Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19180 del 19/07/2018


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Civile Sent. Sez. 3 Num. 19180 Anno 2018
Presidente: SPIRITO ANGELO
Relatore: SPAZIANI PAOLO

SENTENZA
sul ricorso 25801-2014 proposto da:
GARDINI ENNIO, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA
ARCHIMEDE 138, presso lo studio dell’avvocato GUIDO
CARLOS PIZZI, che lo rappresenta e difende giusta
procura a margine del ricorso;
– ricorrente 2018
1332

contro
NOVA RESIUM SAS E PER ESSA EX SOCI RIVA ANNA PIA
MORSELLI ALESSANDRO, CHEMINOVA INTERNACIONAL S.A.;

intimati

avverso la sentenza n. 743/2014 della CORTE D’APPELLO

1

Data pubblicazione: 19/07/2018

di BRESCIA, depositata il 03/06/2014;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 27/04/2018 dal Consigliere Dott. PAOLO
SPAZIANI;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore

l’accoglimento dei motivi l, 3, 4, 5 e 8;
udito l’Avvocato GUIDO PIZZI;

2

Generale Dott. ALBERTO CARDINO che ha concluso per

P.U. 27.04.2018
N.R.G. 25801/2014
Pres. Spirito
Est. Spaziani

FATTI DI CAUSA
Ennio Gardini citò in giudizio dinanzi al Tribunale di Mantova la
società Nova Resium s.a.s., invocandone l’accertamento della responsabilità ai
sensi degli artt. 2050 e 2043 c.c. e chiedendone la condanna al risarcimento dei
danni (consistiti in un rilevante aggravamento della psoriasi di cui già soffriva)

società spagnola Cheminova Internacional s.a. ma commercializzato in Italia
dalla convenuta.
Il Tribunale — pronunciando nella contumacia della società produttrice
(chiamata in causa ad istanza della convenuta, che aveva formulato nei suoi
confronti domanda di garanzia condizionata all’eventale soccombenza) —
rigettò la domanda.
La Corte di appello di Brescia — pronunciando nei confronti di Anna
Pia Riva e Alessandro Morselli (ex soci della Nova Resium s.a.s., che si erano
costituiti in giudizio dopo che la società era stata cancellata dal registro delle
imprese) — ha respinto l’appello proposto dal danneggiato.
Avverso la sentenza della Corte bresciana propone ricorso per
cassazione Ennio Gardini, sulla base di otto motivi. Gli intimati non svolgono
attività difensiva.

RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Si pone preliminarmente il problema del perfezionamento della
notifica del ricorso per cassazione alla Cheminova Intenacional s.a., società
straniera avente sede in Spagna, chiamata in causa dalla convenuta.
Premesso che, secondo il consolidato orientamento di questa Corte, la
chiamata in garanzia determina un litisconsorzio necessario processuale tra il
terzo chiamato e le parti originarie, con conseguente inscindibilità delle cause
ex art. 331 c.p.c., sicché l’attore che impugna la sentenza a sé sfavorevole è
tenuto ad evocare nel giudizio di impugnazione oltre che il responsabile anche
il garante (Cass. Sez. U 4/12/2015, n. 24707; Cass. 31/10/2017, n. 25822),
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conseguiti all’utilizzazione di un preparato per uso cutaneo prodotto dalla

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deve darsi atto che la notifica del ricorso per cassazione alla terza chiamata è
stata tentata due volte dal ricorrente a due indirizzi diversi, avvalendosi delle
modalità previste dal Regolamento CE n. 1393/2007 del Parlamento Europeo
e del Consiglio relativo alla notificazione e alla comunicazione negli Stati

