Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19180 del 19/08/2013


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Civile Sent. Sez. L Num. 19180 Anno 2013
Presidente: VIDIRI GUIDO
Relatore: TRIA LUCIA

SENTENZA

sul ricorso 4479-2010 proposto da:
CERRINA

ELIO

CRRLE147P20D612A,

elettivamente

domiciliato in ROMA, PIAZZA DEL FANTE 2, presso lo
studio dell’avvocato COSTANZA ACCIAI, che lo
rappresenta e difende unitamente all’avvocato CERRAI
UMBERTO, giusta delega in atti;
– ricorrente –

2013
1392

contro

CPT – COMPAGNIA PISANA TRASPORTI – S.P.A. 01024770503,
in persona del legale rappresentante pro tempore,
vA
elettivamente domiciliata in ROMA,vL.G. FARAVELLI 22,

Data pubblicazione: 19/08/2013

presso lo studio dell’avvocato MARESCA ARTURO, che la
rappresenta e difende unitamente all’avvocato MARIANI
MICHELE, giusta delega in atti;
– controricorrente

avverso la sentenza n. 1346/2009 della CORTE D’APPELLO

udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 17/04/2013 dal Consigliere Dott. LUCIA
TRIA;
udito l’Avvocato CERRAI UMBERTO;
udito l’Avvocato GIANNI’ GAETANO per delega MARESCA
ARTURO;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. ENNIO ATTILIO SERE, che ha concluso per
l’accoglimento del ricorso.

di FIRENZE, depositata il 16/10/2009 r.g.n. 1102/07;

Udienza del 17 aprile 2013 — Aula B
n. 10 del ruolo — RG n. 4479/10
Presidente: Vidiri – Relatore: Tria

1.— La sentenza attualmente impugnata (depositata il 16 ottobre 2009) accoglie l’appello della
CPT — Compagnia Pisana Trasporti s.p.a. avverso la sentenza del Tribunale di Pisa dell’8 giugno
2006 e, per l’effetto, rigetta la domanda di Elio Cerrina volta ad ottenere la condanna della
suindicata società al pagamento di una somma di denaro corrispondente ai giorni di ferie non goduti
— a causa di una malattia — al momento della risoluzione del proprio rapporto di lavoro alla
dipendenze della CPT avvenuta per dimissioni prima della scadenza del termine pattuito in sede di
accordo conciliativo, stipulato dinanzi alla Commissione provinciale di conciliazione il 10 aprile
2002.
La Corte d’appello di Firenze, per quel che qui interessa, precisa che:
a) è bene ricordare che al 30 aprile 2002 il Cerrina doveva ancora fruire di 181 giorni di ferie
e che le parti nel suddetto accordo avevano fissato la data di cessazione del rapporto, prevedendone
la derogabilità solo in caso di dimissioni anticipate;
b) dalla piana lettura del verbale dell’accordo in oggetto si desume che la preoccupazione del
datore di lavoro, esplicitata nell’accordo, è stata quella di non cumulare l’indennità sostitutiva delle
ferie con il complessivo trattamento economico concordato per l’esodo;
c) ciò si evince sia dall’impegno assunto dal Cerrina di fruire di tutte le ferie maturate e
maturande, in modo che non vi fossero residui alla data del 31 maggio 2003, fissata per la
cessazione del rapporto, sia dalla esplicita previsione del pagamento del corrispettivo delle ferie non
godute solo per l’ipotesi di dimissioni del dirigente prima dell’ultimazione del suddetto periodo
feriale di sua spettanza (che l’interessato si era obbligato ad utilizzare nel periodo stabilito);
d) in tale contesto la clausola dell’irrilevanza della malattia ai fini della durata dell’accordo
assume un significato diverso da quello che potrebbe desumersi dalla sua interpretazione
meramente letterale;
e) infatti, come correttamente sostenuto dalla datrice di lavoro, tale clausola deve essere intesa
nel senso che le parti, in deroga alla disciplina generale, hanno considerato la malattia come un
“evento neutro” rispetto al patto nel senso che, a fronte di quanto ricevuto (come paga corrente,
TFR e incentivo all’esodo) il dipendente si era impegnato a rinunciare alla sospensione per malattia
ad imputare a ferie tutto il periodo necessario per esaurirle, potendo ricevere un corrispettivo per
ferie non godute solo in caso di dimissioni anticipate;

