Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19183 del 19/08/2013


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Civile Sent. Sez. L Num. 19183 Anno 2013
Presidente: DE RENZIS ALESSANDRO
Relatore: FILABOZZI ANTONIO

SENTENZA

sul ricorso 18957-2010 proposto da:
COSNER

FRANCO

CSNFNC54B14E288D,

elettivamente

domiciliato in ROMA, VIALE GIULIO CESARE n. 14 – A4,
presso lo studio dell’avvocato PAFUNDI GABRIELE, che
lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato DE
NARDIS PAOLO, giusta delega in atti;
– ricorrente –

2013
contro

1484

ASSOCIAZIONE

SI

MINORE ONLUS

96007680224,

già

Associazione Club Noi Trento Onlus, in persona del
à

legale rappresentante pro tempore, elettivamente

Data pubblicazione: 19/08/2013

domiciliata in ROMA, VIA GIANGIACOMO PORRO 8, presso
lo studio dell’avvocato PIZZOLI GIANCARLO, che la
rappresenta e difende unitamente all’avvocato GIRARDI
ANDREA, giusta delega in atti;
– controri corrente –

di TRENTO, depositata il 17/07/2009 R.G.N. 76/2008;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 23/04/2013 dal Consigliere Dott. ANTONIO
FILABOZZI;
udito l’Avvocato CIPROTTI ALESSIA per delega PAFUNDI
GABRIELE;
udito l’Avvocato CARLEVARO ANSELMO per delega
PIZZOLPtGIANCARLO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. COSTANTINO FUCCI che ha concluso per
il rigetto del ricorso.

avverso la sentenza n. 30/2009 della CORTE D’APPELLO

- r.g. n. 18957/10
udienza del 23.4.2013

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

La Corte d’appello di Trento ha confermato la decisione del Tribunale della stessa città nella parte

dall’Associazione Club Noi Trento Onlus (oggi Associazione Si Minore Onlus) a seguito di plurime
condotte denigratorie ed anche lesive dell’obbligo di fedeltà che su di lui incombeva, ex art. 2105
c.c., quale dipendente della stessa Associazione con la qualifica di “responsabile”. A tali
conclusioni la Corte territoriale è pervenuta considerando che il lavoratore si era responsabile di
ripetute condotte volte a stornare beneficiati e dipendenti dell’Associazione, nonché a diffondere
notizie di carattere denigratorio nei confronti della medesima, oltre ad aver costituito in costanza del
rapporto di lavoro una nuova associazione con scopi pressoché identici e con una denominazione
del tutto simile e oggettivamente idonea a ingenerare confusione tra gli utenti del servizio. La Corte
di merito ha ritenuto di dover confermare anche la statuizione relativa alla liquidazione del danno
operata dal primo giudice, considerando sia la molteplicità delle condotte poste in essere dal Cosner
sul piano della concorrenza diretta e della diffusione di notizie di carattere denigratorio, sia il
rilevantissimo danno all’immagine derivato all’Associazione a seguito di tale condotte.
Avverso tale sentenza propone ricorso per cassazione Franco Cosner affidandosi a sette motivi di
ricorso cui resiste con controricorso l’Associazione.
Il ricorrente ha depositato memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Preliminarmente, va rilevato che, come eccepito dal ricorrente, il controricorso non è stato
notificato al ricorrente nel termine stabilito dall’art. 370 c.p.c. e deve pertanto ritenersi
inammissibile. Ai sensi dell’art. 370 c.p.c., infatti, la parte contro la quale il ricorso è diretto deve
notificare il controricorso al ricorrente nel domicilio eletto entro venti giorni dalla scadenza del
termine stabilito per il deposito del ricorso. Nella specie, il ricorso per cassazione è stato notificato
in data 15.7.2010 e pertanto il controricorso avrebbe dovuto essere notificato entro il 24.8.2010
(non applicandosi nelle controversie in materia di lavoro la sospensione dei termini nel periodo
_

feriale). La notifica del controricorso è stata, invece, richiesta il 7.10.2020, con conseguente
inammissibilità del medesimo.
i

in cui il giudice di primo grado aveva condannato Franco Cosner al risarcimento dei danni subiti

