Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19186 del 19/07/2018


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Civile Ord. Sez. 3 Num. 19186 Anno 2018
Presidente: ARMANO ULIANA
Relatore: SCODITTI ENRICO

ORDINANZA

sul ricorso 18433-2016 proposto da:
I&M SRL , in persona dell’amministratore e legale
rappresentante pro tempore sig.ra IDA MICHELETTI,
considerata domiciliata ex lege in ROMA, presso la
CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentata
e difesa dall’avvocato STEFANO TRINCO giusta procura
in calce al ricorso;
– ricorrente 2018
1387

contro

AGENZIA DELLE DOGANE E DEI MONOPOLI 97210890584,
MINISTERO ECONOMIA FINANZE 80415740580;
– intimati –

avverso la sentenza n. 131/2016 della CORTE D’APPELLO

1

Data pubblicazione: 19/07/2018

di TRENTO, depositata il 10/05/2016;
udita la relazione della causa svolta nella camera di
consiglio del 09/05/2018 dal Consigliere Dott. ENRICO

SCODITTI;

2

Rilevato che:
I&M s.r.l. convenne in giudizio innanzi al Tribunale di Trento il
Ministero dell’Economia e delle Finanze e l’Agenzia della Dogane e dei
Monopoli – Direzione Territoriale Area Monopoli del Veneto e Trentino
Alto Adige – Sezione di Trento chiedendo il risarcimento del danno,

amministrativo eseguito in data 16 settembre 2010 su apparecchi da
gioco, cui aveva fatto seguito il giorno dopo sequestro penale
convalidato dal P.M., il rigetto da parte del Tribunale del riesame del
ricorso ed infine l’annullamento dell’ordinanza da parte della Corte di
Cassazione con sentenza del 19 luglio 2011. Il Tribunale adito rigettò
la domanda, osservando che fra il sequestro amministrativo e quello
penale non vi era alcun nesso di causalità, ma solo di mera
occasionalità, e che non poteva quindi ritenersi che la mancata
disponibilità delle apparecchiature fosse imputabile al comportamento
negligente del personale dell’Amministrazione. Avverso detta
sentenza propose appello I&M s.r.I.. Con sentenza di data 10 maggio
2016 la Corte d’appello di Trento accolse l’appello limitatamente al
capo sulle spese processuali, rigettando per il resto l’impugnazione.
Osservò la corte territoriale che il sequestro amministrativo aveva
perso efficacia fin dal 17 settembre 2010 in quanto sostituito dal
sequestro penale, tant’è che era stata sufficiente la revoca di
quest’ultimo per ottenere la restituzione dei beni, sicché nessun
nesso di causalità sussisteva fra il sequestro amministrativo ed il
danno. Aggiunse che non aveva rilievo il fatto che il sequestro fosse
stato operato dallo stesso personale, avendo questo operato nella
qualità di polizia giudiziaria e sulla base di una diversa ed ulteriore
valutazione, condivisa dal P.M. con il provvedimento di convalida, e
che, operando gli ufficiali di polizia giudiziaria quali organi
dell’amministrazione della giustizia, l’altra amministrazione da cui
dipendevano non poteva essere chiamata a rispondere del danno

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nella misura di Euro 1.493.848,00, subito a seguito di sequestro

conseguente al loro operato. Osservò inoltre che il personale
dell’amministrazione non poteva rispondere per avere trasmesso la
notizia di reato, trattandosi di attività doverosa e rispetto alla quale
poteva aversi responsabilità ai sensi dell’art. 2043 solo in presenza di
attività calunniosa, al di fuori della quale si sovrapponeva all’attività

