Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19182 del 19/08/2013


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Civile Sent. Sez. L Num. 19182 Anno 2013
Presidente: DE RENZIS ALESSANDRO
Relatore: TRIA LUCIA

SENTENZA

sul ricorso 21290-2010 proposto da:
S.S. LAZIO S.P.A. 02124651007, in persona del legale
rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata
in ROMA, VIA G.G. BELLI 27, presso lo studio
dell’avvocato GENTILE GIAN MICHELE, che la
rappresenta e difende giusta delega in atti;
– ricorrente –

2013

contro

1449

PANDEV GORAN PNDGRN83L27Z148N;
– intimato –

4,P

Nonché da:

Data pubblicazione: 19/08/2013

PANDEV GORAN PNDGRN83L27Z148N, domiciliato in ROMA,
VIA SMERILLO 32, presso lo studio dell’avvocato
PIOVESAN ANDREA, rappresentato e difeso dall’avvocato
MARTINI ALESSANDRO, giusta delega in atti;
– controricorrente e ricorrente incidentale –

S.S. LAZIO S.P.A. 02124651007, in persona del legale
rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata
in ROMA, VIA G.G. BELLI 27, presso lo studio
dell’avvocato GENTILE GIAN MICHELE, che la
rappresenta e difende giusta delega in atti;
– controricorrente al ricorso incidentale –

avverso la sentenza n. 3467/2010 del TRIBUNALE di
MILANO, depositata il 05/08/2010 R.G.N. 2077/2010;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 22/04/2013 dal Consigliere Dott. LUCIA
TRIA;
udito l’Avvocato GENTILE GIAN MICHELE;
udito l’Avvocato PATANIA ANNA per delega MARTINI
ALESSANDRO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. GIULIO ROMANO che ha concluso per il
rigetto del ricorso.

contro

Udienza del 22 aprile 2013 — Aula A
n. 6 del ruolo — RG n. 21290/10
Presidente: De Renzis – Relatore: Tria

1.— La sentenza attualmente impugnata dichiara l’inammissibilità del ricorso proposto dalla
S.S. Lazio s.p.a. avverso il lodo arbitrale emesso in data 23 dicembre 2009 tra la società ricorrente e
Goran Pandev dal Collegio arbitrale istituito presso la Lega Nazionale Professionisti.
Il Tribunale di Milano, per quel che qui interessa, precisa che:
a) con il lodo attualmente impugnato il suindicato Collegio arbitrale, in accoglimento del
ricorso del Pandev, ha dichiarato la risoluzione del contratto di lavoro sportivo stipulato dal
calciatore professionista con la Lazio e ha condannato quest’ultima al risarcimento dei danni e al
pagamento delle spese di lite;
b) il Presidente f.f. del Tribunale di Milano, Sezione lavoro, con decreto dell’I febbraio 2010,
ha dichiarato il lodo esecutivo ai sensi dell’art. 412-quater cod. proc. civ.;
c) in base a tale ultima norma il lodo è reso esecutivo previo accertamento dei seguenti
elementi: 1) inutile decorso del termine di trenta giorni per la relativa impugnazione; 2) intervenuta
accettazione scritta delle decisione arbitrale, da parte degli interessati; 3) intervenuto rigetto
dell’impugnativa del lodo;
d) nella specie con il suddetto decreto presidenziale è stata attribuita efficacia esecutiva al
lodo, sull’assunto che era ormai inutilmente trascorso il termine di legge per l’impugnazione,
assunto evidentemente basato sul computo di tale termine a decorrere dal giorno della “notifica del
lodo da parte della Cancelleria”;
e) questo accertamento giudiziale della tardività dell’impugnazione non consente di
riesaminare la questione, in applicazione della regola del ne bis in idem;
D peraltro, l’art. 825 cod. proc. civ. prevede espressamente uno strumento — il reclamo alla
Corte d’appello — specifico per ottenere il riesame dell’ exequatur del lodo arbitrale;
g) benché la predetta norma sia dettata per l’arbitrato rituale, tuttavia essa — “in ossequio a
criteri di logica e razionalità del sistema” — deve applicarsi anche all’arbitrato irrituale, visto che il
legislatore ha successivamente previsto anche per questo arbitrato la possibilità di ottenere un
medesimo decreto che disponga l’esecutorietà del lodo;
h) ne consegue che la ricorrente avrebbe potuto, a seguito del decreto di esecutorietà del lodo,
avvalersi nei termini di legge del predetto strumento per contestarne le statuizioni, ivi compresa
• quella sulla intempestività dell’impugnazione;
1