1.- Con il primo motivo si denuncia violazione degli artt. 2105 c.c., 2 e 18 Cost., 2697 c.c., nonché
vizio di motivazione, relativamente alla statuizione con cui la Corte territoriale ha ritenuto che
integrasse gli estremi della violazione dell’obbligo di fedeltà l’avere il lavoratore costituito una
nuova associazione operante con identità di scopi e denominazione simile a quella per la quale
prestava la propria attività lavorativa.
2.- Con il secondo motivo il ricorrente censura la decisione della Corte territoriale sotto il profilo
del vizio di motivazione per aver ritenuto raggiunta la prova della diffusione, da parte del ricorrente,

chiusura della medesima.
3.- Con il terzo motivo si denuncia il vizio di motivazione della sentenza impugnata per avere la
Corte d’appello ritenuto raggiunta la prova dello storno di dipendenti e beneficiati da parte del
ricorrente a danno dell’associazione.
4.- Con il quarto motivo si denuncia il vizio di motivazione relativamente alla statuizione con cui la
Corte territoriale ha ritenuto che fosse stata raggiunta la prova della sussistenza del danno
all’immagine dell’associazione per effetto di condotte ingiustamente attribuite al ricorrente e prive
comunque di idoneità lesiva.
5.- Con il quinto motivo il ricorrente censura la sentenza impugnata, sempre sotto il profilo del
vizio di motivazione, per aver quantificato nell’importo di € 50.000,00 il risarcimento del danno
all’immagine asseritamente subito dall’associazione.
6.- Con il sesto motivo si denuncia violazione dell’art. 112 c.p.c., nonché vizio di motivazione, per
avere la Corte d’appello mantenuto invariata la misura del risarcimento stabilita dal giudice di
primo grado, nonostante avesse escluso, almeno implicitamente, la risarcibilità del danno non
patrimoniale derivante dalla violazione dell’obbligo di fedeltà.
7.- Con il settimo motivo si denuncia violazione dell’art. 1223 c.c. per avere la Corte territoriale
ritenuto sussistente e risarcibile il danno non patrimoniale da responsabilità contrattuale.
8.- I primi tre motivi, che possono essere esaminati congiuntamente per riguardare problematiche
strettamente connesse, sono infondati.
Questa Corte ha già affermato (cfr. ex plurimis Cass. n. 2474/2008, Cass. n. 6957/2005) che dal
collegamento dell’obbligo di fedeltà, di cui all’art. 2105 c.c., con i principi generali di correttezza e
buona fede di cui agli artt. 1175 e 1375 c.c. deriva che il lavoratore deve astenersi non solo dai
comportamenti espressamente vietati dal suddetto art. 2105, ma anche da qualsiasi altra condotta
che, per natura e per le sue possibili conseguenze, risulti in contrasto con i doveri connessi
all’inserimento del lavoratore nella struttura e nell’organizzazione dell’impresa o crei situazioni di

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di notizie denigratorie in ordine a difficoltà economiche dell’associazione ed alla imminente