Entrambi i tentativi hanno avuto esito negativo, non essendo stata
rinvenuta la società destinataria in nessuno dei due indirizzi.
Poiché entrambi i tentativi appaiono rispettosi del disposto di cui
all’attuale art. 142, secondo comma, c.p.c., si pone dunque il problema se la
notifica possa ritenersi perfezionata ai sensi del successivo art. 143, terzo
comma, c.p.c., secondo cui la notificazione si ha per eseguita nel ventesimo
giorno successivo a quello in cui sono compiute le formalità prescritte nei
primi due commi dell’articolo precedente.
La soluzione negativa argomenta dal rilievo che la presunzione di cui
all’art. 143, terzo comma, non può trovare applicazione nei casi in cui vi sia la
prova dell’esito negativo della notificazione, ma soltanto nei casi in cui si
profilano situazioni dubbie, ipotizzabili con riguardo alle sole notificazioni
eseguite — oltre che con le modalità di cui all’art. 143 stesso — con quelle di cui
al primo comma dell’art. 142, le quali non contemplano la necessità di un
riscontro dell’avvenuta consegna dell’atto al destinatario (Cass. 27/09/2013, n.
22218) .
L’indebito riferimento normativo ai “primi due commi” dell’art. 142
c.p.c. deriverebbe dal suo mancato coordinamento con le modifiche apportate
a quest’ultimo articolo dal d.l. n. 196 del 2003, che ne ha unificato i primi due
commi originari nell’attuale primo comma, sicché la presunzione di
perfezionamento della notifica potrebbe operare soltanto se essa sia stata
eseguita con le modalità previste da questa specifica disposizione.
In contrario può tuttavia osservarsi che le modalità di notificazione
previste dal Regolamento CE assumono la dignità di modalità primarie e
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membri degli atti giudiziari ed extragiudiziali in materia civile o commerciale.

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principali di notificazione, atteso che la disciplina comunitaria prevede che la
notificazione degli atti giudiziari ed extragiudiziali negli Stati membri venga
compiuta nel rispetto di tali modalità, lasciando la mera facoltà a ciascuno
Stato di ricorrere, in circostanze eccezionali, alla via consolare o diplomatica
per trasmettere atti giudiziari a scopo di notificazione (art. 12) nonché di

alla notificazione o comunicazione di atti giudiziari a persone residenti in altro
Stato membro (art.13).
Deve dunque essere rimeditato l’orientamento secondo cui la
disposizione di cui all’art. 143, terzo comma, c.p.c. va riferita alla sola ipotesi
residuale prevista dal primo comma dell’art. 142 c.p.c., dovendo essa essere
estesa anche all’ipotesi principak in cui la notifica sia stata eseguita secondo le
modalità di cui all’attuale secondo comma del medesimo articolo.
Può pertanto concludersi che nel presente procedimento il
contraddittorio è stato regolarmente instaurato dal ricorrente anche nei
confronti della Cheminova Internacional s.a., essendo trascorsi più di venti
giorni dal compimento delle formalità prescritte dall’art. 142, secondo comma,
c.p.c..

2. Con il primo motivo (violazione degli artt. 2050 e 2697 c.c.), il
ricorrente denuncia l’errore in cui sarebbe incorsa la Corte di appello per aver
ritenuto inapplicabile, nella fattispecie, la disposizione codicistica in tema di
responsabilità per l’esercizio di attività pericolose, con le conseguenti
implicazioni sul regime di ripartizione dell’onere della prova. Deduce che
l’esclusione dell’attività svolta dalla convenuta dal novero delle attività
pericolose sarebbe stata effettuata sulla base dell’astratta distinzione tra attività
di produzione e commercializzazione dei prodotti di natura farmaceutica
(pacificamente ricompresa in tale novero) e attività di produzione e
commercializzazione dei prodotti di natura cosmetica (pacificamente esclusa
dal novero medesimo) senza considerare le peculiarità del caso concreto, in
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procedere, senza coercizione, tramite i propri agenti diplomatici o consolari,

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relazione al quale era stata accertata la presenza nel prodotto utilizzato di una
sostanza medicinale di natura cortisonica.

3. Con il secondo motivo (nullità della sentenza) il ricorrente denuncia
carenza assoluta di motivazione sul medesimo punto della pronuncia con cui è
stata esclusa l’applicabilità dell’art. 2050 c.c.. Deduce che l’esposizione delle

proposizioni astratte, del tutto avulse dalla fattispecie concreta e tali da
rendere la motivazione della sentenza meramente apparente.