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

i) ciò non è avvenuto e pertanto il presente ricorso è inammissibile, sicché non possono
esaminarsi le censure di merito.
2.— Il ricorso della S.S. Lazio s.p.a. domanda la cassazione della sentenza per tre motivi;
resiste, con controricorso, Goran Pandev, che propone, a sua volta, ricorso incidentale condizionato,
cui replica la ricorrente principale, con controricorso.
Entrambe le parti depositano anche memorie ex art. 378 cod. proc. civ.

Deve essere, in primo luogo, disposta, ai sensi dell’art. 335 cod. proc. civ., la riunione dei
ricorsi perché proposti avverso la medesima sentenza.
I — Profili preliminari — Inammissibilità del ricorso incidentale condizionato

1.- Preliminarmente deve essere esaminato il ricorso incidentale condizionato proposto dal
Pandev, nel quale si sostiene che, nel caso di esame nel merito della censura avversa sul mancato
decorso del termine per impugnare il lodo, tale censura dovrebbe essere considerata infondata e il
ricorso principale inammissibile per tardività, data l’equipollenza della comunicazione integrale del
lodo, a cura degli arbitri, rispetto alla notificazione del lodo medesimo di cui all’art. 412-quater
cod. proc. civ.
Il suddetto ricorso è inammissibile, visto che il Pandev è rimasto completamente vittorioso nel
giudizio di merito conclusosi con la sentenza attualmente impugnata.
Infatti, secondo il consolidato e condiviso orientamento di questa Corte, nel giudizio di
cassazione, il ricorso incidentale — anche se qualificato come condizionato — deve essere giustificato
dalla soccombenza (non ricorrendo altrimenti l’interesse processuale a proporre ricorso per
cassazione), cosicché è inammissibile il ricorso incidentale con il quale la parte, che sia rimasta
completamente vittoriosa nel giudizio di appello, risollevi questioni non decise dal giudice di
merito, perché non esaminate o ritenute assorbite, atteso che tali questioni, in caso di accoglimento
del ricorso principale, possono essere riproposte davanti al giudice di rinvio (Cass. 20 dicembre
2012, n. 23548; Cass. 28 febbraio 2007, n. 4787; Cass. 9 giugno 2010, n. 13882; Cass. 28 agosto
2004, n. 17201; Cass. 18 settembre 2007, n. 19366; Cass. 15 febbraio 2008, n. 3796; Cass. 26 aprile
2010, n. 9907).
— Sintesi dei motivi del ricorso principale

2.— Con il primo motivo si denuncia, in relazione all’art. 360, n. 3, cod. proc. civ., violazione
o errata applicazione degli artt. 412-quater e 825 cod. proc. civ.
Si sostiene l’erroneità della decisione del Tribunale di Milano di ritenere che il decreto del
Presidente del Tribunale stesso in data 1 febbraio 2010 — attributivo di efficacia esecutiva al lodo
arbitrale in oggetto — abbia precluso il riesame della questione della definitività o impugnabilità del
lodo medesimo.
2

MOTIVI DELLA DECISIONE

Si sottolinea che il Tribunale non ha preso in considerazione la questione riguardante
l’eccezione di decadenza della società Lazio dal diritto di impugnare il lodo, a seguito della
presentazione del ricorso introduttivo del presente giudizio oltre il termine di trenta giorni dalla
relativa comunicazione da parte della segreteria del Collegio arbitrale perché ha ritenuto che il
decreto presidenziale suindicato abbia definito, con effetto di giudicato, la questione del rispetto del
termine di cui all’art. 412 quater cod. proc. civ. e che la questione stessa non era più esaminabile
per il principio del ne bis in idem.