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SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

O del resto, a fronte di una regolamentazione del rapporto certamente di favore per il Cerrina,
l’azienda si era impegnata al pagamento di una somma di denaro di rilevante entità, che sicuramente
deve considerarsi finalizzata a compensare l’integrale rispetto dei patti, comprese la fruizione delle
ferie accumulate;

h) ne consegue che è ultroneo argomentare sull’irrinunciabilità delle ferie perché l’accordo in
oggetto deve essere letto nel senso che l’eventuale mancata fruizione delle ferie a causa di malattia
aveva già trovato ristoro economico nell’incentivo all’esodo che l’azienda si era impegnata a
corrispondere in ragione dell’integrale esecuzione del patto, il cui significato era quello della
ininfluenza di qualsiasi evento intermedio — tra la stipulazione dell’accordo e la data della prevista
cessazione del rapporto — che potesse comportare un maggiore aggravio economico per il datore di
lavoro;
i) peraltro, non sempre la malattia impedisce la fruizione delle ferie, pertanto, nella specie,
sarebbe stato onere del Cerrina — visto che si era obbligato a fruire delle ferie in esecuzione del
patto conciliativo in oggetto — dedurre e provare che la malattia contratta era di natura tale da
impedire la fruizione delle ferie, mentre ciò non è avvenuto;
1) è noto che, sulla base della giurisprudenza di legittimità richiamata dall’interessato, in casi
simili si pone a carico del lavoratore la mera deduzione dello stato di malattia, mentre si considera il
datore di lavoro onerato della prova della natura della malattia, come non impeditiva della fruizione
delle ferie;
m) tuttavia, tale regime non può trovare applicazione nella presente controversia perché,
essendosi il dirigente impegnato a fruire delle ferie nel periodo predeterminato e a rinunciare a
trattamenti economici ulteriori rispetto a quelli concordati, suo era l’onere di provare che la malattia
era di natura tale da impedirgli l’adempimento dell’obbligo assunto.
2.— Il ricorso di Elio Cerrina domanda la cassazione della sentenza per sei motivi; resiste, con
controricorso, la CPT — Compagnia Pisana Trasporti s.p.a.
Entrambe le parti depositano anche memorie ex art. 378 cod. proc. civ.
MOTIVI DELLA DECISIONE
I

Sintesi dei motivi di ricorso

1.— Con il primo motivo si denuncia, in relazione all’art. 360, n. 3, cod. proc. civ., violazione
o falsa applicazione dell’art. 1362 cod. civ.
Si sostiene che la Corte d’appello, dopo aver affermato che la “lettura piana” del verbale della
conciliazione stipulata fra le parti il 10 aprile 2002 consentiva “di accedere ad una sua
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g) in questo contesto, l’irrilevanza della malattia, anche al suindicato fine, era un elemento
indispensabile per garantire che ogni questione economica sarebbe stata definitivamente regolata
con il patto conciliativo, come esplicitamente previsto nella relativa clausola di chiusura, nella quale
si fa riserva solo del TFR;

