Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19186 del 02/08/2017


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Cassazione civile, sez. trib., 02/08/2017, (ud. 06/03/2017, dep.02/08/2017),  n. 19186

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BIELLI Stefano – Presidente –

Dott. CAIAZZO Rosario – Consigliere –

Dott. PERRINO Angelina Maria – Consigliere –

Dott. TEDESCO Giuseppe – rel. Consigliere –

Dott. LUCIOTTI Lucio – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 16638/2014 R.G. proposto da:

Agenzia delle entrate, in persona del direttore pro tempore,

domiciliata in Roma, via dei Portoghesi 12, presso 12, l’Avvocatura

Generale dello Stato, che la rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

MTV Pubblicità s.r.l., rappresentata e difesa dagli avv. Giancarlo

Zoppini, Giuseppe Russo Corvace e Giuseppe Pizzonia, con domicilio

eletto in Roma, via della Scrofa 57, presso lo studio dell’avv.

Giancarlo Zoppini;

– controricorrente-

Avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della

Lombardia n. 175/11/13, depositata il 19 novembre 2013;

Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 6 marzo 2017 dal

Consigliere Giuseppe Tedesco;

uditi gli Avv. Paolo Gentili per l’avvocatura generale dello Stato e

Giancarlo Zoppini per la S.p.A.;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

generale Soldi Anna Maria, che ha concluso chiedendo l’accoglimento

del ricorso.

Fatto

FATTI DI CAUSA

In esito a verifica condotta nei confronti della Aegis Media S.p.A., i verbalizzanti hanno riscontrato che questa società emetteva nei confronti delle società concessionarie di spazi pubblicitari, tra le quali la MTV Pubblicità s.r.l., fatture aventi come oggetto “premi impegnativa”, che assoggettava ad iva con l’aliquota del 20% ed a ritenuta fiscale a tiolo di Ires, prevista dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 25. Di rimando, le società concessionarie, e quindi anche la MTV Pubblicità s.r.l.., ricevute le fatture, le contabilizzavano, detraendo gli importi dell’Iva. L’Ufficio ha qualificato i “premi impegnativa” come cessioni di danaro a titolo gratuito, in quanto tali non assoggettabili ad Iva ed ha per conseguenza rettificato la relativa dichiarazione per l’anno 2006 presentata dall’odierna controricorrente, con recupero dell’imposta assunta come indebitamente detratta.

La MTV Pubblicità s.r.l. ha impugnato il relativo avviso di accertamento, ottenendone l’annullamento dalla Commissione tributaria provinciale, con sentenza poi confermata da quella regionale, che condivise la ricostruzione operata dai primi giudici sulla assoggettabilità delle operazioni a Iva, in presenza del presupposto dell’onerosità del rapporto.

Contro questa sentenza l’Agenzia delle entrate propone ricorso per cassazione, che affida a due motivi, cui la contribuente reagisce con controricorso, illustrato con memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Il primo motivo del ricorso principale denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36. La sentenza è censurata per difetto di motivazione, essendosi la Ctr limitata ad una motivazione recettizia di quella adottata dal primo giudice.

Il motivo è infondato. Va infatti ribadito il principio per cui è legittima la motivazione per relationem della sentenza pronunciata in sede di gravame, purchè il giudice d’appello, facendo proprie le argomentazioni del primo giudice, esprima, sia pure in modo sintetico, le ragioni della conferma della pronuncia in relazione ai motivi di impugnazione proposti, in modo che il percorso argomentativo desumibile attraverso la parte motiva delle due sentenze risulti appagante e corretto. Deve viceversa essere cassata la sentenza d’appello allorquando la laconicità della motivazione adottata, formulata in termini di mera adesione, non consenta in alcun modo di ritenere che all’affermazione di condivisione del giudizio di primo grado il giudice di appello sia pervenuto attraverso l’esame e la valutazione di infondatezza dei motivi di gravame (Cass. n. 15483/2008; n. 8625/2010; n. 11138/2011). Parimenti, la motivazione della sentenza per relationem è ammissibile, purchè il rinvio venga operato in modo tale da rendere possibile ed agevole il controllo della motivazione, nella fattispecie ampiamente fattibile, essendo necessario che si dia conto delle argomentazioni delle parti e dell’identità di tali argomentazioni con quelle esaminate nella pronuncia oggetto del rinvio (Cass. n. 7347/2012), non potendo ricorrere alcun difetto di esaustività nel modo con cui le ragioni della decisione debbono risultare (Cass., S.U, n. 642/2015).