In base all’art. 412 quater cod. proc. civ. il lodo arbitrale previsto dai contratti collettivi —
quale è quello in argomento — può essere dichiarato esecutivo soltanto in due casi: 1) accettazione
delle parti in forma scritta del lodo; 2) rigetto, da parte del Tribunale, del ricorso con il quale il lodo
è stato impugnato.
Nell’attuale vicenda non ricorreva nessuna delle due suddette ipotesi, quindi: a) il Presidente
del Tribunale non poteva emettere il decreto dichiarativo dell’esecutività del lodo; b) il Tribunale,
comunque, non poteva considerare tale decreto come preclusivo dell’impugnazione “al punto di
dichiararla inammissibile”, tanto più che tale decreto non ha carattere decisorio ma è meramente
ricognitivo della regolarità formale del lodo arbitrale.
Né va omesso di rilevare che l’art. 825 cod. proc. civ., richiamato nella sentenza impugnata, si
applica soltanto al lodo rituale — mentre quello di cui sai tratta è irrituale — e, comunque, anche il
decreto di esecutorietà ivi previsto non ha natura decisoria, in base alla giurisprudenza di legittimità.
3.— Con il secondo motivo si denuncia, in relazione all’art. 360, n. 3, cod. proc. civ.,
violazione o errata applicazione degli artt. 412 quater e 825 cod. proc. civ., in riferimento all’art.
326 cod. proc. civ.

Si sottolinea che nel decreto presidenziale è stata implicitamente considerato decorso il
termine di trenta giorni a disposizione della società Lazio per impugnare il lodo irrituale dinanzi al
Tribunale, ponendo come dies a quo di tale termine la comunicazione del lodo da parte della
segreteria del Collegio arbitrale, anziché la notificazione del lodo medesimo ad istanza della parte
vittoriosa.
Ciò è in contrasto con quanto dispone l’art. 412 quater cod. proc. civ., ove si fa espresso
riferimento al deposito del ricorso per impugnazione “entro il termine di trenta giorni dalla
notificazione del lodo”.

In base alla consolidata giurisprudenza di legittimità la comunicazione integrale del lodo, a
cura degli arbitri, non costituisce equipollente della notificazione del lodo stesso ad istanza di parte.
Nella specie: il lodo è stato notificato il 13 febbraio 2010 e il ricorso per impugnazione è stato
depositato in data 8 marzo 2010, sicché è evidente che si trattava di una impugnativa tempestiva,
che come tale doveva essere presa in considerazione dal Tribunale e non dichiarata inammissibile.

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4.— Con il terzo motivo si denuncia, in relazione all’art. 360, n. 3, cod. proc. civ., violazione o
errata applicazione dell’art. 825 cod. proc. civ., in riferimento all’esistenza di strumenti di riesame
dell’exequatur del lodo arbitrale irrituale.

Si rileva che tra l’ exequatur del lodo arbitrale rituale e quello del lodo arbitrale irrituale vi
sono molteplici differenze che rendono palese l’ erroneità di tale statuizione. In particolare: 1)
l’ exequatur del lodo arbitrale irrituale è disposto dal Giudice dell’impugnazione solo in caso di
accettazione scritta espressa del lodo oppure di rigetto della proposta impugnazione e rappresenta
solo una sorta di certificazione di non impugnabilità o di conferma del lodo; 2) l’ exequatur del lodo
arbitrale rituale è disposto dal Presidente del Tribunale solo ai fini esecutivi e con salvezza delle
successive impugnazione e sospensione di esecutività da parte del giudice del gravame che è la
Corte d’appello, esso pertanto precede la scadenza del termine di impugnabilità del lodo e ha natura
interlocutoria.
Si tratta, quindi, di istituti processuali differenti e non equiparabili e la loro diversità nasce
dalla profonda diversità sussistente tra il lodo rituale (che ha carattere decisorio) e il lodo irrituale,
quale è quello previsto dall’art. 412 quater cod. proc. civ., che ha carattere negoziale.

La consolidata giurisprudenza di legittimità ha posto in luce le profonde differenze tra i due
istituti, tuttora persistenti, anche dopo le riforme legislative in materia.
Ne consegue l’erroneità evidente della sentenza attualmente impugnata.
III — Esame dei motivi del ricorso principale
5.- I tre motivi del ricorso principale — da esaminare congiuntamente, data la loto intima
connessione — sono da accogliere, per le ragioni di seguito precisate.
5.1.- In primo luogo devono essere considerati infondati i profili di inammissibilità delle
censure prospettati nel controricorso per asserito mancato rispetto del principio di specificità dei
motivi del ricorso per cassazione e di autosufficienza.
Infatti, nella specie, tale principio — che si applica anche nelle ipotesi di denuncia del vizio di
cui all’art. 360, n. 3, che ricorrono nella specie — risulta essere stato rispettato, in quanto la società
ricorrente non si è limitata a specificare soltanto le singole norme processuali di cui ha denunziato
la violazione, ma ha anche adeguatamente indicato gli elementi fattuali in concreto condizionanti gli
ambiti di operatività delle prospettate violazioni (arg. ex Cass. 4 aprile 2005, n. 6972; Cass. 19
aprile 2006, n. 9076).
5.2.- Quanto al merito delle censure va rilevato che, in effetti, risulta che la sentenza
impugnata, sulla base di erronee premesse, sia pervenuta ad una decisione del tutto non
condivisibile e contraria ai principi affermati da questa Corte nella materia trattata.