Si sottolinea che — diversamente da quanto ritenuto dalla Corte fiorentina — nella conciliazione
l’irrilevanza della malattia è stata strettamente collegata e circoscritta alla improrogabilità della data
di cessazione del rapporto (31 maggio 2003), sicché nessuna clausola del relativo verbale
autorizzava la datrice di lavoro ad imputare a ferie non godute le giornate di assenza dal lavoro —
nel periodo compreso tra il 14 aprile 2002 e il 12 aprile 2003 — del Cenina, dovute ad una
sopravvenuta malattia, la cui natura impeditiva rispetto al godimento delle ferie si deve considerare
pacifica, non essendo mai stata contestata dalla società.
2.— Con il secondo motivo si denuncia, in relazione all’art. 360, n. 3, cod. proc. civ.,
violazione e falsa applicazione dell’art. 1363 cod. civ.
Si precisa che la Corte fiorentina non ha neppure considerato che la clausola di cui al
paragrafo 7 del verbale in oggetto — nella parte in cui prevede il diritto del Cerrina, in caso di
risoluzione del rapporto prima della data stabilita, al pagamento dei giorni di ferie eventualmente
non utilizzati — conferma, anche dal punto di vista sistematico, l’esattezza del significato da
attribuire alla clausola di cui al paragrafo 5, riguardante le ferie, nel senso indicato
nell’argomentazione del primo motivo, che corrisponde al dato letterale.
3.—Con il terzo motivo si denuncia, in relazione all’art. 360, n. 5, cod. proc. civ., omessa,
contraddittoria e insufficiente motivazione in ordine ad un fatto controverso e decisivo per il
giudizio.
Si ribadisce che la Corte territoriale, in modo contraddittorio, dopo aver riconosciuto
l’idoneità del tenore letterale dell’accordo in oggetto ad esprimere in modo compiuto la volontà
delle parti stipulanti, si è poi discostata dal testo del verbale e si sostiene che ciò sia dipeso anche
dalla totalmente arbitraria attribuzione alla corresponsione del concordato “incentivo all’esodo” del
ruolo di ristoro economico di chiusura rispetto a tutte le pretese nascenti in favore del lavoratore
dall’accordo, anche in considerazione della sua “rilevante entità”.
In realtà, invece, dall’accordo emergerebbe in modo “oggettivo e inconfutabile” che il
suddetto incentivo è stato concepito come corrispettivo della anticipata risoluzione del rapporto, ma
certamente non è stato collegato alla mancata fruizione delle ferie in caso di malattia, come
dimostrerebbe la espressa previsione della corresponsione di un emolumento aggiuntivo, a titolo di
indennità per ferie non godute, proprio per l’ipotesi — verificatasi nella specie, data la presentazione
delle dimissioni da parte del Cerrina il 25 maggio 2003 — di risoluzione anticipata del rapporto.

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interpretazione senza particolari difficoltà”, ha poi attribuito al verbale stesso un significato diverso
da quello risultante dal tenore testuale delle parole usate, procedendo alla ricerca della “volontà
inespressa” delle parti, in patente contrasto con l’art. 1362 cod. civ., che consente un tale tipo cli
operazione ermeneutica solo in presenza di testi negoziali non univoci e comunque previa
esplicitazione — nella specie assente — delle ragioni della scelta di discostarsi dal dato letterale, a
meno che la inidoneità di tale ultimo dato ad esplicitare la “comune intenzione delle parti” sia di
“palmare evidenza”.

4.—Con il quarto motivo si denuncia, in relazione all’art. 360, n. 3, cod. proc. civ., violazione
e falsa applicazione dell’art. 2109 cod. civ., dell’art. 36 Cost. e dell’art. 1418 cod. civ.
Si sottolinea che la clausola di cui al paragrafo 5 dell’accordo in parola, se interpretata nel
senso indicato dalla Corte fiorentina, risulterebbe in patente contrasto con i’ art. 2109 cod. civ. e con
l’art. 36 Cost. e, in particolare, con il principio della irrinunciabilità alle ferie, consacrato da queste
norme, come affermato anche dalla Corte costituzionale (sentenza n. 616 del 1987).

5.—Con il quinto motivo si denuncia, in relazione all’art. 360, n. 3, cod. proc. civ., violazione
e falsa applicazione dell’art. 1337 cod. civ.
Si sottolinea che, per rispettare il principio della conservazione del contratto sancito dall’art.
1337 cod. civ., la clausola di cui al paragrafo 5 in oggetto non può non essere interpretata nel senso
di circoscrivere l’irrilevanza della malattia alla improrogabilità della data di cessazione del
rapporto, visto che tale interpretazione è l’unica che consente di evitarne la nullità ed è anche
corretta dal punto di vista sistematico, trovando riscontro nella clausola di cui al paragrafo 7, come
si è detto.
Né la suindicata interpretazione si pone in contrasto con la clausola di cui al paragrafo 6, ove
il Cerrina si è impegnato a fruire di tutte le ferie maturate e maturande, in modo da non avere
residui alla data prevista di cessazione del rapporto.
Infatti, tale impegno non era certamente legato a fatti sopravvenuti indipendenti dalla volontà
dell’onerato, come l’insorgenza di una malattia.
6.—Con il sesto motivo si denuncia, in relazione all’art. 360, n. 3, cod. proc. civ., violazione e
falsa applicazione dell’art. 2697 cod. civ. e dell’art. 416, quinto comma, cod. proc. civ.
Si sostiene che erroneamente la Corte d’appello — sul rilievo secondo cui il Cerrina aveva
assunto l’obbligo di fruire di tutte le ferie maturate e maturande — ha posto a carico del lavoratore
l’onere di dimostrare che la malattia sopravvenuta dopo la sottoscrizione dell’accordo in oggetto era
di natura tale da impedire il godimento delle ferie arretrate.
Si rileva che la Corte non ha considerato che la datrice di lavoro, nel corso del giudizio, non
ha mai contestato la natura impeditiva della fruizione delle ferie della malattia sopravvenuta, sicché
tale circostanza era da considerare ormai pacifica.

