Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19179 del 19/08/2013


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Civile Sent. Sez. L Num. 19179 Anno 2013
Presidente: COLETTI DE CESARE GABRIELLA
Relatore: BRONZINI GIUSEPPE

SENTENZA

sul ricorso 7117-2011 proposto da:
AEM TORINO DISTRIBUZIONE S.P.A. 08475780014, nonche’
IRIDE S.P.A. (ora IREN S.P.A.), in persona dei legali
rappresentanti pro tempore, elettivamente domiciliate
in ROMA, VIA DI RIPETTA 22, presso lo studio
dell’avvocato VESCI GERARDO, che le rappresenta e
2013
1343

difende unitamente agli avvocati AGOSTINO PACCHIANA
PARRAVICINI e PONZONE RUGGERO per la AEM TORINO
S.P.A., unitamente agli avvocati MARCO GUASCO, BONINI
ATTILIO e ZAMBONFABIOLA per la IRIDE S.P.A., giusta

P

deleghe in atti;

Data pubblicazione: 19/08/2013

-

– ricorrenti contro

I.N.P.S.

ISTITUTO NAZIONALE

DELLA

PREVIDENZA

SOCIALE, in persona del suo Presidente e legale

mandatario

della

S.C.C.I.

in proprio e quale
S.P.A.

Società

di

Cartolarizzazione dei Crediti I.N.P.S., elettivamente
domiciliati in ROMA, VIA DELLA FREZZA 17, presso
l’Avvocatura Centrale dell’Istituto, rappresentati e
difesi dagli avvocati SGROI ANTONINO, D’ALOISIO CARLA,
CALIULO LUIGI, MARITATO LELIO, giusta delega in atti;
– con troricorrenti nonchè contro

EQUITALIA NOMOS S.P.A.;
– intimata –

avverso la sentenza n. 701/2010 della CORTE D’APPELLO
di TORINO, depositata il 13/0.9/2010 R.G.N. 171/2010;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 15/04/2013 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE
BRONZINI;
udito l’Avvocato VESCI GERARDO;
udito l’Avvocato D’ALOISIO CARLA;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore
Generale Dott. GIANFRANCO SERVELLO, che ha concluso
per il rigetto dell’istanza di riunione delle cause
pendenti, nel merito rigetto.

rappresentante pro tempore,

1.- Con ricorso al Giudice del lavoro di Torino AEM Torino
Distribuzione e Iride s.p.a. ad adiuvandum proponevano opposizione
avverso cartella esattoriale ad essa notificata da Equitalia Nomos s.p.a.,
con la quale era stato ingiunto il pagamento della somma ivi indicata
per omesso versamento all’Istituto Nazionale della Previdenza Sociale
(INPS), nel periodo indicato in cartella novembre 2006 – agosto 2007,
dei contributi per cassa integrazione straordinaria e ordinaria, mobilità
e disoccupazione dovuti per i propri dipendenti, oltre le relative
somme aggiuntive e gli interessi di mora. Sosteneva l’opponente che la
sua ragione societaria privata era trasposizione solo formale delle
originarie aziende municipali di erogazione di pubblici servizi e che
essa conservava la sua originaria natura di azienda pubblica e rimaneva
soggetta alla normativa pubblicistica. Con sentenza del 27.5.09 il
Tribunale di Torino accoglieva l’opposizione proposta ed annullava la
cartella.
2.- Proposto appello dall’INPS, la Corte d’appello di Torino con
sentenza 15.07.10 accoglieva l’impugnazione e rigettava l’opposizione.
Ritiene la Corte d’appello che la società opponente AEM Torino
Distribuzione non gode dell’esenzione contributiva riservata dalla
legge alle imprese pubbliche, essendo assoggettata alla comune
disciplina delle società per azioni. Pertanto, essa non rientra fra le
imprese esonerate dall’applicazione della cassa integrazione guadagni
(art. 3 del d.l.C.P.S. 12.08.47 n. 869 ed artt. 2 della L 5.11.68 n. 1115 e
16 della 1. 23.07.91 n. 223) ed è tenuta al pagamento della
contribuzione relativa, nonché della contribuzione conseguente per la
mobilità dei lavoratori rientranti nel campo di applicazione della cassa
integrazione. Iride Servizi per la Corte torinese non rientra neppure
nella categoria delle aziende di pubblici servizi, che, al pari delle
aziende pubbliche, non sono soggette all’assicurazione obbligatoria per
la disoccupazione involontaria (art. 40, n. 2, r.d.l. 4.10.35 n. 1827 ed
art 36 d.P.R. 24.04.57 n. 818), né gode del regime derogatorio previsto
dall’art. 20 del d.l. 25.06.08 n. 112 (conv. dalla 1. 5.08.08 n. 133), che ha
stabilito che l’obbligo assicurativo in questione sia applicato alle dette
aziende solo a decorrere dall’1.01.09.
3.- Avverso questa sentenza con unico atto propongono ricorso
per cassazione l’AEM Torino Distribuzione spa I e l’Iride s.p.a.
Risponde l’INPS con controricorso, in proprio e quale mandatario
della SCCI s.p.a. Non svolge attività difensiN a Equitalia Nomos sp.a.
Le ricorrenti hanno depositato memoria.
Motivi della decisione