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Si contesta l’applicazione analogica effettuata dal Tribunale dell’art. 825 cod. proc. civ. al
presente caso.

Infatti, in base al consolidato e condiviso orientamento di questa Corte “deve escludersi che il
decreto di esecutorietà sia in alcun modo assistito dal requisito della decisorietà, questa pertinendo
alla sentenza arbitrale, né da quello della definitività, esistendo diversi modi per rimuoverne
l’efficacia, con conseguente esclusione dell’attitudine di tale decreto a pregiudicare i diritti
soggettivi scaturibili dal rapporto definito con il lodo arbitrale, avendo rilevanza limitata alla sola
possibilità di mettere in esecuzione il lodo” (vedi, per tutte: Cass. 21 ottobre 2011, n. 21894; Cass.
19 maggio 1998, n. 4986).
Ne consegue l’erroneità della dichiarazione di inammissibilità dell’impugnazione della società
Lazio, basata sull’attribuzione dei requisiti di decisorietà e definitività al suindicato decreto
presidenziale di esecutorietà del lodo.
5.3.- Altrettanto erroneo risulta anche l’implicito avallo del computo del termine per
impugnare il lodo — effettuato nel suddetto decreto presidenziale — con decorrenza dal giorno della
“notifica” del lodo da parte della Cancelleria.
Va, infatti, ricordato che, in base alla consolidata e condivisa giurisprudenza di questa Corte:
a) come si desume dall’art. 326 cod. proc. civ. — cui va riconosciuto il carattere di lex
generalis in materia, come tale, da applicare in tutti i casi in cui non sia specificamente prevista una
diversa disciplina — la comunicazione, ad opera della cancelleria, alle parti costituite, della
pubblicazione della sentenza a norma dell’art. 133 cod. proc. civ. — anche se effettuata in forma
integrale e mediante notificazione — non può incidere sulla decorrenza del termine per proporre
impugnazione, previsto dallo stesso art. 326 cod. proc. civ., perché la notificazione idonea — a
questo fine — è solo quella fatta ad istanza di parte (art. 285 cod. proc. civ.), la quale soltanto ha la
capacità di esprimere la volontà di porre fine al processo mettendo in moto i termini per
l’impugnazione, sia nei confronti del notificato, sia nei confronti dello stesso notificante (Cass. 4
novembre 1997, n. 10782; Cass. 11 aprile 2002, n. 5136; Cass. 23 maggio 2013, n. 12767);
b) tale principio trova applicazione anche ai fini della decorrenza del termine per
l’impugnazione del lodo arbitrale — sia esso rituale o irrituale, come quello di cui si tratta nella
presente controversia — e ciò comporta che tale decorrenza deve essere individuata nella data della
notificazione del lodo medesimo ad istanza di parte, della quale non costituisce equipollente la
comunicazione integrale, a cura degli arbitri del lodo stesso, anche se tale comunicazione sia stata
eseguita (con forma più rigorosa di quella prevista della spedizione in plico raccomandato)
mediante notificazione dell’ufficiale giudiziario (arg. ex Cass. 30 agosto 2004, n. 17420; Cass. 14
giugno 2007, n. 13906, con richiami a Cass. SU 29 aprile 1997, n. 3670).
Il Tribunale di Milano, nella sentenza impugnata, per effetto dell’indicato errore di
impostazione, ha implicitamente attribuito alla “notificazione” del lodo effettuata a cura della
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L’errore di fondo del Tribunale di Milano è rappresentato dall’aver attribuito carattere
decisorio — come tale impeditivo dell’esame nel merito dell’impugnativa del lodo — al decreto
presidenziale dell’ 1 febbraio 2010, che ha dichiarato esecutivo il lodo ai sensi dell’art. 412-quater
cod. proc. civ.