3.1. I motivi illustrati — che si presentano come connessi in quanto
contestano entrambi, sotto diversi profili, la statuizione con cui la Corte di
merito ha escluso l’applicabilità alla fattispecie dell’art. 2050 c.c. — sono
fondati.
La Corte di appello ha ritenuto inapplicabile la norma in parola, sul
rilievo che, se è pacifico che tra le attività pericolose rientra quella di
produzione e commercializzazione dei prodotti farmaceutici, altrettanto
pacificamente dovrebbe escludersi dal novero di tali attività quella di
produzione e commercializzazione di prodotti di natura cosmetica, quale
quello utilizzato dal danneggiato.
La Corte territoriale ha inoltre ritenuto che nessun rilievo, in senso
contrario, potesse attribuirsi alla circostanza, emersa dalla consulenza tecnica
d’ufficio espletata in primo grado, che tra i componenti del prodotto utilizzato
dal Gardini vi fosse una sostanza di natura medicinale, atteso che l’aggiunta,
ad un prodotto cosmetico, di sostanze con funzione latamente terapeutica o
protettiva non ne comporterebbe la trasformazione in farmaco, in
considerazione del carattere secondario della predetta funzione rispetto a
quella cosmetica.
La Corte di merito ha infine affermato che non può ricondursi
nell’orbita del disposto dell’art. 2050 c.c. «una attività non pericolosa di per
sé», quale quella di commercializzazione di un prodotto cosmetico, anche se
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ragioni della decisione si sarebbe ridotta all’apodittica enunciazione di

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divenga tale per l’operatività di «cause esterne», quali la presenza — peraltro
non nota al distributore — di componenti che rendano in concreto il prodotto
potenzialmente nocivo per la salute.

3.2. Attraverso tali statuizioni la Corte di appello ha fatto malgoverno
dei principi elaborati da questa Corte in relazione ai criteri cui deve

un’attività in funzione dell’applicazione del criterio speciale di imputazone di
responsabilità previsto dall’art. 2050 c.c..
Secondo il consolidato orientamento di questa Corte, infatti, la nozione
di attività pericolosa, ai sensi e per gli effetti della norma suddetta, non deve
essere limitata alle attività tipiche, già qualificate come tali da una norma di
legge, ma deve essere estesa a tutte le attività che, per la loro stessa natura o
per le caratteristiche dei mezzi adoperati, comportino una rilevante possibilità
del verificarsi di un danno (Cass. 30/10/2002, n.15288; Cass. 07/05/2007,
n.10300; Cass. 16/01/2013, n.919; Cass. 29/07/2015, n.16052).
Il requisito della pericolosità, dunque, non va accertato in astratto ma in
concreto, con valutazione che deve essere fatta caso per caso, tenendo
presente che anche un’attività per natura non pericolosa può diventarlo in
ragione delle modalità con cui viene esercitata o dei mezzi impiegati per
espletarla (Cass. 05/06/2002, n. 8148).
L’accertamento in concreto se una certa attività, non espressamente
qualificata come pericolosa da una disposizione di legge, possa o meno essere
considerata tale ai sensi dell’articolo 2050 c.c., implica un accertamento di
fatto, che il giudice del merito deve compiere secondo il criterio della prognosi
postuma, in base alle circostanze esistenti al momento dell’esercizio
dell’attività (Cass. 30/10/2002, n. 15288; Cass. 12/05/2005, n. 10027), e che è
insindacabile in sede di legittimità, ove correttamente e logicamente motivato
(Cass. 19/01/2007, n. 1195; Cass. 20/05/2015, n. 10268).

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conformarsi il giudice del merito nell’accertamento del carattere pericoloso di

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Lo stesso criterio deve guidare il giudice del merito nella distinzione tra

pericolosità della condotta (la quale riguarda un’attività normalmente innocua, che
assume i caratteri della pericolosità a causa della condotta imprudente o
negligente dell’operatore, ed è elemento costitutivo della responsabilità
generale di cui all’art. 2043 c.c.) e pericolosità dell’attività in quanto tale (la quale

ragione della sua natura o dei mezzi adoperati e rappresenta una componente
della responsabilità speciale di cui all’art. 2050 c.c.), distinzione che va
accertata di volta in volta verificando la natura dell’attività o il grado di
efficienza dei mezzi utilizzati (Cass. 21 ottobre 2005, n. 20357).
Discende da tali principi che il novero delle attività pericolose non è
predeterminato in astratto dovendo essere integrato con tutte quelle attività
che risultino in concreto dotate di spiccata potenzialità offensiva per loro
natura o per le modalità concrete di svolgimento.
Dei ricordati principi e delle loro implicazioni non ha tenuto conto la
Corte di merito, la quale ha qualificato come “non pericolosa” l’attività di
produzione e commercializzazione del prodotto utilizzato da Ennio Gardini
sulla base di una rigida ed astratta distinzione tra prodotti farmaceutici e
prodotti cosmetici, senza fornire una congrua e logica spiegazione delle
ragioni per le quali ha ritenuto che non assumessero rilevanza le peculiarità del
caso concreto, in relazione al quale era stato accertato, con consulenza tecnica
d’ufficio, che il prodotto, benché formalmente rientrante nella categoria dei
cosmetici, conteneva in realtà un componente medicinale cortisonico che ne
alterava nella sostanza la natura.