II

Esame delle censure

7.- Il primo, il secondo, il terzo il quinto motivo di ricorso — da trattare congiuntamente, data
la loro intima connessione — non sonRécogliere, per le ragioni di seguito precisate.
7.1.- Dal punto di vista dell’impostazione delle censure va rilevato che, nonostante il formale
richiamo alla violazione di norme di legge, contenuto nell’intestazione del primo, del secondo e del
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Conseguentemente, in base alla giurisprudenza di legittimità, tale clausola così intesa sarebbe
radicalmente nulla.

Ebbene, la deduzione con il ricorso per cassazione di un vizio di motivazione della sentenza
impugnata non conferisce al giudice di legittimità il potere di riesaminare il merito della vicenda
processuale, bensì la sola facoltà di controllo della correttezza giuridica e della coerenza logica
delle argomentazioni svolte dal giudice del merito, non essendo consentito alla Corte di cassazione
di procedere ad una autonoma valutazione delle risultanze probatorie, sicché le censure concernenti
il vizio di motivazione non possono risolversi nel sollecitare una lettura delle risultanze processuali
diversa da quella accolta dal giudice del merito (vedi, tra le tante: Cass. 18 ottobre 2011, n. 21486;
Cass. 20 aprile 2011, n. 9043; Cass. 13 gennaio 2011, n. 313; Cass. 3 gennaio 2011, n. 37; Cass. 3
ottobre 2007, n. 20731; Cass. 21 agosto 2006, n. 18214; Cass. 16 febbraio 2006, n. 3436; Cass. 27
aprile 2005, n. 8718).
Infatti, la prospettazione da parte del ricorrente di un coordinamento dei dati acquisiti al
processo asseritamente migliore o più appagante rispetto a quello adottato nella sentenza
impugnata, riguarda aspetti del giudizio interni all’ambito di discrezionalità di valutazione degli
elementi di prova e dell’apprezzamento dei fatti che è proprio del giudice del merito, in base al
principio del libero convincimento del giudice, sicché la violazione degli artt. 115 e 116 cod. proc.
civ. è apprezzabile, in sede di ricorso per cassazione, nei limiti del vizio di motivazione di cui
all’art. 360, primo comma, numero 5, cod. proc. civ., e deve emergere direttamente dalla lettura
della sentenza, non già dal riesame degli atti di causa, inammissibile in sede di legittimità (Cass. 26
marzo 2010, n. 7394; Cass. 6 marzo 2008, n. 6064; Cass. 20 giugno 2006, n. 14267; Cass. 12
febbraio 2004, n. 2707; Cass. 13 luglio 2004, n. 12912; Cass. 20 dicembre 2007, n. 26965; Cass. 18
settembre 2009, n. 20112).
7.2.- Ciò vale anche nell’ipotesi in cui — come accade nella specie — si censuri, nel ricorso per
cassazione, l’interpretazione di un atto.
Infatti tale interpretazione è un tipico accertamento in fatto riservato al qiudice del merito,
censurabile in sede di legittimità solo nell’ipotesi di violazione dei canoni legali di ermeneutica
contrattuale — di cui agli artt. 1362 e ss. cod. civ. — o di motivazione inadeguata, ovverosia non
idonea a consentire la ricostruzione dell’iter logico seguito per giungere alla decisione. Pertanto,
onde far valere una violazione sotto il primo profilo, occorre non solo fare puntuale riferimento alle
regole legali d’interpretazione, mediante specifica indicazione dei canoni asseritamente violati ed ai
principi in esse contenuti, ma occorre, altresì, precisare in qual modo e con quali considerazioni il
giudice del merito se ne sia discostato, con l’ulteriore conseguenza dell’inammissibilità del motivo
di ricorso che, pur essendo formalmente fondato sull’asserita violazione delle norme ermeneutiche
o sul vizio di motivazione, si risolva, in realtà, nella proposta di una interpretazione dell’atto
negoziale diversa da quella adottata dal liudice del merito (Cass. 26 ottobre 2007, n. 22536; Cass.
30 aprile 2010, n. 10554).
5