segreteria del Collegio arbitrale l’effetto di far decorrere il termine di trenta giorni per
l’impugnazione — avallando la scelta fatta, in tal senso, nel precedente decreto presidenziale, di cui
si è detto — e, poi, su questa premessa, ha affermato l’inammissibilità dell’impugnazione della
società pacificamente proposta — come risulta anche dal controricorso — con atto depositato in data
8 marzo 2010, in seguito alla notifica del lodo perfezionatasi per il destinatario il 13 febbraio 2010 e
quindi del tutto tempestivamente, in base a quanto disposto dall’art. 412 quater cod. proc. civ., che
il Tribunale di Milano ha violato, senza neppure considerare che l’interpretazione di tale norma
adottata nella sentenza impugnata— sia pure indirettamente — si risolve in una “menomazione del
diritto di difesa priva di giustificazione”, come si desume anche dalla consolidata giurisprudenza
della Corte costituzionale in materia di decorrenza dei termini processuali per proporre
impugnazione (vedi, da ultimo: Corte cost. n. 297 del 2008 e precedenti ivi richiamati).

5.4.- Anche il terzo motivo deve essere accolto in quanto — diversamente da quanto affermato
nella sentenza impugnata — l’art. 825 cod. proc. civ. che, fra l’altro, prevede espressamente il
reclamo alla Corte d’appello, come mezzo specifico per ottenere il riesame dell’ exequatur del lodo
arbitrale — non si applica al lodo contrattuale o irrituale, come testualmente risulta dall’art. 808-ter,
n. 5, cod. proc. civ. e come reiteratamente è stato affermato dalla consolidata e condivisa
giurisprudenza di questa Corte, ove è stato posto in rilievo che proprio l’inapplicabilità della
suddetta disposizione costituisce uno degli elementi di maggiore differenziazione della disciplina
processuale che governa, rispettivamente, i due tipi di arbitrato in oggetto e i lodi che in essi
vengono emessi.
Infatti, in più occasioni è stato ribadito, anche con riferimento al procedimento arbitrale di cui
si tratta nel presente giudizio, che:
a) la differenza tra l’arbitrato rituale Che- quello irrituale — aventi entrambi hanno natura
privata — non può imperniarsi sul rilievo che con il primo le parti abbiano demandato agli arbitri
una funzione sostitutiva di quella del giudice, ma va ravvisata nel fatto che, nell’arbitrato rituale, le
parti vogliono che si pervenga ad un lodo suscettibile di essere reso esecutivo e di produrre gli
effetti di cui all’art. 825 cod. proc. civ., con l’osservanza delle regole del procedimento arbitrale,
mentre nell’arbitrato irrituale esse intendono affidare all’arbitro (o agli arbitri) la soluzione di
controversie (insorte o che possano insorgere in relazione a determinati rapporti giuridici) soltanto
attraverso lo strumento negoziale, mediante una composizione amichevole o un negozio di
accertamento riconducibile alla volontà delle parti stesse, le quali si impegnano a considerare la
decisione degli arbitri come espressione della loro volontà (vedi per tutte: Cass. 12 ottobre 2009, n.
21585; Cass. 1 aprile 2011, n. 7574);
b) nell’ipotesi in cui il lavoratore (al quale il datore di lavoro abbia irrogato una sanzione
disciplinare) richieda la costituzione di un collegio di conciliazione ed arbitrato — secondo quanto
previsto dall’art. 7, comma sesto, della legge n. 300 del 1970 o da analoghe disposizioni della
contrattazione collettiva — l’arbitrato in questione ha natura irrituale, e non già rituale (Cass. SU 1
dicembre 2009, n. 25253);
c) la stessa natura irrituale è da riconoscere alla procedura — prevista da una clausola
compromissoria inserita nello statuto e nel regolamento federale — di devoluzione ad un Collegio
6

