Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19184 del 02/08/2017
Cassazione civile, sez. trib., 02/08/2017, (ud. 01/03/2017, dep.02/08/2017), n. 19184
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TRIBUTARIA
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. VIRGILIO Biagio – Presidente –
Dott. GRECO Antonio – Consigliere –
Dott. LOCATELLI Giuseppe – rel. Consigliere –
Dott. DE MASI Oronzo – Consigliere –
Dott. LA TORRE Maria Enza – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sui ricorso 3614-2013 proposto da:
C.S.A., elettivamente domiciliato in ROMA VIALE
SOMALIA 201, presso lo studio dell’avvocato ANDREA PETRILLO, che lo
rappresenta e difende unitamente all’avvocato MASSIMO ZANETTI con
procura speciale del Not. Dr.ssa A.X. in (OMISSIS);
– ricorrente –
contro
AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,
elettivamente domiciliata in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso
l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO che la rappresenta e difende;
– controricorrente –
e contro
AGENZIA DELLE ENTRATE DIREZIONE PROVINCIALE 2 DI MILANO;
– intimata –
avverso la sentenza n. 197/2012 della COMM.TRIB.REG. della LOMBARDIA,
depositata il 20/06/2012;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del
01/03/17 dal Consigliere dott. GIUSEPPE LOCATELLI;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale dott.
MASTROBERARDINO Paola, che ha concluso per l’accoglimento del
ricorso con rinvio;
udito per il ricorrente l’avvocato PETRILLO che si riporta agli atti;
udito per il controricorrente l’avvocato CASELLI che ha chiesto il
rigetto.
Fatto
FATTI DI CAUSA
Nell’anno 2000 C.P. cedeva a titolo gratuito la propria licenza per servizio di taxi al figlio C.S.. Nell’anno 2005 C.S. vendeva la licenza ricevuta dal padre ad un terzo soggetto, al prezzo dichiarato di Euro 120.000, provvedendo al versamento dell’imposta di Euro 27.600 calcolata sull’intero corrispettivo percepito, senza operare alcuna deduzione per costi di acquisto sul presupposto che la licenza gli fosse pervenuta dal padre a titolo gratuito.
Nell’anno 2007 L’Agenzia delle Entrate notificava a C.P. un avviso di accertamento con il quale gli contestava di avere percepito, per la cessione della licenza di taxi al figlio C.S., la somma di Euro 106.040. L’avviso di accertamento non veniva impugnato e diventava definitivo.
Successivamente C.S. presentava istanza di rimborso della eccedenza di imposta versata nell’anno 2005, sul rilievo che dal calcolo della plusvalenza doveva essere dedotto il costo della licenza pagato al padre conformemente a quanto accertato in via definitiva dall’Ufficio, le cui iniziative nei confronti di C. padre e C. figlio risultavano inconciliabili e realizzavano una doppia imposizione.
A seguito del silenzio rifiuto della Agenzia delle Entrate C.S. proponeva ricorso alla Commissione tributaria provinciale di Milano che lo accoglieva con sentenza n. 218 del 2011.
L’Agenzia delle Entrate proponeva appello alla Commissione tributaria regionale che lo accoglieva con sentenza del 20.6.2012. Il giudice di appello riteneva la legittimità del diniego di rimborso per due motivi: “il primo, in quanto il rimborso richiesto non spetta non avendo il contribuente, per sua stessa ammissione, sostenuto alcun costo per l’acquisto della licenza dal padre; il secondo, in quanto il fatto che l’accertamento nei confronti del padre sia divenuto esecutivo, non fa nascere nel figlio il diritto al rimborso di un costo non dichiarato perchè mai sostenuto”.
Contro la sentenza di appello C.S. ricorre articolando una unitaria censura in cui confluiscono le seguenti deduzioni: violazione e falsa applicazione degli artt. 3,53e 97 Cost., per avere ritenuto che l’Agenzia delle Entrate possa legittimamente violare i principi di imparzialità, uguaglianza, legalità e ragionevolezza dell’azione amministrativa; violazione del D.P.R. n. 602 del 1973, artt. 38 e 86 per non avere applicato correttamente le norme al caso di specie; violazione del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 163 per avere erroneamente ritenuto che l’Agenzia delle Entrate possa legittimamente applicare due volte il tributo per un medesimo presupposto di imposta; deduce inoltre il vizio di omessa o insufficiente motivazione laddove la sentenza non è idonea a giustificare la decisione assunta. Deposita memoria.
L’Agenzia delle Entrate resiste con controricorso.
Diritto
RAGIONI DELLA DECISIONE
Il motivo di ricorso è fondato nei termini di seguito indicati. Non è controverso che, secondo l’atto di accertamento definitivo emesso dall’Ufficio, C.P. non ha ceduto la licenza di taxi al figlio C.S. a titolo gratuito, bensì dietro corresponsione della somma di Euro 106.040 tassata in capo al padre; è ugualmente pacifico che C.S., in occasione della successiva vendita della licenza a terza persona, ha versato le imposte sull’intera somma percepita di Euro 120.000.
A norma del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 86, comma 2, il corrispettivo versato per l’acquisto del bene costituisce costo deducibile ai fini della determinazione della plusvalenza patrimoniale realizzata con la successiva cessione del bene a titolo oneroso. Ne deriva che, allorchè C.S. ha versato l’imposta sulla plusvalenza in relazione all’intero corrispettivo percepito per la successiva vendita della licenza, anzichè sulla minore somma costituita dalla differenza tra il corrispettivo percepito ed il costo di acquisto non ammortizzato, ha effettivamente eseguito il versamento di una eccedenza di imposta rimborsabile a norma del D.P.R. n. 602 del 1973, art. 38. La diversa conclusione del giudice di appello è affetta da vizio logico nella parte in cui, pur dando atto che l’ente impositore ha accertato che C.S. ha ricevuto la licenza dietro versamento di Euro 106.040, ciononostante esclude che egli abbia il diritto di richiedere a rimborso l’eccedenza di imposta versata pari alla differenza tra il corrispettivo ricevuto (Euro 120.000) ed il relativo costo (Euro 106.040).
Inoltre la decisione del giudice di appello, come lamentato dal ricorrente, viola il divieto di doppia imposizione previsto del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 163, secondo cui la stessa imposta non può essere applicata più volte, in dipendenza dello stesso presupposto, “neppure nei confronti di soggetti diversi”. Nel caso in esame è avvenuto che, per la frazione di Euro 106.040, la medesima plusvalenza patrimoniale è stata tassata due volte, dapprima in capo a C.P. e successivamente in capo al ricorrente C.S..
La sentenza deve pertanto essere cassata. Non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa deve essere decisa nel merito con accoglimento del ricorso introduttivo del contribuente, sussistendo il diritto al rimborso della eccedenza di imposta versata. Le spese sono regolate come da dispositivo.
PQM
Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e decidendo nel merito accoglie il ricorso introduttivo del contribuente. Compensa le spese relative ai gradi di giudizio di merito; condanna l’Agenzia delle Entrate ai rimborso, in favore del ricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in euro millecinquecento oltre spese generali nella misura del 15% ed accessori di legge.
Così deciso in Roma, il 1 marzo 2017.
Depositato in Cancelleria il 2 agosto 2017