Svolgimento del processo

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4.- I motivi di impugnazione delle due società ricorrenti sono i
seguenti.
4.1.- Primo motivo: violazione dell’art. 132 c.p.c. e nullità della
sentenza di appello per erroneità di alcune delle indicazioni riportate
in sentenza.
4.2.- Secondo motivo: quanto alla contribuzione CIGO-CIGS,
violazione di legge e carenza di motivazione, in quanto alla presente
controversia (relativa alla contribuzione dovuta negli anni 2006 e 2007)
trova applicazione l’art. 35 del d.lgs. n. 448 del 2001 e, pertanto, a
differenza che sotto il vigore della legge n. 142 del 1990 (art. 22), gli
enti locali per la gestione di servizi, reti, impianti e beni non hanno più
la facoltà, ma l’obbligo di valersi di “soggetti allo scopo costituiti, nella
forma di società di capitali con la partecipazione maggioritaria degli
enti locali, anche associati” (art. 113 della 1. 142, come modificato
dall’art. 35 del d.lgs. n. 448), di modo la società di capitali partecipata
assume la funzione di ente strumentale dell’ente locale per l’esercizio
dei servizi pubblici. La società ricorrete, dunque, rientrerebbe tra le
imprese escluse dall’applicazione delle norme sull’integrazione dei
guadagni degli operai dell’industria, ai sensi dell’art. 3, c. 1, nel testo
vigente, risultante dalle modifiche apportate dall’art. 1 della 1. 8.08.72 n.
464 e dall’art. 4, c. 1, della 1. 12.07.88 n. 270. Del resto, l’art. 3 del d.lgs.
12.04.06 n. 163 considera impresa pubblica il soggetto economico su cui
un soggetto pubblico può esercitare un’influenza dominante, quale,
nella forma del controllo, consegue alla proprietà della maggioranza della
società e il diritto di nominare più della metà dei componenti del
consiglio di amministrazione.
4.3.- Terzo motivo, quanto alla contribuzione per la mobilità
violazione dell’art. 16, c. 1 e 2, della legge n. 223 del 1991, atteso che
raccoglimento del secondo motivo comporterebbe l’automatico
esonero da tale contribuzione, che è dovuta solo per le aziende tenute
alla contribuzione CIGS-CIGO.
4.4.- Quarto motivo, quanto alla contribuzione per l’indennità di
disoccupazione, violazione di legge e carenza di motivazione, dato che,
per quanto appena detto, alla società Iride Servizi dovrebbe essere
riconosciuta la natura di azienda pubblica o di derivazione di ente
pubblico o di ente strumentale dell’ente locale per l’esercizio dei servizi
pubblici e, quindi, dovrebbe riconoscersi natura tale da escluderla dalla
soggezione all’assicurazione obbligatoria per la disoccupazione
involontaria, ai sensi dell’art, 40, c. 2, del r.d.l. n. 1827 del 1936, che
esonera dall’assicurazione le aziende pubbliche e, specificamente, le
aziende pubbliche e quelle private che esercitano pubblici servizi. Per
queste aziende l’obbligo della contribuzione per la disoccupazione è
vigente solo dal 2.01.09, a seguito del d.l. 112 del 2008 (conv. dalla

