Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19178 del 15/09/2020

Cassazione civile sez. II, 15/09/2020, (ud. 21/01/2020, dep. 15/09/2020), n.19178

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – Presidente –

Dott. GORJAN Sergio – Consigliere –

Dott. FALASCHI Milena – rel. Consigliere –

Dott. GIANNACCARI Rossana – Consigliere –

Dott. BESSO MARCHEIS Chiara – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 20137/2019 proposto da:

C.K., domiciliato in ROMA, Piazza Cavour n. 1, presso la

cancelleria della Corte di Cassazione, rappresentato e difeso

dall’avvocato Leonardo Bardi, del foro di Milano;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del Ministro pro tempore,

rappresentato e difeso ex lege dall’Avvocatura Generale dello Stato

e domiciliato sempre ex lege in Roma, via dei Portoghesi n. 12;

– intimato –

avverso la sentenza n. 858/2019 della CORTE D’APPELLO di BARI,

depositata il 09/04/2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

21/01/2020 dal Consigliere Dott.ssa Milena FALASCHI.

 

Fatto

OSSERVA IN FATTO E IN DIRITTO

Ritenuto che:

– avverso il provvedimento della Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale di Foggia che rigettava la domanda del ricorrente, volta al riconoscimento della protezione c.d. sussidiaria o in subordine di quella umanitaria, C.K. interponeva opposizione, che veniva respinta dal Tribunale di Bari con ordinanza del 4 settembre 2017;

– in virtù di appello proposto dal medesimo C., la Corte di appello di Bari, con sentenza n. 858/2019, rigettava l’impugnazione con revoca del provvedimento di ammissione del richiedente al patrocinio a spese dello Stato;

– la decisione di secondo grado evidenziava l’insussistenza dei requisiti previsti dalla normativa, tanto per il riconoscimento dello status di rifugiato quanto per la protezione sussidiaria e umanitaria, evidenziando, in primo luogo, una valutazione di non credibilità del racconto del ricorrente reso alla Commissione territoriale, considerata la contraddittorietà della vicenda narrata circa la morte del padre per ebola a seguito del contagio contratto dal vicino di casa, riferendo nella prima versione che l’accompagnamento del vicino in ospedale sarebbe stato fatto dal padre con il suo taxi, mentre successivamente ha dichiarato di averlo portato lui; inoltre l’intervento degli ispettori sanitari che lo avrebbero voluto ricoverare, in data 29.09.2014, per accertamenti sarebbe stato effettuato ad oltre otto mesi del predetto decesso, avvenuto il 02.11.2013, ragione per la quale aveva deciso di trasferirsi a (OMISSIS) da (OMISSIS). Aggiungeva che i timori espressi dall’appellante di contrarre il virus ebola erano infondati viste le informazioni di fonte pubbliche che dal 01.06.2016 avevano annunciato la fine dell’emergenza sanitaria sorta nel 2014 in Guinea. Siffatte circostanze non consentivano il riconoscimento dello status di rifugiato in capo all’appellante, al parti della protezione sussidiaria. Del pari veniva negata la ricorrenza dei presupposti per la concessione del permesso di soggiorno per motivi umanitari, giacchè dall’ultima certificazione medica infettivologica, rilasciata il 24.01.2018, evidenziava, quanto all’epatite b contratta dal paziente, che non necessitava di alcuna terapia medica, ragione per la quale non si trattava più di soggetto vulnerabile. Nè le ragioni ostative al rimpatrio potevano essere superate dall’attestato di frequenza di un corso di integrazione, svolto nel 2016-2017, ovvero la documentazione comprovante lo svolgimento di attività lavorativa dipendente a termine dal 04.01.2018 al 03.01.2019;

– propone ricorso per la cassazione avverso tale decisione il C. affidato a tre motivi;

– il Ministero dell’Interno intimato ha resistito con controricorso.