d) al riconoscimento della natura irrituale — salvo espresse disposizioni in contrario — delle
procedure arbitrali volte alla soluzione di eventuali controversie in materia di lavoro privato — sia
che siano previste dalla legge sia che siano previste dalla contrattazione collettiva ovvero dalle
clausole compromissorie inserite nello statuto e nel regolamento federale, nel caso particolare dei
professionisti tesserati delle Federazioni sportive — nonché di quelle in materia di sanzioni
disciplinari irrogate nei rapporti di lavoro alle dipendenze delle Amministrazioni pubbliche — a
decorrere dalla vigenza dell’art. 59 bis, d.lgs. 3 febbraio 1993, n. 20, introdotto dall’art. 28, d.lgs.
21 marzo 1998, n. 80 (corrispondente all’art. 56, d.lgs. 30 marzo 2001, n. 165), operante a far data
dalla stipulazione del primo contratto collettivo di settore (Cass. 7 gennaio 2003, n. 44; Cass. 23
dicembre 2004, n. 23900) — consegue l’applicabilità come unico regime di impugnazione di quello
previsto dall’art. 412 quater cod. proc. civ. (Cass. 2 febbraio 2009, n. 2576);

e) ciò comporta che, ai sensi di tale ultima disposizione, il lodo è impugnabile — non con
riguardo alle valutazioni affidate alla discrezionalità degli arbitri, ma solo per vizi idonei ad
inficiare la determinazione degli arbitri per alterata percezione o falsa rappresentazione dei fatti,
ovvero per inosservanza delle disposizioni inderogabili di legge o di contratti o accordi collettivi
(Cass. SU 1 dicembre 2009, n. 25253) — innanzi al tribunale in funzione di giudice del lavoro e che,
avverso la sentenza pronunciata in primo (ed unico) grado dal tribunale, l’unico mezzo di
impugnazione proponibile è il ricorso per cassazione (Cass. 2 febbraio 2009, n. 2576; Cass. 23
febbraio 2006, n. 4025), diversamente da quel che accade per l’arbitrato rituale, per il quale la
impugnazione per nullità del lodo si propone alla Corte d’appello, ai sensi dell’art. 828 cod. proc.
civ. e alla stessa Corte d’appello è proponibile il reclamo avverso il decreto del tribunale che nega o
concede l’esecutorietà del lodo, ai sensi dell’art. 825, terzo comma, cod. proc. civ. (Cass. 7 gennaio
2003, n. 44; Cass. 23 dicembre 2004, n. 23900; Cass. 21 febbraio 2011, n. 4159);
f) la suddetta diversità dei mezzi di impugnazione è di grande rivo in quanto ad essa
consegue che, nei casi in cui si applica la disciplina processuale dettata dall’art. 412-quater cod.
proc. civ., se il lodo irrituale viene impugnato erroneamente dinanzi alla Corte d’appello anziché
dinanzi al Tribunale, trattandosi di incompetenza per grado, non opera il principio secondo il quale
la tempestiva proposizione del gravame ad un giudice incompetente impedisce la decadenza della
e, quindi, l’impugnazione è
impugnazione — determinando la cosiddetta traslatio judicii
inammissibile (vedi, per tutte: Cass. 10 ottobre 2005, n. 19679; Cass. 21 febbraio 2011, n. 4159;
Cass. 12 novembre 2012, n. 19645).

5.5.- Il Tribunale di Milano — laddove ha affermato che, nella specie, la società Lazio avrebbe
dovuto ricorrere allo strumento previsto dall’art. 825 cod. proc. civ., in quanto tale disposizione
benché sia dettata per l’arbitrato rituale, tuttavia, “in ossequio a criteri di logica e razionalità del
sistema”, deve applicarsi anche all’arbitrato irrituale, visto che il legislatore ha successivamente
previsto anche per questo arbitrato la possibilità di ottenere un medesimo decreto che disponga
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arbitrale delle eventuali controversie relative ai rapporti di lavoro fra società sportive e
professionisti tesserati con le relative Federazioni, clausola per la cui validità è necessario che la
procedura arbitrale si configuri come strumento alternativo e volontario al giudizio ordinario e non
determini una rinunzia assoluta alla giurisdizione (Cass. 1 agosto 2003, n. 11751);

l’esecutorietà del lodo — non ha tenuto conto né della lettera dell’art. 808-ter, n. 5, cod. proc. civ. né
dei suddetti principi affermati dalla giurisprudenza di questa Corte, assurti ormai al rango di “diritto
vivente”.
V