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legge n. 133 del 2008), che ha abrogato l’art. 40 suddetto ed ha esteso
alle “imprese dello Stato, degli enti pubblici e degli locali privatizzate
ed a capitale misto …” detto obbligo contributivo (art. 20).
Per il periodo antecedente al 2.01.09, parte ricorrente pone in
rilievo che per AEM Torino spa con d.m. 25338 del 1998 era stata
riconosciuta la stabilità di impiego ai sensi dell’art 40, n. 2, del r.d.l. n.
1827 del 1935, che è da ritenere trasmessa ex art. 2112 c.c. alla società
avente causa.
4.5.- Quinto motivo, violazione di legge in quanto la sentenza
impugnata afferma l’obbligo della società ricorrente di versare i
contributi CIGO-CIGS nonostante la’società sua dante causa, ne fosse
stata esonerata dall’INPS.
5.- Circa il primo motivo esso appare infondato. Anche
ammesso che siano vere le imprecisioni riportate al motivo ( in ogni
caso non viene dimostrata la nullità della sentenza e la violazione
dell’art. 132 c.p.c. in quanto la Corte territoriale ha perfettamente
centrato i temi della decisione ed adottato una motivazione congrua e
logicamente coerente, come si evince anche dai puntuali riferimenti di
cui ai successivi motivi di gravame.
6.- Sul piano legislativo deve premettersi che l’art. 22 della 1.
8.06.90 n. 142, recante l’ordinamento delle autonomie locali, prevedeva
che comuni e provincie, nell’ambito delle rispettive competenze,
provvedessero alla gestione dei servizi pubblici aventi ad oggetto la
realizzazione di fini sociali e la promozione dello sviluppo economico
e civile delle comunità locali (c. 1), mediante varie forme giuridiche (in
economia, in concessione a terzi, a mezzo di azienda speciale, di
istituzione o di società per azioni a prevalente capitale pubblico, c. 3).
Il d.lgs. 18.08.00 n. 267 (emanato in forza della delega conferita
dall’art. 31 della 1. 3.08.99 n. 265), recante il testo unico delle leggi
sull’ordinamento degli enti locali, nella sua originaria formulazione,
ribadì che questi ultimi avrebbero dovuto provvedere alla gestione dei
servizi pubblici di interesse delle comunità locali nelle stesse forme già
individuate dall’art. 22 della legge n. 142 (artt. 112-113). A breve
distanza di tempo, tuttavia, l’impostazione del d.lgs. n. 267 del 2000 fu
rivista dall’art. 35 della 1. 28.12.01 n. 448 nell’ambito del patto di
stabilità interno per gli enti pubblici (previsto dal capo terzo del titolo
terzo della legge).
7.- Tale art. 35 modificò detto art. 113 ed introdusse l’art. 113
bis, distinguendo la gestione delle reti ed erogazione dei servizi pubblici locali di
rilevanza industriale (art. 113) dalla gestione dei servizi pubblici locali privi di
tilevanza industriale (art. 113 bis).
Deve richiamarsi, ai fini della presente controversia, la
formulazione dell’art. 113 adottata in tale occasione, la quale, sotto la
rubrica Gestione delle reti ed erogazione dei servizi pubblici locali di rilevanza

