Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19187 del 19/08/2013


Clicca qui per richiedere la rimozione dei dati personali dalla sentenza

Civile Sent. Sez. L Num. 19187 Anno 2013
Presidente: VIDIRI GUIDO
Relatore: FILABOZZI ANTONIO

SENTENZA

sul ricorso 26721-2011 preposto da:
VITIELLO GAETANO VTLGTN66L07L259U, domiciliato in
ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE
SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso
dall’avvocato LIMATOLA GIOVANNI, giusta delega in
atti;
– ricorrente-

2013

contro

1568

ALBOLINO GIUSEPPE e CARANNANTE DOMENICO, entrambi soci
della A.C.R.

DI ALBOLINO GIUSEPPE & C.

S.N.C.,

elettivamente domiciliati in ROMA, VIA CRESCENZIO 62,

Data pubblicazione: 19/08/2013

presso lo studio dell’avvocato GRISANTI FRANCESCO,
rappresentati e difesi dall’avvocato BALLETTI EMILIO,
giusta delega in atti;
– controricorrenti

avverso la sentenza n. 6177/2010 della CORTE D’APPELLO

udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 07/05/2013 dal Consigliere Dott. ANTONIO
FILABOZZI;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. GIUSEPPE CORASANITI, che ha concluso
per l’inammissibilità in subordine infondatezza.

di NAPOLI, depositata il 04/11/2010 r.g.n. 5325/09;

r.g. n. 26721/11
udienza del 7.5.2013

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

La Corte d’appello di Napoli ha confermato la sentenza del Tribunale della stessa città, che aveva
rigettato la domanda di Gaetano Vitiello diretta ad ottenere la declaratoria della illegittimità del

motivi disciplinari (concernenti la violazione delle procedure di scarico della autobotte aziendale) e
la domanda di condanna della società al pagamento del compenso per lavoro straordinario,
computato considerando anche il tempo dedicato alle operazioni di scarico della autobotte. A tali
conclusioni la Corte territoriale è pervenuta osservando, quanto alla legittimità del licenziamento,
che, non essendo stata contestata la materialità del fatto addebitato al lavoratore (avere caricato
sull’autobotte una quantità di gasolio superiore a quella stabilita e tentato di occultare tale anomalia
mediante scarico del gasolio presso il distributore di carburante), non era possibile ritenere che la
condotta del lavoratore potesse giustificarsi sulla base di un errore intervenuto al momento del
carico della autobotte e della difficoltà di provvedere allo scarico del gasolio in eccedenza prima di
intraprendere il viaggio, poiché, secondo la ricostruzione dei fatti operata dalla Corte d’appello,
l’operazione di scarico avrebbe richiesto un periodo di tempo molto ridotto e, d’altra parte, il
lavoratore, dopo che l’automezzo era stato fermato dall’ispettore Eni addetto al controllo, anziché
rappresentare immediatamente l’errore avvenuto al momento del carico, aveva tentato di occultare
l’anomalia iniziale mediante lo scarico del gasolio presso il distributore di carburante. La Corte
d’appello ha poi respinto anche la domanda di condanna della società alla corresponsione del
compenso per lavoro straordinario osservando che dalla prova testimoniale non era emerso che
l’orario di lavoro del ricorrente avesse mai superato le 48 ore settimanali previste dalla
contrattazione collettiva per i lavoratori che, come il Vitiello, in quanto addetti alla guida di
automezzi, dovevano essere considerati quali lavoratori c.d. discontinui.
Avverso tale sentenza propone ricorso per cassazione Gaetano Vitiello affidandosi a tre motivi di
ricorso cui resistono con controricorso Giuseppe Albolino e Domenico Carannante, quali soci della
s.n.c. A.C.R. di Giuseppe Albolino & C. (sciolta in data 3.11.2006).
I resistenti hanno depositato memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c.

MOTIVI DELLA DECISIONE

i

licenziamento intimatogli in data 8.9.2004 dalla società A.C.R. di Giuseppe Albolino & C. s.n.c. per