conflitto con le finalità e gli interessi della medesima o sia comunque idonea a ledere
irrimediabilmente il presupposto fiduciario del rapporto di lavoro.
Si è precisato, inoltre, che l’obbligo di fedeltà impone al lavoratore di tenere un comportamento
leale nei confronti del proprio datore di lavoro, astenendosi da qualsiasi atto idoneo a nuocergli
anche potenzialmente, per cui, ai fini della sussistenza della violazione dell’obbligo di fedeltà
incombente sul lavoratore ex art. 2105 c.c., è sufficiente la mera preordinazione di un’attività
contraria agli interessi del datore di lavoro anche solo potenzialmente produttiva di danno (cfr. ex
plurimis Cass. n. 12489/2003). Rientra nella sfera di tale dovere anche il divieto di trattare affari per
conto proprio o di terzi in concorrenza con il datore di lavoro, a prescindere dall’idoneità o meno di
tale comportamento ad integrare un’ipotesi di concorrenza sleale ai sensi dell’art. 2598 c.c. (Cass. n.
9056/2006).
In coerenza con tali principi, è stato poi precisato (Cass. n. 16377/2006, Cass. n. 6654/2004) che
integra violazione del dovere di fedeltà di cui all’art. 2105 c.c., ed è potenzialmente produttiva di
danno, la costituzione, da parte di un lavoratore dipendente, di una società per lo svolgimento della
medesima attività economica svolta dal datore di lavoro.
9.- Non si è discostata da tali principi la Corte territoriale con l’affermazione che, nella fattispecie
in esame, la costituzione da parte del lavoratore, in costanza del rapporto di lavoro, di una nuova
associazione operante con scopi e finalità pressoché indistinguibili, e con una denominazione del
tutto simile ed oggettivamente idonea a generare confusione, costituisce condotta idonea ad
integrare gli estremi della violazione dell’obbligo di fedeltà, tanto più considerando la posizione
apicale rivestita dal Cosner all’interno dell’associazione. Ha aggiunto la Corte che la condotta del
lavoratore doveva ritenersi censurabile anche per “la ripetuta diffusione, nel medesimo periodo, di
notizie denigratorie nei confronti della Associazione Club Noi Trento Onlus in ordine ad asserite
difficoltà economiche ed alla sua imminente chiusura; e ciò, si badi bene, a prescindere dalla
veridicità o meno di tali situazioni, posto che da un lavoratore con ruoli di rango superiore non è
mai auspicabile che provengano dichiarazioni negative sul buon andamento dell’azienda”.
Parimenti gravi, secondo la Corte di merito, dovevano ritenersi “le provate ripetute condotte,
risalenti sempre nel medesimo arco di tempo, volte a stornare beneficiati e dipendenti dalla
Associazione Club Noi Trento Onlus a quella neoformata”, non rilevando che solo pochi dipendenti
e solo due degli ospiti dell’associazione fossero transitati presso quella fondata dal Cosner, dovendo
aversi riguardo, invece, al comportamento di quest’ultimo “volto a sottrarre giovani bisognosi
all’associazione odierna appellata, condotta oggettivamente idonea a ledere la fiducia del datore di
lavoro ed integrante una palese violazione dell’obbligo di fedeltà gravante sul lavoratore”.

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10.- Le contrarie affermazioni del ricorrente, secondo cui la Corte territoriale non avrebbe tenuto
conto del fatto che la condotta del Cosner costituiva soltanto l’esplicazione del libero diritto di
associazione e del fatto che, in sostanza, le condotte addebitate al lavoratore non avevano avuto in
concreto alcuna ricaduta negativa in danno dell’associazione (anche perché questa si trovava
effettivamente in uno stato di difficoltà economica), non tengono conto delle argomentazioni svolte
nella sentenza impugnata circa la gravità e la molteplicità delle condotte complessivamente poste in
essere dal Cosner e circa l’irrilevanza, ai fini della violazione dell’obbligo di fedeltà, della veridicità