3.3. Al riguardo, infatti, la Corte territoriale si è limitata ad affermare,
per un verso, che l’aggiunta ad un prodotto cosmetico di sostanze aventi
funzioni terapeutiche o protettive non ne comporterebbe la trasformazione in
farmaco; per altro verso, che la presenza del componente medicinale, pur
rendendo il prodotto potenzialmente nocivo per la salute umana, resterebbe
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concerne un’attività che, invece, è potenzialmente dannosa di per sé, in

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“causa esterna” alla attività di commercializzazione dello stesso, che non
cesserebbe di essere “di per sé” non pericolosa.
La prima ragione, risolvendosi in una proposizione puramente assertiva,
assume soltanto l’apparenza di motivazione; la seconda ragione è
irriducibilmente contraddittoria, in quanto ammette la potenzialità nociva del

contraddizione con tale ammissione, che l’attività di commercializzazione
dello stesso rimane attività non pericolosa.
L’apparenza e l’irriducibile contraddittorietà della motivazione sul
punto della sentenza esaminato, integrano carenza motivazionale che si
traduce in violazione di legge costituzionalmente rilevante e in vizio di nullità
della sentenza, la quale continua ad essere sindacabile in sede di legittimità pur
dopo la riformulazione dell’art. 360 n.5 c.p.c. (Cass. Sez. U 07/04/2014, nn.
8053 e 8054).
3.4. Sussistono pertanto entrambi i vizi denunciati con i primi due
motivi di ricorso, che devono dunque essere accolti.
4. 11 terzo motivo (che, denunciando l’omissione di fatti decisivi per il
giudizio che sono stati oggetto di discussione tra le parti, indulge ancora nella
contestazione dell’omessa riconduzione della fattispecie all’orbita di
operatività dell’art. 2050 c.c.) è assorbito dall’accoglimento dei primi due.
5. Con il quarto motivo (violazione degli artt. 2043 e 2697 c.c.; degli
artt. 1, 6, 8, 23, commi 2 e 3, d.lgs. n. 178/1991; degli artt.3, comma 4, 5 e 8
d.P.R. n. 224/1988; degli artt. 1, 3, comma 4, e 7 1. n.713/1986, come
modificata dal d.lgs. n. 126/1997) il ricorrente lamenta che, ricondotta la
fattispecie all’ambito di operatività dell’art. 2043 c.c., la Corte di merito abbia
ritenuto che incombesse su di lui l’onere di provare tutti gli elementi
costitutivi della responsabilità della società convenuta (ed in particolare
l’elemento soggettivo, consistente nella colpa o nel dolo di quest’ultima),
omettendo di considerare che il complesso delle norme surrichiamate
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prodotto determinata dalla sua componente medicinale ma ribadisce, in

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istituiscono, in capo al produttore e al distributore o importatore di prodotti
medicinali e di prodotti cosmetici, un regime speciale di responsabilità in
forza della quale egli è tenuto ad osservare una qualificata diligenza
professionale e ad adottare le cautele necessarie ad evitare di porre in
circolazione e commercializzare prodotti difettosi.

l’originario atto di citazione invocava — come si desume dalle stesse
conclusioni di questo atto trascritte nell’odierno ricorso — l’accertamento della
responsabilità della società convenuta ai sensi degli artt. 2050 o 2043 c.c.,
senza far riferimento alle specifiche norme sulla responsabilità per danno da
prodotti difettosi (già contenute nel d.P.R. 24 maggio 1988, n.224 ed ora
tras fuse nel codice del consumo) o a quelle in tema di produzione e vendita di
prodotti cosmetici, contenute nella 1. 11 ottobre 1986, n. 713, ora abrogata dal
d.lgs. 4 dicembre 2015, n. 204.
Deve infatti reputarsi preclusa la possibilità di formulare in sede di
legittimità doglianze fondate su un titolo di responsabilità diverso da quello
posto a fondamento dell’originaria domanda, atteso che l’eterogeneità dei fatti
costitutivi delle diverse responsabilità si traduce nella diversità delle causae
petendi delle relative domande risarcitorie, e dunque in un’inammissibile mutati°

