Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 1918 del 25/01/2018


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Civile Ord. Sez. L Num. 1918 Anno 2018
Presidente: NOBILE VITTORIO
Relatore: BRONZINI GIUSEPPE

ORDINANZA

sul ricorso 24431-2013 proposto da:
POSTE ITALIANE S.P.A. C.F. 97103880585, in persona
del legale rappresentante pro tempore, elettivamente
domiciliata in ROMA, VIA PO 25/B, presso lo studio
dell’avvocato ROBERTO PESSI, che la rappresenta e
difende, giusta delega in atti;
– ricorrente contro
2017
3722

CIURA COSIMO, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA
DELLA SCROFA 64, presso lo studio dell’avvocato
GIUSEPPE PECORILLA, rappresentato e difeso
dall’avvocato ANGELA SEMERARO, giusta delega in atti;
– controricorrente –

Data pubblicazione: 25/01/2018

avverso la sentenza n. 373/2012 della CORTE D’APPELLO
DI LECCE SEZ. DIST. DI TARANTO, depositata il

25/10/2012 R.G.N. 287/2010.

R.G. 24431/2013

RILEVATO
1,

Con la sentenza impugnata in questa sede la Corte di

appello di Lecce confermava la dichiarazione della sussistenza di un
rapporto di lavoro a tempo indeterminato tra le Poste e Ciura Cosimo
dal 7.2.2002 già disposta dal Tribunale e, in parziale accoglimento

liquidate,/ ex art. 32 L. n. 183/2001 in 12 mensilità. La Corte
territoriale rilevava, in sintesi, l’illegittimità della clausola di
apposizione del termine al detto contratto stipulato con l’appellata in
quanto il contratto del 7.2.2002 aveva richiamato una serie di Accordi
di riorganizzazione aziendale ma da parte delle Poste non era stata
offerta la prova che l’assunzione della lavoratrice fosse avvenuta in
relazione ai detti processi riorganizzativi. Non vi era stata alcuna
allegazione in ordine al fatto che le esigenze formulate negli accordi
avessero interessato anche l’Ufficio ove il lavoratore aveva operato,
un nesso concreto e verificabile tra la concreta assunzione e le
complesse vicende riorganizzative delle Poste.
2. Per la cassazione di tale decisione propone ricorso la società
Poste Italiane con due motivi; resiste la parte intimata con
controricorso.
CONSIDERATO
1.

che con il primo motivo si allega la violazione o falsa

applicazione dell’art. 11 D. Igs. n. 36872001 in relazione all’art. 23 L.
n. 56/87, all’art. 25 del CCNL Poste e degli accordi collettivi
menzionati nel contratto. Le esioenze indicate nei contratto dovevano
essere ricavate dai vari accordi menzionati dal contratto.
2. che il motivo appare infondato. Va premesso che il contratto è
stato stipulato “ai sensi della vigente normativa, per esigenze
tecniche, organizzative produttive anche di carattere straordinario
conseguenti a processo di riorganizzazione, ivi ricomprendendo un più
funzionale riposizionamento di risorse sul territorio, anche derivanti

dell’appello delle Poste, condannava le Poste a versare le,

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da innovazioni tecnologiche, ovvero conseguenti all’introduzione di
nuove tecnologie, prodotti o servizi nonché all’attuazione delle
previsioni di cui agli accordi del 17, 18 e 23 ottobre, 11.12 2001 e 11
gennaio 2002, 13 febbraio e 17 aprile 2002”. Ora la giurisprudenza di
questa Corte ha ritenuto necessario in fattispecie del tutto analoghe

complessa enunciazione delle ragioni adottate a legittimazione
dell’apposizione del termine – l’esame del giudice di merito deve
estendersi a tutti gli elementi di specificazione emergenti dal
contratto allo scopo di acclararne l’effettiva sussistenza, ivi
ricomprendendo l’analisi degli accordi collettivi indicati al contratto (v.
Cass. 2279/ 2010; Cass. n. 8296/2012). La sentenza impugnata
tuttavia non ha violato tale orientamento del Giudice di legittimità
procedendo ad una valutazione di merito di detti Accordi ~e4b
~est:W:~ delle prove e delle allegazioni offerte dalle Poste
circa il fatto che effettivamente l’assunzione dell’intimata fosse
avvenuta per sopperire alle esigenze di ordine produttivo e
organizzativo indicate negli Accordi. La Corte di appello ha verificato
nel merito che tali Accordi e le prove offerte dalle Poste non
comprovano il nesso tra le esigenze degli accordi, l’assunzione della
lavoratrice e l’attività svolta da quest’ultima nell’Ufficio ove ha
operato.
3. Che con il secondo motivo si allega la violazione e/o falsa
applicazione dell’art. 8 nonché dell’art. 32 co. 6 e 7 L. n. 183/2010.
La Corte di appello non aveva adeguatamente motivato circa la
misura dell’indennità riconosciuta chiaramente eccessiva e non aveva
esercitato i poteri ufficiosi istruttori per verificare la sottoscrizione di
Accordi per la stabilizzazione dei lavoratori precari.
Il motivo è infondato: la liquidazione dell’indennità di cui all’art.
32 spetta al Giudice di merito che nel motivare la determinazione
della sua entità ha chiaramente fatto riferimento ad alcuni dei
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in cui è applicabile il decreto n. 368/2011 che – di fronte ad una

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parametri indicati dalla legge. Circa il mancato esercizio dei poteri
ufficiosi indicati allo stesso art. 32 è pacifico in giurisprudenza che
non ci si può lamentare dell’esercizio dei poteri di cui dispone ex art.
421 cod. civ. proc. il Giudice del lavoro se non si è preventivamente
chiesta l’attivazione. La Corte di appello comunque ha osservato che

associazioni sindacali nazionali, che dallo stesso motivo
sembrerebbero intervenuti solo dopo la data della sentenza di
appello. Infine il motivo non è autosufficiente perché tali ultimi
accordi non sono neppure riprodotti nelle loro clausole pertinenti
sicché non possono neppure essere vagliati nella loro rilevanza.
Si deve quindi rigettare il proposto ricorso. Le spese di lite del
giudizio di legittimità – liquidate come al dispositivo- seguono la
soccombenza.

PQM
Rigetta il ricorso. Condanna parte ricorrente al pagamento delle
spese del giudizio di legittimità che si liquidano in euro 200,00 per
esborsi, nonché in euro 4.000,00 per compensi oltre spese generali al
15% ed accessori come per legge, da distrarsi in favore dell’Avv.to
Angela Maria Semeraro, antistataria.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, del DPR n. 115/02, nel
testo risultante dalla legge 24.12.2012 n. 228, la Corte dà atto della
sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente,
dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello
dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.

Così deciso in Roma il 28.9.2017

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mancava la firma di accordi sulla stabilizzazione da parte di

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