anche del numero (più o meno consistente) dei dipendenti e degli utenti transitati
dall'”Associazione Club Noi Trento Onlus” alla “Associazione Club Noi Italia Onlus”. Tali
affermazioni si risolvono, in definitiva, nella contestazione diretta – inammissibile in questa sede del giudizio di merito, giudizio che risulta motivato in modo sufficiente e logico con riferimento,
come sopra accennato, alla molteplicità delle condotte poste in essere dal ricorrente ed alla loro
idoneità a ledere la fiducia del datore di lavoro e ad integrare una grave violazione dell’obbligo di
fedeltà incombente sul lavoratore.
11.- Le suddette censure non possono dunque trovare accoglimento, riguardando questioni di
merito collegate alla valutazione del materiale probatorio acquisito, rispetto alle quali va ribadito
che, come questa Corte ha già ripetutamente affermato (cfr. ex plurimis Cass. n. 6204/2012), “la
valutazione delle risultanze istruttorie e la scelta, tra di esse, di quelle che siano idonee a sorreggere
la decisione è riservata, salvo alcune specifiche ipotesi di prova legale, al giudice del merito, il
quale è soggetto solo al limite legale di dover dare, delle determinazioni prese, congrua ed esatta
motivazione che consenta il controllo del criterio logico seguito. Ne consegue che non può essere
considerato vizio logico della motivazione la maggiore o minore rispondenza del fatto nei suoi vari
aspetti, o un migliore coordinamento dei dati, o un loro più opportuno o appagante collegamento,
rientranti appunto nell’ambito dell’apprezzamento a tale giudice riservato, salvo il limite del
contrasto con la logica e la razionalità”.
12.- Anche i motivi dal quarto al settimo, che possono essere esaminati congiuntamente in quanto
connessi, sono infondati.
Al riguardo, si deve rilevare che, secondo l’orientamento ormai consolidato di questa Corte,
“poiché anche nei confronti della persona giuridica ed in genere dell’ente collettivo è configurabile
la risarcibilità del danno non patrimoniale allorquando il fatto lesivo incida su una situazione
giuridica della persona giuridica o dell’ente che sia equivalente ai diritti fondamentali della persona
umana garantiti dalla Costituzione, e fra tali diritti rientra l’immagine della persona giuridica o
dell’ente, allorquando si verifichi la lesione di tale immagine, è risarcibile, oltre al danno

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o meno delle notizie diffuse dal ricorrente in ordine allo stato economico dell’associazione, e così

patrimoniale, se verificatosi, e se dimostrato, il danno non patrimoniale costituito – come danno c.d.
conseguenza – dalla diminuzione della considerazione della persona giuridica o dell’ente nel che si
esprime la sua immagine, sia sotto il profilo della incidenza negativa che tale diminuzione comporta
nell’agire delle persone fisiche che ricoprano gli organi della persona giuridica o dell’ente e, quindi,
nell’agire dell’ente, sia sotto il profilo della diminuzione della considerazione da parte dei
consociati in genere o di settori o categorie di essi con le quali la persona giuridica o l’ente di norma
interagisca” (cfr. ex plurimis Cass. n. 4542/2012, Cass. 12929/2007).

immateriali della personalità, che sono compatibili con l’assenza di fisicità, quali i diritti
all’immagine, alla reputazione, all’identità storica, culturale e politica costituzionalmente protetti,
ed in tale ipotesi ben possono agire per il ristoro del danno non patrimoniale.
13.- Giova aggiungere che deve ormai considerarsi jus receptum il fatto che un danno non
patrimoniale possa configurarsi anche in conseguenza di un inadempimento contrattuale (cfr. Cass.
sez. unite n. 26972/2008) ed è pertanto condivisibile l’affermazione contenuta nella sentenza
impugnata secondo cui è suscettibile di essere risarcito il danno all’immagine e alla reputazione
dell’associazione resistente, quale danno non patrimoniale conseguente alla violazione, da parte del
dipendente, dell’obbligo di fedeltà.
14.- Quanto alle altre censure svolte dal ricorrente, in particolare con il quinto e il sesto motivo, va
ricordato che, come questa Corte ha già avuto modo di statuire (cfr. Cass. n. 12929/2007 cit,),
nell’ipotesi di lesione all’immagine della persona giuridica o di un ente collettivo, il danno non
patrimoniale, in quanto tale, deve essere necessariamente liquidato alla persona giuridica o all’ente
in via equitativa, tenendo conto di tutte le circostanze del caso concreto. Unica forma di
liquidazione per ogni danno che sia privo delle caratteristiche della patrimonialità è, infatti, quella
equitativa, sicché la ragione del ricorso a tale criterio è insita nella natura stessa di tale danno e nella
funzione del risarcimento realizzato mediante la dazione di una somma di denaro, che non è
reintegratrice di una diminuzione patrimoniale, ma compensativa di un pregiudizio non economico,
con la conseguenza che non si può fare carico al giudice di non aver indicato le ragioni per le quali
il danno non può essere provato nel suo preciso ammontare – costituente, in linea generale, la
condizione per il ricorso alla valutazione equitativa (art. 1226 c.c.) – giacché intanto una precisa
quantificazione pecuniaria è possibile, in quanto esistano dei parametri normativi fissi di
commutazione, in difetto dei quali il danno non patrimoniale non potrà mai essere provato nel suo
preciso ammontare, fermo restando, tuttavia, il dovere del giudice di dar conto delle circostanze di
fatto da lui considerate nel compimento della valutazione equitativa e del percorso logico che lo ha
condotto a quel determinato risultato (Cass. n. 11039/2006, Cass. n. 20320/2005).