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industriale, prevedeva che la gestione delle reti, degli impianti e delle
altre dotazioni patrimoniali degli enti locali, ove separata dall’attività di
erogazione dei servizi, dovesse essere effettuata dagli enti locali, anche
in forma associata, mediante a) “soggetti allo scopo costituiti, nella
forma di società di capitali con la partecipazione maggioritaria degli
enti locali, anche associati, cui può essere affidata direttamente tale
attività”, b) “imprese idonee, da individuare mediante procedure ad
evidenza pubblica …” (c. 4). Lo stesso art. 113 prevedeva, inoltre, che
l’erogazione del servizio, dovesse avvenire in regime di concorrenza,
secondo le apposite discipline di settore “con conferimento della
titolarità del servizio a società di capitali individuate attraverso
l’espletamento di gare con procedure ad evidenza pubblica” (c. 5). In
particolare, era previsto il divieto di “ogni forma di differenziazione nel
trattamento dei gestori di pubblico servizio in ordine al regime
tributario, nonché alla concessione da chiunque dovuta di
contribuzioni o agevolazioni per la gestione del servizio” (c. 10).
8.- La Corte d’appello ha accertato che le società odierne
ricorrenti sono derivate dall’Azienda Energetica Municipalizzata
(AEM) del Comune di Torino, la quale, ai sensi dell’art. 22 della 1.
8.06.90 n. 142 (ordinamento delle autonomia locali), si trasformò in
AEM Torino s.p.a., a capitale dapprima interamente pubblico e in
seguito, dopo la quotazione in Borsa, parzialmente privato, pur
restando di proprietà del Comune di Torino la maggioranza assoluta
delle azioni. A decorrere dal 31.10.06 AEM Torino s.p.a. incorporò
AMGA (Azienda Municipalizzata Gas e Acqua) Genova s.p.a. e si
trasformò in Iride s.p.a., partecipata al 51% da Finanziaria Sviluppo
Utilities s.r.1., le cui quote appartengono per metà ciascuno al Comune
di Torino ed al Comune di Genova. Lo stesso 31.10.06 l’attività
societaria fu disarticolata in quattro società controllate al 100% da Iride
s.p.a., alle quali, per trasferimento di ramo di azienda, furono trasferiti
gli specifici settori di attività delle due originarie aziende
municipalizzate; una di queste società è Iride Energia s.p.a cui è
passato il personale AEM addetto alla produzione e vendita di energia
elettrica e calore. . Alla luce di questo complesso iter societario la Corte
di merito ha inquadrato Iride Energia tra le società che alla luce della
suddetta normazione costituiscono strumento degli enti locali per la
gestione dei servizi. La stessa parte ricorrente ammette a pag. 35 del
ricorso che Iride energia e Aem Torino Distribuzione hanno la
medesima struttura, finalizzazione d’attività e regime di gestione e
controllo evidenziati nelle sentenze di merito per cui l’eventuale
confusione tra la genesi di iride Energia e quella della Aem appare
irrilevante posto che la questione della loro configurazione come
impresa pubblica o meno rimane la medesima per quanto ammesso
anche dalla stessa parte ricorrente.

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8.- Con i motivi secondo, terzo e quarto le parti ricorrenti
affermano che in ragione di tale inquadramento la Società AEM
Torino distribuzione avrebbe natura di impresa pubblica, dato che la
formula della società partecipata imposta dall’art. 113 del d.lgs. n. 267
del 2000 (nel testo introdotto dall’art. 35 della 1. 28.12.01 n. 448)
consente al soggetto pubblico di esercitare, direttamente o
indirettamente, un’influenza dominante in ragione della maggioritaria
partecipazione azionaria. Iride Servizi rientrerebbe, dunque, tra le
imprese escluse dall’applicazione delle norme sull’integrazione dei
guadagni degli operai dell’industria, ai sensi dell’art. 3, c. 1, del
d.l.C.P.S. 12.08.47 n. 869 nel testo vigente (risultante dalle modifiche
apportate dall’art. 1 della 1. 8.08.72 n. 464 e dall’art. 4, c. 1, della 1.
12.07.88 n. 270) e di conseguenza tra quelle escluse dal pagamento
dell’indennità di mobilità ai sensi dell’art. 16, c. 1, della 1. 23.07.91 n.
223. Parimenti, in ragione di detto inquadramento, essa non sarebbe
tenuta ai contributi per l’assicurazione per la disoccupazione
involontaria, in quanto i suoi dipendenti non sarebbero soggetti a tale
forma di assicurazione obbligatoria in forza dell’art. 40 del r.d.l. 4.10.35
n. 1827, che esclude da detta assicurazione “gli impiegati, agenti e
operai stabili di aziende pubbliche, nonché gli impiegati, agenti e operai
delle aziende esercenti pubblici servizi e di quelle private, quando ad
essi sia garantita la stabilità d’impiego” (n. 2).
La giurisprudenza della Corte di cassazione ha già preso in
considerazione tali obiezioni rilevando che nella specie non può
identificarsi la società partecipata con “le imprese industriali degli enti
pubblici” esonerate, trattandosi di società di natura essenzialmente
privata nella quale l’amministrazione pubblica esercita il controllo
esclusivamente attraverso gli strumenti di diritto privato; dovendosi
altresì escludere, in mancanza di una disciplina derogatoria rispetto a
quella propria dello schema societario, che la mera partecipazione —
pur maggioritaria, ma non totalitaria — da parte dell’ente pubblico sia
idonea a determinare la natura dell’organismo attraverso cui la gestione
del servizio pubblico viene attuata (Cass. 24.06.09 n. 14847, 10.03.10 n.
5816 e, da ultimo, 13.05.13 n. 11417).
Tale principio è posto in discussione dalle odierne ricorrenti in
quanto, a loro avviso basato su un presupposto legislativo non più
attuale, quale il riferimento alla norma dell’art. 23 della legge n. 142 del
1990 che non comprende l’ente societario tra quelli che sono qualificati
strumentali degli enti locali. La norma applicabile ratione temporis alla
fattispecie (che riguarda contributi relativi agli anni 2006 e 2007),
infatti, prevederebbe ormai l’obbligatorietà del ricorso all’ente
societario (art. 113, c. 4, del t.u. n. 267 del 2000, come modificato
dall’art. 35 della 1. 28.12.01 n. 448) e prescinderebbe da ogni più o
meno dichiarato carattere di strumentalità.

