Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19187 del 28/09/2016


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Cassazione civile sez. lav., 28/09/2016, (ud. 23/06/2016, dep. 28/09/2016), n.19187

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MAMMONE Giovanni – Presidente –

Dott. D’ANTONIO Enrica – Consigliere –

Dott. BERRINO Umberto – rel. Consigliere –

Dott. DORONZO Adriana – Consigliere –

Dott. CAVALLARO Luigi – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 28309-2013 proposto da:

S.D., C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA GIUSEPPE FERRARI 2, presso lo studio dell’avvocato GIORGIO

ANTONINI, che lo rappresenta e difende unitamente agli avvocati

CLAUDIA CONTI, GIULIA RONCARATI, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

POSTE ITALIANE S.P.A., C.F. (OMISSIS), in persona del Presidente del

Consiglio di Amministrazione e legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA PO 25-B, presso lo studio

dell’avvocato ROBERTO PESSI, che la rappresenta e difende, giusta

delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 211/2013 della CORTE D’APPELLO di GENOVA,

depositata il 12/06/2013 R.G.N. 133/2013;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

23/06/2016 dal Consigliere Dott. UMBERTO SERRINO;

udito l’Avvocato DEL DUCA VINCENZO per delega verbale Avvocato

ANTONINI GIORGIO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

MATERA Marcello, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza del 17/4 – 12/6/2013 la Corte d’appello di Genova ha accolto l’impugnazione della società Poste Italiane s.p.a. avverso la sentenza del Tribunale della stessa sede che aveva dichiarato l’illegittimità del licenziamento intimato l’11/2/2011 a S.D., condannandola a reintegrarlo nel posto dì lavoro e a corrispondergli il risarcimento del danno e, per l’effetto, ha riformato la gravata decisione ed ha rigettato la domanda del lavoratore.

Il licenziamento per giusta causa era stato determinato dal fatto che lo S., dipendente con le mansioni di portalettere, aveva partecipato in qualità di disc-jockey a diverse manifestazioni, benchè assente dal servizio per infortunio dall'(OMISSIS).

Secondo la Corte territoriale gli esiti dell’istruttoria avevano consentito di accertare che l’attività esterna svolta dallo S. era in contrasto coi doveri posti in primo luogo dall’art. 54 del CCNL di settore – che vietava al dipendente assente per infortunio o malattia lo svolgimento di qualsiasi attività lavorativa, gratuita od onerosa – e, dall’altro, dagli artt. 2104 – 2105 c.c. – che imponevano il rispetto dei principi di buona fede, diligenza e fedeltà – che, nella fattispecie, si traducevano nel dovere di astenersi da qualsiasi comportamento, anche solo potenzialmente idoneo a pregiudicare la rimessione in salute e la ripresa del lavoro.

Per la cassazione della sentenza ricorre S.D. con cinque motivi.

Resiste con controricorso la società Poste Italiane s.p.a. che deposita, altresì, memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Col primo motivo il ricorrente denunzia la violazione e falsa applicazione dell’art. 54, lett. d), del CCNL Poste Italiane, dell’art. 115 c.p.c. e degli artt. 2060, 2062, 2082, 2083, 2094, 2222, 2229, 2239, 2240 e 2697 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3.

In particolare, il ricorrente contesta quanto ritenuto dalla Corte territoriale circa il fatto che l’attività di “disc – jockey” da lui espletata nel periodo di malattia non fosse semplicemente amatoriale, bensì programmata ed abituale, alla stregua di una vera e propria attività professionale con gli obblighi che ne derivavano, assumendo che una tale conclusione, sulla base della quale era stata sancita la legittimità del licenziamento, non trovava riscontri nelle prove documentali offerte dalla controparte, nè in quelle testimoniali, nè negli altri atti di causa.

2. Col secondo motivo, proposto per violazione e falsa applicazione dell’art. 54, lett. d), del CCNL Poste Italiane e dell’art. 116 c.p.c., il ricorrente lamenta che la Corte territoriale non ha valutato correttamente le prove testimoniali in merito alla dedotta natura amatoriale dell’attività che egli aveva svolto nel periodo di malattia.