6. Con il quinto motivo (violazione del combinato disposto degli artt.
2043 e 1227 c.c.; nullità della sentenza) il ricorrente si duole che, una volta
ritenuta applicabile alla fattispecie la disciplina generale dettata dall’art. 2043
c.c., la Corte di merito abbia poi escluso la responsabilità della società
convenuta sul rilievo della mancanza della colpa di quest’ultima nonché del
nesso causale tra il fatto da essa posto in essere e l’evento dannoso da lui
subito. Con riguardo al nesso causale sostiene che sia stata indebitamente
attribuita efficacia interruttiva al comportamento da lui tenuto in occasione
dell’utilizzazione del prodotto cosmetico nonché alla sua decisione di
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5.1. il motivo è inammissibile in quanto la domanda formulata con

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interromperne bruscamente l’uso. Deduce che l’evento dannoso (consistito
nell’aggravamento della patologia, che da lieve “psoriasi” era degenerata in
“eritrodermia”) era infatti ascrivibile unicamente all’indebita e non segnalata
presenza del componente farmaceutico (che si era accertato essere
“clobetasolo propionato”, sostanza medicinale di natura cortisonica) e che alle

conformi alle indicazioni contenute nel foglietto illustrativo e riferite ad un
mero cosmetico privo di qualsiasi controindicazione) non poteva attribuirsi la
natura di cause sopravvenute esclusive. Con riguardo alla colpa della
convenuta il ricorrente osserva che l’azienda «non si era curata di verificare la
presenza» del corticosteroide nel prodotto messo in commercio e lo aveva
«commercializzato come prodotto di libera vendita, senza avvertenze
cautelative» e «di facile e libera applicazione», laddove invece si trattava di un
«preparato ad alta potenza del tutto controindicato per la psoriasi», come era
stato successivamente accertato dal CTU, il quale aveva chiarito che i più
recenti prontuari vietano l’utilizzazione del farmaco nella trattazione della
psoriasi. Il ricorrente deduce, infine, che nell’escludere la sussistenza dei
predetti elementi costitutivi della dedotta responsabilità aquiliana della società
distributrice, la sentenza sarebbe viziata non solo sotto il profilo della
violazione di legge, ma anche sotto il profilo della carenza di motivazione
costituzionalmente rilevante, atteso che la Corte territoriale non avrebbe
spiegato le ragioni per le quali il comportamento del danneggiato avrebbe
interrotto il nesso di causalità tra la colposa distribuzione del prodotto
contenente il farmaco vietato e l’aggravamento della patologia.

6.1. Il motivo è fondato.
La Corte di appello, dopo aver ritenuto che la fattispecie dovesse essere
regolata dalla regola generale sull’illecito aquiliano di cui all’art. 2043 c.c., ha
escluso la responsabilità della convenuta sul rilievo della mancanza della colpa
e del nesso causale.
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modalità con le quali egli aveva utilizzato e poi dismesso il prodotto (del tutto

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Il relazione al nesso causale ha ritenuto che, sebbene dalla consulenza
tecnica d’uffico fosse emerso con certezza che la presenza nel prodotto del
“clobetasolo propionato” era stata la causa determinante dell’aggravamento
della patologia psoriasica e della sua degenerazione in eritrodermia, tuttavia
alla produzione di tale effetto non potesse considerarsi estraneo il

secondo le caratteristiche sue proprie (come mero palliativo) ma, senza previo
accertamento specialistico, lo avrebbe dapprima indebitamente utilizzato in
modo prolungato con finalità curative e successivamente, in modo altrettanto
indebito, avrebbe sospeso troppo bruscamente il trattamento. Questa
condotta, ad avviso della Corte di merito, avrebbe integrato gli estremi di un
contegno imprudente e sconsiderato, idoneo ad escludere il nesso di causalità
e di per sé sufficiente a determinare l’evento dannoso.
In relazione alla colpa, la Corte di appello, dopo aver premesso che
l’attore-appellante non aveva dedotto alcun fatto doloso o colposo a carico
della convenuta-appellata, ha poi contraddittoriamente rilevato che a questa
era stata attribuita solo una generica carenza informativa (la quale tuttavia non
le era addebitabile nella sua qualità di mera distributrice, come tale non a
conoscenza della presenza nel prodotto di sostanze non indicate nel foglietto
illustrativo) e che non era individuabile alcuna omissione di cautele doverose
da parte sua, essendo pacifico che essa non solo aveva richiesto al produttore
espresse assicurazioni sulla qualità del prodotto ma aveva anche fatto
effettuare autonomamente analisi del preparato al fine di accertare l’eventuale
presenza di sostanze vietate dalla normativa sui cosmetici.