quinto motivo, tutte le censure si risolvono nella denuncia di vizi di motivazione della sentenza
impugnata per errata valutazione del materiale probatorio acquisito, ai fini della ricostruzione dei
fatti e in particolare per asseritamente errata interpretazione dell’accordo conciliativo, stipulato
dalle parti dinanzi alla Commissione provinciale di conciliazione il 10 aprile 2002.

7.3.- In ogni caso, qualunque tipo di contestazione dell’interpretazione di un atto negoziale
deve essere formulata nel rispetto del principio di specificità dei motivi del ricorso per cassazione —
da intendere alla luce del canone generale “della strumentalità delle forme processuali” — in base al
quale il ricorrente che denunci il difetto di motivazione su un’istanza di ammissione di un mezzo
istruttorio o sulla valutazione di un documento o di risultanze probatorie o processuali, ha l’onere di
indicare nel ricorso specificamente le circostanze oggetto della prova o il contenuto del documento
trascurato od erroneamente interpretato dal giudice di merito (trascrivendone il contenuto
essenziale), fornendo al contempo alla Corte elementi sicuri per consentirne l’individuazione e il
reperimento negli atti processuali, potendosi così ritenere assolto il duplice onere, rispettivamente
previsto dall’art. 366, primo comma, n. 6, cod. proc. civ. (a pena di inammissibilità) e dall’art. 369,
secondo comma, n. 4 cod. proc. civ. (a pena di improcedibilità del ricorso), nel rispetto del relativo
scopo, che è quello di porre il Sdudice di legittimità in condizione di verificare la sussistenza del
vizio denunciato senza compiere generali verifiche degli atti e soprattutto sulla base di un ricorso
che sia chiaro e sintetico (vedi, per tutte: Cass. SU 11 aprile 2012, n. 5698; Cass. SU 3 novembre
2011, n. 22726; Cass. 9 ottobre 2012, n. 17168).
7.4.- Nella specie va sottolineato, in primo luogo, che il ricorrente non ha allegato al ricorso
l’accordo conciliativo di cui si tratta nella sua integrità, in particolare non consentendo una
completa lettura del preambolo dell’accordo, la cui portata avrebbe potuto assumere una rilevanza
decisiva al fine di supportare ulteriormente l’interpretazione logico-sistematica che la Corte
d’appello ha privilegiato rispetto a quella letterale.
Peraltro tale scelta, nei limiti in cui è valutabile in questa sede, appare del tutto conforme ai
principi dell’ermeneutica contrattuale ed anche giustificata da una coerente e logica motivazione.
Infatti, essa ha consentito di attribuire alle clausole dell’atto che particolarmente interessano
nel presente giudizio un significato del tutto aderente alla finalità di esodo incentivato che
evidentemente entrambe le parti hanno inteso attribuire all’accordo e che è desumibile — come
correttamente affermato dalla Corte fiorentina — anche dalla ingente somma di denaro corrisposta da
parte del datore di lavoro e accettata dal lavoratore come pienamente satisfattiva di ogni sua pretesa
(vedi, per tutte: Cass. 6 giugno 2011, n. 12211).
In questo contesto il disinteresse della CPT alla prosecuzione del rapporto emerge, oltre che
dalla natura dell’atto, dalla lettura delle stesse clausole riportate nel presente ricorso.
Analogamente appare evidente che le parti hanno inteso chiudere, con la stipulazione
dell’accordo, ogni tipo di reciproca pretesa, stabilendo di non chiudere subito il rapporto anche — se
non proprio — in considerazione del notevole numero di giorni di ferie (181 giorni) di cui il Cerrina
doveva ancora fruire, tanto che questi ha assunto il preciso impegno di goderne entro la data
improrogabilmente fissata per la cessazione del rapporto.
6

Lo stesso principio si applica, ovviamente, anche alle transazioni stipulate dal datore di lavoro
e dal lavoratore finalizzate all’esodo incentivato di quest’ultimo, l’interpretazione delle cui clausole
è, in sede di legittimità, sottoposta alla suindicata disciplina (vedi, fra le altre: Cass. 22 ottobre
2007, n. 22068; Cass. 5 giugno 2012, n. 9012).