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L’obiezione è infondata. Innanzitutto, anche dopo la modifica di
detto art. 113 ad opera dell’art. 35 della legge 448, il successivo art. 114,
non toccato dalla modifica, continua a non prevedere l’ente societario
tra quelli strumentali dell’ente locale. Inoltre, il ricorso alla forma
societaria è considerato dal nuovo testo dell’art. 113 frutto di una vera
e propria scelta economica imposta all’ente locale, atteso che detta
forma societaria è consentita solo nel caso esista separazione
dell’erogazione dalla gestione del servizio e solo per la gestione delle
reti, degli impianti e delle altre dotazioni patrimoniali. Si tratta, in altre
parole di una vera e propria opzione di carattere gestionale, in
relazione alla onerosità dell’attività, tanto è vero che gli enti in questa
ipotesi sono posti dinanzi all’alternativa di avvalersi o di soggetti
economici costituiti in forma societaria partecipata dagli enti
interessati, oppure di idonee imprese da scegliere attraverso pubblica
gara (c. 4). Dunque, la forma societaria di diritto privato è per l’ente
locale una modalità di gestione degli impianti consentita dalla legge e
prescelta dall’ente stesso per la duttilità dello strumento giuridico, in
cui il perseguimento dell’obiettivo pubblico è caratterizzato
dall’accettazione delle regole del diritto privato.
Le disposizioni impugnate definiscono il proprio ambito di
applicazione non secondo il titolo giuridico in base al quale le società
operano, ma in relazione all’oggetto sociale di queste ultime. Tali
disposizioni sono fondate sulla distinzione tra attività amministrativa in
forma privatistica e attività d’impresa di enti pubblici. L’una e l’altra
possono essere svolte attraverso società di capitali, ma le condizioni di
svolgimento sono diverse. Nel primo caso vi è attività amministrativa,
di natura finale o strumentale, posta in essere da società di capitali che
operano per conto di una pubblica amministrazione. Nel secondo
caso, vi è erogazione di servizi rivolta al pubblico (consumatoti o
utenti), in regime di concorrenza.
Questi concetti sono ben presenti nella giurisprudenza
costituzionale la quale, soprattutto al fine di individuare il corretto
discrimine tra la legislazione regionale e quella statuale, considera la
legislazione ora in esame quale frutto di disposizioni che mirano a
separare la sfera di attività amministrativa da quella privata per evitare
che un soggetto, che svolge attività amministrativa, eserciti allo stesso
tempo attività d’impresa, beneficiando dei privilegi dei quali esso può
godere in quanto pubblica amministrazione. Non è, dunque, negata né
limitata la libertà di iniziativa economica degli enti territoriali, ma è
imposto loro di esercitarla distintamente dalle proprie funzioni
amministrative, rimediando a una frequente commistione, che il
legislatore statale ha reputato distorsiva della concorrenza (Corte cost.
1.08.08 n. 326).