3. Col terzo motivo il ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 54, lett. d) e art. 56, comma 6, lett. g) CCNL Poste Italiane, nonchè degli artt. 2104 e 2105 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, evidenziando l’errore in cui è incorsa la Corte di merito nell’affermare che sussisteva un conflitto d’interessi o di concorrenza fra l’attività svolta in favore della società postale e quella occasionale di disc-jockey, della quale era stata provata, a suo dire, la natura amatoriale.

4. Col quarto motivo il ricorrente si duole della violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. e degli artt. 2104e 2105 c.c., facendo osservare che, contrariamente a quanto ritenuto nell’impugnata sentenza, egli non aveva aggravato la malattia a causa della quale era stato posto in congedo, in quanto non aveva svolto, come provato con testi e documenti, un’attività tale da pregiudicare e ritardare la guarigione, con nocumento per la datrice di lavoro.

5. Col quinto motivo è dedotta la violazione e falsa applicazione dell’art. 54, art. 55, comma 4, e art. 56, comma 3, del CCNL Poste Italiane in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3.

Al riguardo il ricorrente lamenta la mancanza di proporzionalità tra lo svolgimento, al di fuori del lavoro di dipendente, dell’attività contestatagli e la massima sanzione inflittagli, nonchè il mancato controllo, da parte del giudice d’appello, della sussistenza della proporzione tra l’addebito disciplinare e la sanzione applicata del licenziamento.

6. Osserva la Corte che per ragioni di connessione i primi quattro motivi del ricorso possono essere esaminati congiuntamente.

Tali motivi sono infondati.

6.1.- Invero, in tema di svolgimento di attività lavorativa durante l’assenza per malattia la giurisprudenza è pervenuta a risultati sostanzialmente conformi. In linea di principio, si è affermato che non sussiste nel nostro ordinamento un divieto assoluto per il dipendente di prestare attività lavorativa, anche a favore di terzi, durante il periodo di assenza per malattia. Siffatto comportamento può, tuttavia, costituire giustificato motivo di recesso da parte del datore di lavoro ove esso integri una violazione dei doveri generali di correttezza e buona fede e degli specifici obblighi di contrattuali di diligenza e fedeltà. Ciò può avvenire quando lo svolgimento di altra attività lavorativa da parte del dipendente assente per malattia sia di per sè sufficiente a far presumere l’inesistenza dell’infermità addotta a giustificazione dell’assenza, dimostrando quindi una sua fraudolenta simulazione, o quando l’attività stessa, valutata in relazione alla natura ed alle caratteristiche della infermità denunciata ed alle mansioni svolte nell’ambito del rapporto di lavoro, sia tale da pregiudicare o ritardare, anche potenzialmente, la guarigione e il rientro in servizio del lavoratore, con violazione di un’obbligazione preparatoria e strumentale rispetto alla corretta esecuzione del contratto (cfr. ex plurimis Cass. n. 9474/2009, Cass. n 14046/2005). Ad ulteriore specificazione di questo principio, questa Corte (Cass. n. 14046/2005 cit.) ha precisato che “la valutazione del giudice di merito, in ordine all’incidenza del lavoro sulla guarigione, ha per oggetto il comportamento del dipendente nel momento in cui egli, pur essendo malato e (per tale causa) assente dal lavoro cui è contrattualmente obbligato, svolge per conto di terzi un’attività che può recare pregiudizio al futuro tempestivo svolgimento di tale lavoro; in tal modo, la predetta valutazione è costituita da un giudizio ex ante, ed ha per oggetto la potenzialità del pregiudizio”, con l’ulteriore conseguenza che “ai fini di questa potenzialità, la tempestiva ripresa del lavoro resta irrilevante”. Ed ha ribadito che lo svolgimento, da parte del dipendente assente per malattia, di altra attività lavorativa che, valutata in relazione alla natura della infermità e delle mansioni svolte, può pregiudicare o ritardare la guarigione ed il rientro in servizio, costituisce violazione dei doveri generali di correttezza e buona fede, che giustifica il recesso del datore di lavoro (nello stesso senso, Cass. n. 17128/2002, nonchè Cass. sez. lav. n. 16375 del 2012).