In altri termini, in seguito alla stipulazione dell’accordo, come si ricava dall’esatta
ricostruzione della Corte fiorentina, il rapporto di lavoro non aveva più la sua originaria
conformazione, ma era affievolito perché destinato a chiudersi alla data concordata, senza che per
eventi sopraggiunti — in particolare, malattie — ovvero per eventuali residui di ferie non godute vi
potessero essere proroghe o altri esborsi da parte della CPT.

In questa ottica deve essere intesa — come esattamente afferma la Corte territoriale — anche la
clausola in base alla quale si è stabilito che, se il Cerrina si fosse dimesso prima del termine previsto
per la cessazione del rapporto, avrebbe potuto avere una somma ulteriore di denaro per i “giorni di
ferie eventualmente non usufruiti”.
Tale clausola infatti, come risulta dalla sentenza impugnata, non può che essere riferita ai
giorni di ferie residui nell’ambito di quelli che risultavano non goduti al momento della stipulazione
dell’accordo e trova, solo così, una sua spiegazione logica nel fatto che le dimissioni anticipate
avrebbero consentito alla CPT si realizzare in tempi più celeri il proprio interesse a chiudere il
rapporto.
Da quel che si è detto risulta evidente che la Corte d’appello ha dato un’interpretazione
dell’accordo in oggetto che si sottrae a qualsiasi tipo di censura in questa sede — essendo conforme
al criterio logico-sistematico-telelogico, preso in considerazione dagli artt. 1362 e seguenti cod.
civ., unitamente con il criterio letterale — e ne ha tratto conclusioni che non presentano alcun profilo
di manifesta illogicità o insanabile contraddizione.
Di qui il rigetto dei suindicati motivi.
8.- Per quanto riguarda il quarto e il sesto motivo va osservato che ognuna delle questioni in
essi affrontate — rispettivamente: l’inderogabilità del principio della irrinunciabilità alle ferie e la
distribuzione dell’onere probatorio sulla natura della malattia del lavoratore sopravvenuta dopo la
sottoscrizione dell’accordo conciliativo in oggetto — fa capo ad autonome rationes decidendi della
sentenza impugnata.
Ne consegue che i suddetti motivi vanno dichiarati inammissibili, in applicazione del
consolidato e condiviso orientamento di questa Corte secondo cui: “qualora la decisione di merito si
fondi su di una pluralità di ragioni, tra loro distinte e autonome, singolarmente idonee a sorreggerla
sul piano logico e giuridico, la ritenuta infondatezza delle censure mosse ad una delle rationes
decidendi rende inammissibili, per sopravvenuto difetto di interesse, le censure relative alle altre
ragioni esplicitamente fatte oggetto di doglianza, in quanto queste ultime non potrebbero comunque
condurre alla cassazione della sentenza impugnata, che rimarrebbe pur sempre ferma sulla base
della ratio ritenuta corretta” (vedi, per tutte: Cass. 14 febbraio 2012, n. 2108; Cass. 24 maggio
2006, n. 12372).
7

Del resto, il fatto stesso che si prevedesse che il Cerrina dovesse godere in poco più di un
anno di tutte le ferie residue dimostra che la situazione era assolutamente sui generis, non governata
dalle normali regole che disciplinano il rapporto di lavoro, ma esclusivamente dall’accordo
conciliativo.

III — Conclusioni
9.- In sintesi, il ricorso deve essere respinto. La natura delle questioni trattate e il diverso
orientamento rispettivamente espresso dai giudici dei due gradi di merito giustificano la
compensazione, tra le parti, delle spese del presente giudizio di cassazione.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e compensa, tra le parti, le spese del presente giudizio di cassazione.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione lavoro, il 17 aprile 2013.

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