1.- Con i primi due motivi di ricorso si denuncia violazione del principio di proporzionalità tra il
fatto addebitato e la sanzione inflitta e violazione del diritto di difesa, nonché vizio di motivazione,
censurando la sentenza impugnata nella parte in cui la Corte territoriale ha ritenuto che non
potessero trovare accoglimento le giustificazioni fornite dal lavoratore circa l’involontarietà
dell’errore commesso nelle operazioni di carico del carburante e circa la difficoltà di provvedere
allo scarico del carburante in eccesso prima di intraprendere il viaggio per la consegna del prodotto
al cliente. Sostiene il ricorrente che la Corte d’appello non avrebbe compreso i fatti nella loro

oggetto della contestazione disciplinare e non avevano comunque trovato alcun supporto probatorio
negli atti di causa.
2.- Con il terzo motivo si denuncia violazione delle norme del c.c.n.1 per i dipendenti da imprese di
spedizione, autotrasporto merci e logistica del 13 giugno 2000, in riferimento agli artt. 2108 c.c.,
R.D.L. 15.3.1923 n. 692, R.D. 6.12.1923 n. 2657 e Regolamento CE n. 3280/85, sostenendo che, ai
sensi dell’art. 11 bis del citato c.c.n.l., l’orario di lavoro per i lavoratori inquadrati nel terzo livello
super è pari a 47 ore settimanali, ivi compreso il tempo necessario per effettuare le operazioni di
carico presso la raffineria, e che, ai sensi dell’art. 11 dello stesso c.c.n.l., le ore di lavoro debbono
essere rilevate dai dischi del cronotachigrafo di cui è dotato l’automezzo.
3.- I primi due motivi, che vengono trattati congiuntamente anche nel ricorso per cassazione, sono
infondati.
Va rilevato anzitutto che, in ordine ai criteri che il giudice deve applicare per valutare la sussistenza
o meno di una giusta causa di licenziamento, la giurisprudenza è pervenuta a risultati
sostanzialmente univoci, affermando ripetutamente – cfr. ex plurimis Cass. n. 3865/2008, Cass. n.
19270/2006, Cass. n. 7543/2006, Cass. n. 13883/2004, Cass. n. 9299/2004, Cass. n. 4061/2004 che per stabilire in concreto l’esistenza di una giusta causa di licenziamento, che deve rivestire il
carattere di grave negazione degli elementi essenziali del rapporto di lavoro, ed in particolare di
quello fiduciario, occorre valutare, da un lato, la gravità dei fatti addebitati al lavoratore, in
relazione alla portata oggettiva e soggettiva dei medesimi, alle circostanze nelle quali sono stati
commessi ed all’intensità dell’elemento intenzionale, dall’altro la proporzionalità fra tali fatti e la
sanzione inflitta, stabilendo se la lesione dell’elemento fiduciario su cui si basa la collaborazione
del prestatore di lavoro sia in concreto tale da giustificare o meno la massima sanzione disciplinare.
Anche nell’ipotesi in cui la disciplina collettiva preveda un determinato comportamento quale
giusta causa di licenziamento, il giudice investito della legittimità di tale recesso deve comunque
valutare alla stregua dei parametri di cui all’art. 2119 c.c. l’effettiva gravità del comportamento
stesso alla luce di tutte le circostanze del caso concreto (Cass. n. 1095/2007, Cass. n. 13983/2000,

2

effettiva portata ed avrebbe finito per attribuire al dipendente condotte che non avevano formato

Cass. n. 8139/2000, Cass. n. 6900/2000, Cass. n. 7834/98, Cass. n. 1604/98), con l’ulteriore
precisazione che la previsione di ipotesi di giusta causa di licenziamento contenuta in un contratto
collettivo non vincola il giudice, dato che questi deve sempre verificare, stante l’inderogabilità della
disciplina dei licenziamenti, se quella previsione sia conforme alla nozione di giusta causa, di cui
all’art. 2119 c.c., e se, in ossequio al principio generale di ragionevolezza e di proporzionalità, il
fatto addebitato sia di entità tale da legittimare il recesso, tenendo anche conto dell’elemento
intenzionale che ha sorretto la condotta del lavoratore (Cass. n. 16260/2004, Cass. n. 5103/98). E’