6.2.- Non si è discostata da tali principi la Corte territoriale con l’affermazione che, nella fattispecie, la natura dell’attività svolta dal dipendente, quale “disc – jockey” in diverse manifestazioni, durante l’assenza per malattia, era in contrasto coi doveri posti in primo luogo dall’art. 54 del CCNL di settore – che vietava al dipendente assente per infortunio o malattia lo svolgimento di qualsiasi attività lavorativa, gratuita od onerosa – e, dall’altro, dagli artt. 2104 – 2105 c.c. – che imponevano il rispetto dei principi di buona fede, diligenza e fedeltà – che, nella fattispecie, si traducevano nel dovere di astenersi da qualsiasi comportamento, anche solo potenzialmente idoneo a pregiudicare la rimessione in salute e la ripresa del lavoro, nonchè con gli interessi della società che gli imponevano di astenersi da qualunque condotta foriera di pregiudizio, anche solo potenziale, ad una pronta guarigione, come stabiliva senza deroghe la citata disposizione collettiva e come chiarivano sia la lettera di contestazione che quella di licenziamento.

6.3.- Le contrarie affermazioni del ricorrente – secondo cui i giudici d’appello non avrebbero adeguatamente valutato il materiale probatorio – prospettate solo formalmente come denunzia di violazione di norme di legge e di contratto, si risolvono, in realtà, nella contestazione diretta, inammissibile in questa sede, del giudizio di merito, giudizio che risulta motivato in modo sufficiente e logico con riferimento, come sopra accennato, alla necessità che lo svolgimento di altra attività lavorativa svolta in modo protratto, restando per lungo tempo in piedi, con l’impegno non marginale di garantire la buona riuscita degli spettacoli già programmati, valutata in relazione alla natura della malattia (trauma discorsivo al ginocchio destro) e delle mansioni di portalettere eseguite in qualità di dipendente postale, non pregiudicasse o ritardasse la guarigione e il rientro in servizio.

Come si è già detto, la valutazione in ordine all’incidenza del lavoro sulla guarigione è costituita da un giudizio “ex ante”, che ha per oggetto la potenzialità del pregiudizio e prescinde dalla avvenuta o meno tempestiva ripresa del lavoro, sicchè restano irrilevanti le considerazioni svolte al riguardo dal ricorrente.

Tra l’altro, l’onere di provare la compatibilità dell’attività svolta con le proprie condizioni di salute, ed in particolare con la malattia impeditiva della prestazione lavorativa – e conseguentemente l’inidoneità di tale attività a pregiudicare il recupero delle normali energie lavorative – grava sul dipendente che, durante l’assenza per malattia, sia stato sorpreso a svolgere attività lavorativa a favore di terzi (cfr. ex plurimis Cass. n. 3647/99).

7. Egualmente infondato è il quinto motivo in ordine alla gravità dell’infrazione ed alla proporzionalità della sanzione irrogata, essendo sufficiente ribadire, richiamando quanto già detto in precedenza, che “lo svolgimento, da parte del dipendente assente per malattia, di altra attività lavorativa che, valutata in relazione alla natura della patologia e delle mansioni svolte, può pregiudicare o ritardare la guarigione ed il rientro in servizio, costituisce violazione dei doveri generali di correttezza e buona fede; e questa violazione giustifica il recesso del datore di lavoro” (così Cass. n 14046/2005 cit.). Tra l’altro, la Corte territoriale ha posto in rilievo, con giudizio di fatto adeguatamente motivato che sfugge ai rilievi di legittimità, che le violazioni erano state plurime ed erano proseguite pur dopo l’evidenza del significativo protrarsi della malattia, la qual cosa stava anche a dimostrare un atteggiamento psicologico particolarmente intenso nella violazione dei doveri scaturenti dalle norme legali e contrattuali più volte richiamate.

8.- Il ricorso deve essere, pertanto, respinto con la conferma della sentenza impugnata, dovendosi ritenere assorbite in quanto sinora detto, tutte le censure non espressamente esaminate.

Le spese del presente giudizio seguono la soccombenza del ricorrente e vanno poste a suo carico nella misura liquidata come da dispositivo, unitamente al contributo unificato di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater.

PQM

La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio nella misura di Euro 4100,00, di cui Euro 4000,00 per compensi professionali, oltre spese generali al 15% ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 23 giugno 2016.

Depositato in Cancelleria il 28 settembre 2016

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