6.2. Con tali statuizioni la Corte di merito ha violato i principi affermati
da questa Corte in relazione ai criteri che devono guidare il giudice del merito
nell’individuazione degli elementi costitutivi dell’illecito civile.
Le predette statuizioni, inoltre, sono viziate anche sotto il profilo della
motivazione, essendo meramente apparente e irriducibilmente contraddittorio
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comportamento del Gardini, il quale non avrebbe utilizzato il prodotto

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il supporto argomentativo della medesima, ed integrandosi, dunque, oltre alla
dedotta violazione di legge, anche la denunciata nullità della sentenza.
6.3. In ordine al rapporto di causalità tra fatto del danneggiante ed
evento dannoso, questa Corte ha da tempo chiarito che si ha interruzione di
tale nesso, per effetto del comportamento sopravvenuto di altro soggetto (che

ponga, ai sensi dell’art. 41, secondo comma, c.p., come unica ed esclusiva
causa dell’evento di danno, sì da privare dell’efficienza causale e rendere
giuridicamente irrilevante il precedente comportamento dell’autore
dell’illecito, ma non quando, essendo ancora in atto ed in fase di sviluppo il
processo produttivo del danno avviato dal fatto illecito dell’agente, nella
situazione di potenzialità dannosa da questi determinata si inserisca una
condotta di altro soggetto (ed eventualmente dello stesso danneggiato) che sia
preordinata proprio al fine di fronteggiare e, se possibile, di neutralizzare le
conseguenze di quell’illecito. In tal caso lo stesso illecito resta unico fatto
generatore sia della situazione di pericolo sia del danno derivante dall’adozione
di misure difensive o reattive a quella situazione, sempreché rispetto ad essa
coerenti ed adeguate (Cass. 12/09/2005, n. 18094; Cass. 06/07/2006, n.
15382).
La Corte di merito avrebbe quindi dovuto spiegare in primo luogo
perché la condotta dell’acquirente volta ad utilizzare (anche in maniera
prolungata) e a dismettere (anche repentinamente) un prodotto presentato
come cosmetico liberamente utilizzabile e privo di particolari
controindicazioni (condotta obiettivamente non avente i caratteri
dell’abnomità e della inopinatezza) avrebbe assunto nel caso di specie la natura
di causa efficiente esclusiva, tanto più alla luce delle perspicue conclusioni
della consulenza tecnica espletata, la quale aveva chiarito che la comparsa
dell’eritrodermia era stata causata proprio dal corticosteroide presente nel
cosmetico; in secondo luogo perché la medesima condotta (in particolare
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può identificarsi anche con lo stesso danneggiato) quando il fatto di costui si

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quella volta ad interrompere l’uso del prodotto, evidentemente dopo averne
sperimentato l’inidoneità al raggiungimento dei risultati sperati, sebbene in una
fase in cui non si era ancora verificato l’aggravamento della patologia
successivamente sofferto) non potesse piuttosto essere inquadrata tra le
misure reattive o difensive poste in essere dal danneggiato, le quali, come tali,