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9.- Nulla aggiunge a questa impostazione il richiamo effettuato
dalle società ricorrenti alla definizione di impresa pubblica accolta dal
d.lgs. 12.04.06 n. 163, recante il codice dei contratti pubblici relativi a
lavori, servizi e forniture (attuativo delle direttive 2004/17/CE e
2004/18/CE) per il quale “imprese pubbliche sono le imprese su cui le
amministrazioni aggiudicatrici possono esercitare, direttamente o
indirettamente, un’influenza dominante o perchè ne sono proprietarie,
o perchè vi hanno una partecipazione finanziaria, o in virtù delle
norme che disciplinano dette imprese”, e “l’influenza dominante è
presunta quando le amministrazioni aggiudicatrici, direttamente o
indirettamente,
riguardo
all’impresa,
alternativamente
o
cumulativamente: a) detengono la maggioranza del capitale
sottoscritto; b) controllano la maggioranza dei voti cui danno diritto le
azioni emesse dall’impresa; c) hanno il diritto di nominare più della
metà dei membri del consiglio di amministrazione, di direzione o di
vigilanza dell’impresa” (art. 3, c. 28). Il d.lgs. n. 103 del 2006, infatti,
non è la fonte dello statuto dell’impresa pubblica, ma è una
disposizione che, in attuazione del dettato comunitario, enuclea una
nozione convenzionale da adottare nel suo campo di azione, che è
quello della disciplina dei contratti delle stazioni appaltanti, degli enti
aggiudicatori e dei soggetti aggiudicatori, aventi per oggetto
l’acquisizione di servizi, prodotti, lavori ed opere (art. 1, c. 1). In
questo campo l’attività di impresa è comunque considerata una
proiezione delle potestà dei soggetti pubblici (territoriali e non), atteso
che, ove consentito, la scelta di un eventuale socio privato è sottoposta
all’espletamento di procedure di evidenza pubblica (art. 1, c. 2).
10.- Nessun significato interpretativo può, infine, attribuirsi al
d.l. 25.06.08 n. 112, conv. dalla 1. 6.08.08 n. 133, recante disposizioni
urgenti per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività,
la stabilizzazione della finanza pubblica e la perequazione tributaria, il
quale ha previsto, solo con decorrenza 1.01.09 l’obbligo del
versamento dei contributi per malattia e maternità nei confronti delle
“imprese dello Stato, degli enti pubblici e degli enti locali, privatizzate
ed a capitale misto” (art. 20, c. 2). Infatti, la contribuzione disciplinata
da tale norma è diversa da quella inerente i titoli vantati dall’INPS nella
presente controversia e non implica una “razionalizzazione” dell’intera
materia dell’obbligazione contributiva delle imprese pubbliche,
privatizzate e a capitale misto, ovvero una assimilazione di tali imprese
a qualunque fine previdenziale o assistenziale, dato che, piuttosto, la
omogeneità è solo nel senso della estensione dell’obbligo contributivo
per la malattia a tutte le imprese, comprese quelle privatizzate e a
capitale misto (v. la già citata sentenza Cass. n. 5816 del 2010).
Una volta escluse le società per azioni a partecipazione pubblica
dal concetto lato di “imprese pubbliche”, ai fini della presente