Conclusioni

La sentenza impugnata deve essere, quindi, cassata, con rinvio, anche per le spese del
presente giudizio di cassazione, al Tribunale di Milano, in diversa persona del giudice, che si
atterrà, nell’ulteriore esame del merito della controversia, a tutti i principi su affermati e, quindi,
anche ai seguenti:
1) il decreto di esecutorietà del lodo arbitrale non è in alcun modo assistito dal requisito della
decisorietà — questa pertinendo alla sentenza arbitrale — né da quello della definitività, esistendo
diversi modi per rimuoverne l’efficacia; pertanto, tale decreto non è idoneo a pregiudicare i diritti
soggettivi scaturibili dal rapporto definito con il lodo arbitrale, avendo rilevanza limitata alla sola
possibilità di mettere in esecuzione il lodo stesso (vedi, per tutte: Cass. 21 ottobre 2011, n. 21894;
Cass. 19 maggio 1998, n. 4986);
2) come si desume, mutatis mutandis, dall’art. 326 cod. proc. civ. — cui va riconosciuto il
carattere di lex generalis in materia, come tale, da applicare in tutti i casi in cui non sia
specificamente prevista una diversa disciplina — anche ai fini della decorrenza del termine per
l’impugnazione del lodo arbitrale — sia esso rituale o irrituale, come quello di cui si tratta nella
presente controversia — il momento iniziale deve essere individuato nella data della notificazione
del lodo medesimo ad istanza di parte, della quale non costituisce equipollente la comunicazione
integrale, a cura degli arbitri del lodo stesso, anche se tale comunicazione sia stata eseguita (con
forma più rigorosa di quella prevista della spedizione in plico raccomandato) mediante notificazione
dell’ufficiale giudiziario (arg. ex Cass. 30 agosto 2004, n. 17420; Cass. 14 giugno 2007, n. 13906,
con richiami a Cass. SU 29 aprile 1997, n. 3670). Infatti, al suddetto fine, soltanto la notificazione
fatta ad istanza di parte (art. 285 cod. proc. civ.) è idonea ad esprimere la volontà di porre fine alla
fase arbitrale mettendo in moto i termini per l’impugnazione, sia nei confronti del notificato, sia nei
confronti dello stesso notificante;
3) va riconosciuta natura irrituale — salvo espresse disposizioni in contrario — a tutte le
procedure arbitrali che riguardino eventuali controversie in materia di lavoro privato — sia che siano
previste dalla legge sia che siano previste dalla contrattazione collettiva ovvero dalle clausole
compromissorie inserite nello statuto e nel regolamento federale, nel caso particolare dei
professionisti tesserati delle Federazioni sportive — nonché a quelle in materia di sanzioni
disciplinari irrogate nei rapporti di lavoro alle dipendenze delle Amministrazioni pubbliche — a
decorrere dalla vigenza dell’art. 59-bis, d.lgs. 3 febbraio 1993, n. 20, introdotto dall’art. 28, d.lgs.
21 marzo 1998, n. 80 (corrispondente all’art. 56, d.lgs. 30 marzo 2001, n. 165), operante a far data
dalla stipulazione del primo contratto collettivo di settore (Cass. 7 gennaio 2003, n. 44; Cass. 23
dicembre 2004, n. 23900) — e ciò comporta l’applicabilità come unico regime di impugnazione di
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6.- In sintesi, il ricorso principale deve essere accolto, per le ragioni dianzi esposte, e il ricorso
incidentale condizionato va dichiarato inammissibile.

quello previsto dall’art. 412-quater cod. proc. civ., secondo cui il lodo è impugnabile — nei limiti
suoi propri — innanzi al tribunale in funzione di giudice del lavoro, avverso la sentenza pronunciata
in primo (ed unico) grado dal tribunale l’unico mezzo di impugnazione proponibile è il ricorso per
cassazione, mentre l’eventuale impugnazione del lodo proposta erroneamente dinanzi alla corte
d’appello anziché dinanzi al tribunale è inammissibile, trattandosi di incompetenza per grado per la
quale non opera il principio secondo cui la tempestiva proposizione del gravame ad un giudice
incompetente impedisce la decadenza della impugnazione (determinando la cosiddetta traslatio

judicii).

La Corte riunisce i ricorsi. Dichiara inammissibile il ricorso incidentale condizionato e
accoglie il ricorso principale. Cassa la sentenza impugnata, in relazione al ricorso accolto, e rinvia,
anche per le spese del presente giudizio di cassazione, al Tribunale di Milano, in diversa persona del
giudice.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione lavoro, il 22 aprile 2013.

P.Q.M.

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