sanzione dell’illecito commesso – istituzionalmente rimesso al giudice di merito – si sostanzia nella
valutazione della gravità dell’inadempimento imputato al lavoratore in relazione al concreto
rapporto e a tutte le circostanze del caso, dovendo tenersi al riguardo in considerazione la
circostanza che tale inadempimento deve essere valutato in senso accentuativo rispetto alla regola
generale della “non scarsa importanza” di cui all’art. 1455 c.c., sicché l’irrogazione della massima
sanzione disciplinare risulta giustificata soltanto in presenza di un notevole inadempimento degli
obblighi contrattuali (art. 3 1. n. 604/66) ovvero addirittura tale da non consentire la prosecuzione
neppure provvisoria del rapporto (art. 2119 c.c.).
4.- Nella specie, la Corte territoriale ha ritenuto che i fatti addebitati al lavoratore fossero di gravità
tale da integrare gli estremi della giusta causa di licenziamento e da giustificare, quindi,
l’applicazione della massima sanzione espulsiva, osservando anzitutto che i fatti, nella loro
materialità, non erano stati contestati dal lavoratore. Doveva pertanto ritenersi pacifico che il
Vitiello avesse caricato sull’autobotte aziendale una quantità di gasolio superiore a quella prevista
dai documenti di viaggio e che avesse poi tentato di scaricare la quantità in eccesso presso il
distributore soltanto dopo che l’automezzo era stato fermato dall’ispettore Eni addetto al controllo.
D’altra parte, le giustificazioni rese dal lavoratore, dirette a dimostrare l’involontarietà dell’errore
commesso nelle operazioni di carico del carburante, oltre che la difficoltà di provvedere allo scarico
del carburante caricato in eccesso prima di intraprendere il viaggio verso l’impianto di distribuzione
del cliente, non potevano ritenersi attendibili, sia perché il quantitativo di carburante caricato in
eccesso (pari, secondo il lavoratore, a soli 11 litri) era piuttosto modesto, sì che le operazioni di
scarico di detto quantitativo avrebbero potuto essere ultimate in un tempo relativamente breve, sia, e
soprattutto, per il comportamento tenuto dal Vitiello al momento dell’intervento dell’ispettore Eni.
Il lavoratore, infatti, ben consapevole della reazione che avrebbe provocato la presenza a bordo
dell’automezzo di una quantità di gasolio maggiore di quella prevista dai documenti di viaggio,
aveva tentato di sottrarsi agli esiti del controllo provvedendo allo scarico del gasolio in eccedenza

3

stato altresì precisato (Cass. n. 25743/2007) che il giudizio di proporzionalità o adeguatezza della

prima della verifica da parte dell’ispettore e nonostante l’espresso invito di quest’ultimo a non
collegare i tubi di scarico dell’autobotte con la cisterna del distributore.
5.- La valutazione operata dalla Corte territoriale è conforme ai principi enunciati da questa Corte
(e sopra ricordati) in ordine alla sussistenza della giusta causa di licenziamento. Il giudizio espresso
dai giudici di appello non è stato, del resto, sottoposto a specifiche censure idonee ad evidenziare la
non coerenza del predetto giudizio agli “standards” di valutazione esistenti nella realtà sociale,
essendosi il ricorrente limitato, in realtà, a ripercorrere la valutazione di merito della Corte

giudizio parimenti diverso; il tutto, peraltro, sulla base del richiamo a documenti (quali la lettera di
contestazione degli addebiti, la lettera di giustificazioni del lavoratore, la certificazione sulla durata
massima delle operazioni di scarico dell’ autobotte) dei quali il ricorso per cassazione non riporta
integralmente il contenuto (con violazione del principio di autosufficienza del ricorso per
cassazione).
6.- Quanto all’apprezzamento circa la concreta ricorrenza degli elementi idonei a costituire la
giusta causa di licenziamento e in ordine alla proporzionalità o meno della sanzione inflitta, va
ribadito che si tratta di una valutazione di fatto, devoluta al giudice del merito, non censurabile nel
giudizio di cassazione in quanto comunque assistita, nel caso di specie, da motivazione sufficiente e
non contraddittoria; anche perché, come già detto, il ricorrente, pur deducendo la violazione del
principio di immutabilità della contestazione e del diritto di difesa, non ha poi riportato nel ricorso
per cassazione il contenuto degli atti (ed in particolare quello della lettera di contestazione) dai quali
avrebbe dovuto evincersi la sussistenza delle dette violazioni. Rispetto a tale valutazione di merito
operata dalla Corte d’Appello, le censure espresse dal ricorrente rimangono, dunque, confinate ad
una mera contrapposizione, inidonea, in quanto tale, a radicare un deducibile vizio di legittimità
della sentenza impugnata.
7.- Anche le censure formulate sotto il profilo del vizio di motivazione devono ritenersi prive di
fondamento. Va ribadito al riguardo che il vizio di omessa, insufficiente o contraddittoria
motivazione denunciabile con ricorso per cassazione, ai sensi dell’art. 360 n. 5 c.p.c., si configura
soltanto quando nel ragionamento del giudice di merito sia riscontrabile il mancato o insufficiente
esame di punti decisivi della controversia, prospettati dalle parti o rilevabili d’ufficio, ovvero un
insanabile contrasto tra le argomentazioni adottate, tale da non consentire l’identificazione del
procedimento logico-giuridico posto a base della decisione, vizio che non è certamente riscontrabile
allorché – come verificatosi nel caso in esame – la decisione appaia comunque assistita da
motivazione sufficiente e non contraddittoria e il giudice del merito abbia semplicemente attribuito
agli elementi valutati un valore e un significato diversi dalle aspettative e dalle deduzioni di parte,