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controversia, diviene ovviamente irrilevante che l’art. 20, c. 4, dello
stesso d.l. n. 112 del 2008 abbia abrogato la disposizione dell’art. 40, n.
2, del r.d.l. 4.10.35 n. 1827 (che esclude dall’assicurazione obbligatoria
per la disoccupazione involontaria i dipendenti delle aziende pubbliche
e delle aziende esercenti pubblici servizi, v. n. 9) ed abbia esteso il
detto obbligo assicurativo “solo dal primo periodo di paga decorrente
dal 1° gennaio 2009”.
11.- Giova pure richiamare il principio enunziato dalle Sezioni
unite con la sentenza 19.12.09 n. 26806 che – nello statuire che spetta
al giudice ordinario la giurisdizione in ordine all’azione di risarcimento
dei danni subiti da una società a partecipazione pubblica per effetto di
condotte illecite degli amministratori o dei dipendenti – ha affermato
che non è configurabile, avuto riguardo all’autonoma personalità
giuridica della società, né un rapporto di servizio tra l’agente e l’ente
pubblico titolare della partecipazione, né un danno direttamente
arrecato allo Stato o ad altro ente pubblico, idonei a radicare la
giurisdizione della Corte dei conti. Tale principio è stato adottato da
tutta la giurisprudenza successiva delle Sezioni Unite anche in relazione
a società per azioni a partecipazione pubblica maggioritaria o
totalitaria, anche se sottoposte a penetranti poteri di controllo dell’ente
pubblico ed anche se la s.p.a. gestisce un servizio pubblico essenziale
(S.u. 7.07.11 n. 14957; S.u. 12.10.11 n. 20940; 5.07.11 n. 14655).
In questa sede deve essere rimarcato che a dette conclusioni le
Sezioni Unite sull’onda della già menzionata sentenza n. 26806 del
2009 sono pervenute proprio sulla base del rilievo — che questo
Collegio ha più sopra già affermato — che le disposizioni del codice
civile sulle società per azioni a partecipazione pubblica non valgono a
configurare uno statuto speciale delle stesse e che la scelta della
Pubblica Amministrazione di acquisire partecipazioni in società private
implica l’assoggettamento alle regole proprie della forma giuridica
prescelta.
12.- Con un’ultima argomentazione a cavallo del quarto e quinto
motivo, le ricorrenti intendono far derivare l’esonero dalla richiesta
contribuzione da alcuni provvedimenti emessi dall’Autorità
amministrativa (d.m. 25338 del 12.11.98 e ulteriori provvedimenti
dell’INPS) ai sensi dell’art. 36 del d.P.R. 26.04.57 n. 818 (peraltro
abrogato in parte qua dal menzionato art. 20 del d.l. n. 112 del 2008),
per l’applicazione del più volte richiamato art. 40, e. 2, del r.d.1.4.10.35
n. 1827, che escludeva l’assoggettamento dei dipendenti delle aziende
pubbliche e di quelle esercenti pubblici servizi “quando ad essi sia
garantita la stabilità dell’impiego”. Detti provvedimenti, con cui era
accertata la stabilità di impiego del personale dipendente della Azienda
energetica metropolitana (AEM) di Torino, dante causa remota di Iride
Servizi costituirebbero titolo per l’esonero contributivo, in quanto

Per questi motivi
La Corte rigetta il ricorso e compensa le spese del giudizio di
legittimità tra le parti costituite.
Così deciso in Roma il 15 aprile 2013
T
/ 1 1i Presidente
Il Consigliere estensore

contenuti nel patrimonio dell’impresa originaria, trasmesso ex art. 2112
c.c. all’avente causa.
Questa richiesta è frutto di una non corretta lettura dell’art. 2112
c.c. Questa norma, infatti, persegue lo scopo di garantire ai lavoratori
la conservazione dei diritti in caso di mutamento dell’imprenditore,
assicurando la continuità del rapporto di lavoro nei confronti
dell’azienda, o alla parte di essa, trasferita ed esistente al momento del
trasferimento (v. per tutte Cass. 17.03.09 n. 4452). E’ estranea, invece,
alla tutela da essa offerta la garanzia di continuità delle prerogative
della struttura aziendale riconosciute alla parte imprenditoriale
dall’autorità amministrativa, atteso che dette prerogative sono
condizionate alla permanenza dei requisiti richiesti dalla legge per il
loro riconoscimento. Nel caso di specie detti provvedimenti di
accertamento erano legati alla condizione dell’Azienda esaminata —
chiamata ad accertare “la sussistenza della stabilità d’impiego, … in
sede amministrativa su domanda del datore di lavoro” — in relazione
alla soggettività specifica del datore di lavoro, come esistente al
momento dell’accertamento, ed alle condizioni ivi verificate, con
impossibilità di trasferire detti provvedimenti in capo ad altri soggetti
economici.
Per tali ragioni anche l’ultima frazione del quarto motivo ed il
quinto sono anch’essi infondati.
13.- In conclusione il ricorso deve essere rigettato.
In ragione della successione di leggi intervenuta nella fattispecie
e delle conseguenti incertezze di coordinamento, il Collegio ritiene
opportuno procedere alla compensazione delle spese del giudizio di
legittimità tra le parti costituite, nulla statuendo invece nei confronti di
Equitalia Nomos spa, che non ha svolto attività difensiva.

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