In questo senso il controllo della motivazione è nella specie ampiamente fattibile perchè la Ctr, nel condividere la sentenza di primo grado, ripropone l’argomento essenziale della decisione dei primi giudici, fatto proprio e condiviso (e cioè la qualificazione del rapporto quale prestazione di servizio imponibile) e la tesi contraria dell’Ufficio, di conseguenza disattesa.

Il secondo motivo denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione o falsa applicazione del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 2, comma 3, e art. 3,comma 1.

E’ oggetto di censura la valutazione della Ctr, là dove aveva ravvisato l’esistenza fra il Centro Media e la concessionaria di un rapporto obbligatorio rilevante ai fini Iva, mentre tali caratteri, secondo la ricorrente, non erano invece ravvisabili nel caso di specie, in quanto non esisteva una obbligazione di fare a cui il Centro Media fosse obbligato nei confronti della concessionaria, non sussistendo di conseguenza nè prestazione di servizio, nè corrispettivo, per cui la dazione della somma rappresentava solo un premio per il vantaggio conseguito dall’impresa concessionaria della pubblicità.

Il motivo è inammissibile. Dalle norme di cui il motivo assume la violazione, interpretate secondo gli insegnamenti della Corte di Giustizia, ne discende che l’applicabilità dell’Iva presuppone la sussistenza di un rapporto obbligatorio a prestazioni corrispettive intercorrente tra il soggetto erogante e il soggetto beneficiario, nell’ambito del quale la somma versata assume carattere di corrispettivo per una cessione di beni o di una prestazione di servizi. A sua volta il motivo di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 costituisce una doglianza circoscritta all’interpretazione della norma astratta applicata dal giudice al caso concreto, investendo quindi la validità ed ortodossia della conclusione ermenueutica (Cass. n. 16896/2007). Ciò spiega perchè, quando il ricorso è proposto per tale motivo, il requisito posto dall’art. 366 c.p.c., n. 4 si consideri soddisfatto solo se il ricorso contiene la specifica indicazione delle affermazioni in diritto rinvenibili nella sentenza che si assumono in contrasto con le norme regolatrici della fattispecie o con l’interpretazione di queste stesse fornita dalla giurisprudenza di legittimità o dalla dottrina prevalente, perchè solo così la Suprema corte è posta in condizione di verificare il fondamento della violazione denunciata (Cass. n. 21659/2005; n. 2707/2004). Viceversa nel ricorso non è minimamente indicato che la sentenza abbia, contra legem, affermato che sono imponibili dazioni di somme che non siano in relazione di corrispettività con una prestazione, nè la ricorrente ha denunciato che la Ctr ha ritenuto imponibile l’operazione nonostante non avesse riscontrato nella fattispecie concreta il nesso di corrispettività fra le prestazioni.

In verità la sentenza ha deciso in quel modo non perchè abbia malamente inteso la portata precettiva delle norme che stabiliscono i requisiti di imponibilità delle operazioni, ma perchè ha accertato, nel rapporto fra il Centro Media e la concessionaria, il nesso di corrispettività fra le prestazioni richiesto da quelle stesse norme ai fini della imponibilità. Ciò significa che, nel caso di specie, il risultato interpretativo in linea di principio censurabile non è quello raggiunto dal giudice di merito sulla portata precettiva della norma, ma piuttosto quello sulla fattispecie concreta, di cui la ricorrente avrebbe dovuto allegare l’errata ricognizione in base alle risultanze di causa (Cass. n. 26110/2015). Ma allora è inevitabile dedurne che la sentenza doveva essere censurata per vizio motivazione e per violazione delle norme e principi che governano l’interpretazione contrattuale (cfr. Cass. n. 11310/1999; norme e principi che comprendono anche la valutazione giuridica del contratto, che costituisce una delle operazioni collegate all’interpretazione dei contratti: Cass. n. 3205/1995), con la conseguente inammissibilità ex art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4 del presente motivo con il quale viene, invece, dedotto l’erronea ricognizione della fattispecie astratta recata dal D.P.R. n. 633 del 1972, art. 3,comma 1, e art. 2, comma 3.

PQM

 

rigetta il primo motivo di ricorso; dichiara inammissibile il secondo; condanna la ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida nell’importo di Euro 4.000,00 per compensi, oltre rimborso spese forfetarie nella misura del 15% e accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 6 marzo 2017.

Depositato in Cancelleria il 2 agosto 2017

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