della sentenza stessa da parte del Tribunale adito, sia perche’ e’ inesistente lo “stress” da ritardo lamentato dal ricorrente;

che, secondo il consolidato orientamento di questa Corte, dal momento che il ricorso per cassazione non introduce una terza istanza di giudizio con la quale si puo’ far valere la mera ingiustizia della sentenza impugnata, caratterizzandosi invece come un rimedio impugnatorio a critica vincolata ed a cognizione determinata dall’ambito della denuncia attraverso il vizio o i vizi dedotti, qualora la decisione impugnata si fondi su di una pluralita’ di ragioni, tra loro distinte ed autonome e singolarmente idonee a sorreggerla sul piano logico e giuridico, l’omessa impugnazione di tutte le rationes decidendi rende inammissibili le censure relative alle singole ragioni esplicitamente fatte oggetto di doglianza, in quanto queste ultime, quand’anche fondate, non potrebbero comunque condurre, stante l’intervenuta definitivita’ delle altre non impugnate, all’annullamento della decisione stessa (cfr., ex plurimis, le sentenze nn. 389 e 13070 del 2007);

che nella specie, a fronte della decisione impugnata, la ricorrente ha censurato specificamente soltanto la prima ratio decidendi – concernente la detrazione dei rinvii richiesti dalla parte dal periodo di irragionevole durata -, mentre non ha specificamente criticato la seconda ratio, concernente l’affermata “inesistenza” dello “stress” da ritardo lamentato dal ricorrente (id est, l’assenza di concrete risultanze attestanti il patema d’animo lamentato dal ricorrente e, quindi, il danno non patrimoniale), cioe’ non ha specificamente dedotto che, contrariamente a quanto ritenuto dalla Corte romana, lo stress doveva considerasi insito nella protrazione irragionevole del processo;

che, conseguentemente, ove anche la critica alla prima ratio fosse ritenuta eventualmente meritevole di accoglimento, il decreto impugnato resterebbe pur sempre sorretto dalla seconda ratio non impugnata;

che, pertanto, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile;

che le spese del presente grado del giudizio seguono la soccombenza e vengono liquidate nel dispositivo.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente alle spese, che liquida in complessivi Euro 600,00, oltre alle spese prenotate a debito.

Cosi’ deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Struttura centralizzata per l’esame preliminare dei ricorsi civili, il 11 giugno 2010.

Depositato in Cancelleria il 7 settembre 2010

 

 

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