penale.
Ha proposto ricorso per cassazione I&M s.r.l. sulla base di tre
motivi. E’ stato fissato il ricorso in camera di consiglio ai sensi
dell’art. 375, comma 2, cod. proc. civ.. E’ stata presentata memoria.
Considerato che:
con il primo motivo si denuncia violazione di legge e carenza e/o
contraddittorietà della motivazione, ai sensi dell’art. 360, comma 1,
n. 3, e n. 5 cod. proc. civ.. Osserva la ricorrente che il verbale di
sequestro penale, redatto dagli stessi funzionari della Guardia di
Finanza che il giorno prima avevano redatto il verbale amministrativo,
conteneva un mero richiamo alle risultanze delle operazioni compiute
il giorno precedente, senza alcuna autonoma valutazione della
fattispecie. Aggiunse che la corte territoriale non ha motivato
correttamente la ritenuta cessazione di efficacia del sequestro
amministrativo con l’avvento di quello penale.
Con il secondo motivo si denuncia violazione di legge e carenza
e/o contraddittorietà dell’esame circa un fatto decisivo, ai sensi
dell’art. 360, comma 1, n. 3, e n. 5 cod. proc. civ.. Osserva la
ricorrente che l’attività svolta da I&M s.r.l. era risultata essere
legittima e che la corte territoriale non ha in alcun modo valutato le
conseguenze derivanti dall’interruzione dell’attività, né motivato circa
la ritenuta legittimità del sequestro amministrativo.
Con il terzo motivo si denuncia violazione di legge e totale
omissione circa un fatto decisivo, ai sensi dell’art. 360, comma 1, n.
3, e n. 5 cod. proc. civ.. Osserva la ricorrente che l’improvvido

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del denunciante quella pubblicistica dell’organo titolare dell’azione

provvedimento di interruzione dell’attività e l’ancora più improvvida
comunicazione all’autorità giudiziaria penale erano stati frutto di
superficiale negligenza, senza che potesse essere ravvisato errore
scusabile, e che il provvedimento amministrativo non era stato
successivamente revocato, sicché irrilevante era la circostanza del

I motivi, da valutare unitariamente in quanto connessi, sono
inammissibili. Nella misura in cui le censure integrano la denuncia di
vizio motivazionale sono inammissibili per due ragioni: in presenza di
doppia conforme di merito in ordine alle questioni di fatto opera la
preclusione di cui all’art. 348 – ter, ultimo comma, cod. proc. civ., né
la ricorrente ha indicato le ragioni di fatto poste a base della decisione
di primo grado dimostrando la diversità con quelle poste a base della
sentenza di rigetto dell’appello (Cass. 10 marzo 2014, n. 5528; 27
settembre 2016, n. 19001; 22 dicembre 2016, n. 26774); il vizio di
motivazione risulta denunciato secondo i parametri della carenza e/o
contraddittorietà di motivazione contemplati dalla disposizione
dell’art. 360, comma 1, n. 5 cod. proc. civ. non più vigente.
Sotto il profilo della violazione di legge, plurime sono le ragioni di
inammissibilità. La ricorrente ha omesso di indicare le norme di diritto
su cui si fondano i motivi ai sensi dell’art. 366, comma 1, n. 4 cod.
proc. civ., né il riferimento a tali norme è ricavabile in modo univoco
dall’articolazione dei motivi. Le censure, ragione per la quale anche
non si rinviene nell’articolazione del motivo l’indicazione della norma
violata, mirano alla mera rivisitazione del giudizio di fatto che è
profilo come tale, scisso dal vizio motivazionale, non sindacabile nella
presente sede di legittimità. Infine vi sono rationes decidendi non
impugnate, il che rende comunque prive di decisività le censure, ed in
particolare: operando gli ufficiali di polizia giudiziaria quali organi
dell’amministrazione della giustizia, l’altra amministrazione da cui
dipendevano non poteva essere chiamata a rispondere del danno

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successivo provvedimento dell’autorità giudiziaria penale.

conseguente al loro operato; con riferimento alla notizia di reato il
personale dell’amministrazione rispondeva solo in presenza di attività
calunniosa.
Nulla per le spese del giudizio di cassazione, in mancanza della
partecipazione della parte intimata.

2013 e viene disatteso, sussistono le condizioni per dare atto, ai sensi
dell’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, che ha
aggiunto il comma 1 – quater all’art. 13 del testo unico di cui al d.P.R.
30 maggio 2002, n. 115, della sussistenza dell’obbligo di versamento,
da parte della parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.
P. Q. M.

Dichiara inammissibile il ricorso.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002,
inserito dall’art. 1, comma 17 della I. n. 228 del 2012, dà atto della
sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della
ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a
quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis, dello stesso
articolo 13.
Così deciso in Roma il giorno 9 maggio 2018

LiL

y

Poiché il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio

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