4

d’appello ed a contrapporre ad essa una diversa ricostruzione dei medesimi fatti, proponendone un

poiché, diversamente, il motivo di ricorso si risolverebbe in un’inammissibile istanza di revisione
delle valutazioni e del convincimento dello stesso giudice di merito, che tenderebbe all’ottenimento
di una nuova pronuncia sul fatto, sicuramente estranea alla natura e alle finalità del giudizio di
cassazione (cfr. ex plurimis, sui principi sopra indicati, Cass. n. 10657/2010, Cass. n. 9908/2010,
Cass. n. 27162/2009, Cass. n. 13157/2009, Cass. n. 6694/2009, Cass. n. 18885/2008, Cass. n.
6064/2008).
8.- E’ inammissibile la censura, svolta nell’ambito del secondo motivo, in ordine alla mancata

articolata in primo grado in un preciso capo della capitolazione (nella specie capo 15) regolarmente
formulato e ritualmente richiesto”. Il ricorrente avrebbe dovuto, infatti, oltre che trascrivere il
capitolo di prova, evidenziare il vizio omissivo o logico in cui era incorso il giudice del merito e la
diversa soluzione cui, in difetto di esso, sarebbe stato possibile pervenire sulla questione decisa
(Cass. n. 1170/2004). Il vizio di motivazione per omessa ammissione della prova testimoniale
ovvero per omesso esame di un documento può essere, infatti, denunciato per cassazione solo nel
caso in cui determini l’omissione di motivazione su un punto decisivo della controversia e, quindi,
quando la prova non ammessa ovvero non esaminata sia in concreto idonea a dimostrare circostanze
tali da invalidare, con un giudizio di certezza e non di mera probabilità, l’efficacia delle altre
risultanze istruttorie che hanno determinato il convincimento del giudice di merito, di modo che la
ratio decidendi venga a trovarsi priva di fondamento (cfr ex plurimis Cass. n. 9817/2009, Cass. n.
11457/2007).
9.- Il terzo motivo è improcedibile perché il ricorrente non ha provveduto a depositare il testo del
contratto collettivo, di cui ha denunciato la violazione, unitamente al ricorso per cassazione, ex art.
369, comma 2, n. 4, c.p.c. Le censure svolte sono comunque inammissibili per difetto di
autosufficienza, non avendo il ricorrente riportato in ricorso il testo integrale delle norme collettive
di cui ha denunciato l’erronea interpretazione da parte del giudice di merito. Per completezza, va
evidenziata, infine, l’irrilevanza della deduzione secondo cui l’orario di lavoro applicabile al caso in
esame dovrebbe ritenersi pari a 47 ore settimanali, e non a 48 ore settimanali, come ritenuto dalla
Corte d’appello, avendo i giudici di merito accertato che il ricorrente “era incaricato di sostituire gli
altri autisti lavorando in genere quattro giorni a settimana con tempi di percorrenza giornaliera da
un minimo di 3 ad un massimo di 9 ore”.
10.- In definitiva, quindi, il ricorso deve essere rigettato, ed a tale pronuncia segue la condanna del
ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio, che si liquidano come da dispositivo,
facendo riferimento alle disposizioni di cui al d.m. 20 luglio 2012, n. 140 e alla tabella A ivi
allegata, in vigore al momento della presente decisione (artt. 41 e 42 d.m. cit.).

5

ammissione dei testi “indicati nella lista allegata al ricorso a completamento della istruttoria

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio
liquidate in € 40,00 oltre € 3.500,00 per compensi professionali, oltre accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 7 maggio 2013.

Sostieni LaLeggepertutti.it

La pandemia ha colpito duramente anche il settore giornalistico. La pubblicità, di cui si nutre l’informazione online, è in forte calo, con perdite di oltre il 70%. Ma, a differenza degli altri comparti, i giornali online non ricevuto alcun sostegno da parte dello Stato. Per salvare l'informazione libera e gratuita, ti chiediamo un sostegno, una piccola donazione che ci consenta di mantenere in vita il nostro giornale. Questo ci permetterà di esistere anche dopo la pandemia, per offrirti un servizio sempre aggiornato e professionale. Diventa sostenitore clicca qui

LEGGI ANCHE



NEWSLETTER

Iscriviti per rimanere sempre informato e aggiornato.

CERCA CODICI ANNOTATI

CERCA SENTENZA