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Ed invero, anche le persone giuridiche e gli enti collettivi possono essere lesi in quei diritti

15.- Nella specie, la Corte territoriale ha adeguatamente chiarito il percorso logico che l’ha
condotta alla liquidazione equitativa del danno, osservando che “Le condotte poste in essere sul
piano della concorrenza diretta sono state molteplici e gravi; basti pensare alla scelta della
denominazione della nuova associazione, certo non a caso scelta in modo da ingenerare confusione
sia tra gli utenti, sia tra tutti gli operatori del settore; ovvero alla richiesta del contributo provinciale
destinato annualmente alla Onlus. Parimenti molteplici e gravi sono state, inoltre, le condotte
denigratorie consistite nella diffusa divulgazione di uno stato patrimoniale di difficoltà che doveva

gravemente maliziosa di notizie del tutto false ed infondate (come quella della imminente
cessazione dell’attività)”. Ed ha aggiunto che l’intensità e la gravità di tali violazioni è stata tale da
determinare “un rilevantissimo danno all’immagine della datrice di lavoro, la quale, a seguito ed in
conseguenza di esse, si è improvvisamente venuta a trovare in una grave situazione di oggettiva
difficoltà, dovendo non solo fare i conti con una nuova concorrente che cercava di sottrarle risorse
economiche e disponibilità di dipendenti, ma vedendosi nel contempo aggredita nella sua
reputazione ed affidabilità per la diffusione di notizie volte a mettere in dubbio persino al sua
sopravvivenza”.
16.- Si tratta, anche in questo caso, di una valutazione di fatto, devoluta al giudice del merito, non
censurabile nel giudizio di cassazione in quanto comunque assistita da motivazione sufficiente e
non contraddittoria; né possono valere in contrario le considerazioni svolte dal ricorrente in ordine
alla pretesa violazione dell’art. 112 c.p.c. e alla contraddittorietà da cui sarebbe affetta la
motivazione della sentenza impugnata per aver mantenuto invariata la misura del risarcimento
stabilita dal primo giudice a fronte della esclusione della risarcibilità della violazione dell’obbligo
di fedeltà, ché anzi non solo la Corte territoriale ha chiaramente inteso confermare anche su questo
punto la decisione del giudice di primo grado (vedi le argomentazioni svolte al riguardo da pag. 7 a
pag. 9 della sentenza impugnata), ma la violazione dell’obbligo di fedeltà è stata posta a
fondamento (ed ha costituito il presupposto) della condanna del dipendente al risarcimento del
danno non patrimoniale derivato dalla lesione dell’immagine e della reputazione dell’associazione
presso gli operatori del settore proprio in conseguenza della violazione di tale obbligo (pagg. 11-13
della sentenza impugnata).
Ne deriva l’infondatezza delle doglianze in esame.
17.- Alla stregua delle suesposte considerazioni, il ricorso deve essere rigettato con la conferma
della sentenza impugnata, restando assorbite in quanto sinora detto tutte le argomentazioni e le
deduzioni non espressamente esaminate.

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semmai rimanere nascosto in attesa di essere superato (come in effetti è avvenuto), con l’aggiunta

18.- Stante l’inammissibilità del controricorso, e in difetto di una attività difensiva motivatamente
diretta a contrastare l’ accoglimento del ricorso (all’udienza fissata per la discussione il difensore del
resistente si è limitato a riportarsi agli scritti difensivi), non deve provvedersi in ordine alle spese
del presente giudizio.

P.Q.M.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 23 aprile 2013.

La Corte rigetta il ricorso; nulla per le spese.

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