Con riguardo alla colpa della società convenuta, la Corte di appello ha
affermato, per un verso, che essa non poteva consistere nella carenza
informativa (atteso che la società, in qualità di mera distributrice, non era a
conoscenza della presenza nel prodotto di sostanze non mezionate sicché
non poteva ritenersi gravata da un dovere di informazione sulla composizione
dello stesso); per altro verso, che la colpa neppure poteva consistere
nell’omissione di cautele doverose (per non aver previamente accertato la
pericolosità del prodotto commercializzato), essendo tale profilo di colpa
escluso dalla circostanza che «prima dell’importazione, la Nova Resium s.a.s.
aveva richiesto espresse assicurazioni sulla qualità del prodotto al produttore»
e «aveva fatto effettuare autonomamente analisi del preparato al fine di
accertare la eventuale presenza di sostanze vietate dalla normativa sui
cosmetici». Si tratta, ancora una volta, di una motivazione fondata su un
supporto argomentativo irriducibilmente contraddittorio. Invero, il
compimento delle indagini necessarie ad accertare la pericolosità del prodotto
avrebbe escluso la sussistenza di quell’ignoranza incolpevole su cui è fondato
il giudizio di non addebitabilità della carenza informativa lamentata dal
ricorrente. Quest’ultima, infatti, avrebbe potuto ritenersi sussistente solo ove
gli accertamenti non fossero stati fatti o fossero stati inidonei al
raggiungimento dell’obiettivo, ma in questo caso avrebbe dovuto ritenersi
altresi sussistente quell’omissione di cautele doverose che avrebbe integrato il
secondo profilo di colpa.

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non incidono sul nesso di causalità tra l’evento lesivo e l’originario illecito.

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6.4. Sussistono pertanto i vizi denunciati con il motivo di ricorso in
esame, che deve dunque essere accolto.
7. Il sesto e il settimo motivo (che, denunciando, rispettivamente,
l’omissione di fatti decisivi per il giudizio e la nullità della sentenza o del
procedimento, indulgono ancora, in sostanza, nella contestazione del mancato

art. 2043 c.c.) sono assorbiti dall’accoglimento del quinto.
8. Con l’ottavo motivo (nullità della sentenza) il ricorrente denuncia la
violazione del principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato, per
omessa pronuncia sulla domanda formulata nei confronti della società
Cheminova Internacional s.a.

8.1. Il motivo è inammissibile, atteso che nell’originario atto di citazione
l’attore aveva proposto domanda risarcitoria unicamente nei confronti della
Nova Resium s.a.s. mentre la Cheminova Internacional era stata chiamata in
causa dalla convenuta ed era destinataria della sola domanda di garanzia
proposta da quest’ultima.
La domanda risarcitoria non si era estesa nella fattispecie alla
Cheminova Internacional in quanto il principio dell’estensione automatica
della domanda dell’attore nei confronti del terzo chiamato in causa dal
convenuto opera solo quando tale chiamata sia effettuata dal convenuto per
ottenere la sua liberazione dalla pretesa attorea, individuandosi il terzo come
l’unico obbligato nei confronti dell’attore, in posizione alternativa con il
convenuto ed in relazione ad un unico rapporto, mentre non opera in caso di
chiamata in garanzia impropria, attesa l’autonomia dei rapporti (Cass.
27/04/2016,n. 8411; Cass. 29/11/2016, n. 24294).
Dall’esame degli atti — che questa Corte è legittimata a compiere in
ipotesi di dedotta violazione dell’art. 112 c.p.c. — risulta inoltre che nelle stesse
conclusioni rese dinanzi al giudice di primo grado e in quelle poste in calce
all’atto di citazione in appello l’attore aveva invocato unicamente la condanna
15

accertamento degli elementi costitutivi della responsabilità della convenuta ex

P.U. 27.04.2018
N.R.G. 25801/2014
Pres. Spirito
Est. Spaziani

dell’originaria convenuta sicché la domanda nei confronti della terza chiamata
era stata proposta solo successivamente.

9. In definitiva, vanno accolti il primo, il secondo e il quinto motivo di
ricorso; il terzo, il sesto e il settimo motivo devono dichiararsi assorbiti; il
quarto e l’ottavo motivo vanno dichiarati inammissibili. In relazione ai motivi

spese del giudizio di legittimità, alla Corte di appello di Trento, che si
uniformerà ai principi di diritto sopra illustrati.

P.Q.M.
La Corte accoglie il primo, il secondo e il quinto motivo di ricorso;
dichiara assorbiti il terzo, il sesto e il settimo; dichiara inammissibili il quarto e
l’ottavo motivo; cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e
rinvia alla Corte di appello di Trento, che provvederà anche sulle spese del
giudizio di legittimità.
Così deciso nella Camera di consiglio della Terza Sezione Civile il 27
aprile 2018.

IL PRESIDEN
trito

accolti la sentenza impugnata deve essere cassata con rinvio, anche per le

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