Atteso che:

– con il primo e con il secondo motivo – proposti già come connessi dallo stesso ricorrente – è lamentata la violazione o la falsa applicazione dell’art. 132 c.p.c., comma 1, n. 3, D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 e D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, in relazione all’art. 10 Cost., oltre ad omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione fra le parti, per non avere la corte distrettuale considerato vulnerabile il C. nonostante egli sia analfabeta e privo di qualsiasi relazione socio-familiare in Guinea, circostanze su cui avrebbe omesso totalmente di pronunciare. Ad avviso del ricorrente in caso di rimpatrio correrebbe il rischio di subire persecuzioni e gravi danni alla propria incolumità personale. Infatti il ricorrente oltre a non disporre in patria di alcun contratto personale in grado di garantirgli un “rientro sicuro” nel proprio paese, la Guinea è comunque a forte rischio Ebola.

Con la terza censura, definita sub B, il ricorrente premesso di essere conscio di non avere diritto al riconoscimento dello status di rifugiato o alla protezione sussidiaria, egli avrebbe però tutti i requisiti per ottenere la protezione umanitaria proprio per l’epidemia di ebola in Guinea. Inoltre assume di avere già da tempo avviato un importante percorso di inserimento formativo e sociale nel contesto ospitante. A tal fine dovrebbe soccorrere il giudizio comparativo tra il contesto di vita in cui lo straniero si trovava in patria prima della partenza e quello in cui verrebbe a trovarsi ove fosse rimandato, considerato che il ricorrente aveva trascorso oltre 4 anni in Senegal prima della sua partenza per l’Italia.

Il ricorso, e con esso le relative censure, non può trovare accoglimento. Premesso che le censure formulate con il primo ed il secondo motivo attengono genericamente all’esclusione del riconoscimento dello status di rifugiato e della protezione sussidiaria, con omessa considerazione della sua personale condizione di vulnerabilità, dovuta all’analfabetismo e all’assenza di legami in patria, la Corte di appello di Bari ha motivatamente escluso la credibilità delle dichiarazioni del ricorrente, sottolineando le lacune ed incongruenze del racconto sul perchè lui fosse fuggito dal suo Paese di origine per la morte del padre a causa dell’ebola e della sua conseguente paura di morire in ragione dello stesso virus, assumendo che tali incongruenze costituivano il riflesso della non veridicità della ricostruzione, rendendo come tale inattendibile la narrazione (pagg. 2 e 3 della sentenza impugnata).

I giudici di secondo grado hanno, quindi, compiuto un accertamento in fatto, non più censurabile in sede di legittimità, in conformità alla giurisprudenza di questa Corte sui limiti del sindacato di legittimità secondo cui “La valutazione in ordine alla credibilità del racconto del cittadino straniero costituisce un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito, il quale deve valutare se le dichiarazioni del ricorrente siano coerenti e plausibili, del D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 3, comma 5, lett. c). Tale apprezzamento di fatto è censurabile in cassazione solo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, come mancanza assoluta della motivazione, come motivazione apparente, come motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile, dovendosi escludere la rilevanza della mera insufficienza di motivazione e l’ammissibilità della prospettazione di una diversa lettura ed interpretazione delle dichiarazioni rilasciate dal richiedente, trattandosi di censura attinente al merito” (Cass. 5 febbraio 2019 n. 3340).

Il richiedente, inoltre, non coglie l’autonoma ratio decidendi posta a fondamento del rigetto della domanda di protezione sussidiaria del D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, costituita dalla scarsa verosimiglianza del racconto, ostativa alla configurabilità di una minaccia individuale alla vita o alla persona in relazione alla vicenda prospettata dal richiedente.

Questa Corte ha affermato, anche di recente, che, ai fini del riconoscimento della protezione sussidiaria del D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, la nozione di violenza indiscriminata in situazione di conflitto armato, interno o internazionale, deve essere interpretata nel senso che il conflitto armato interno rileva solo se, eccezionalmente, possa ritenersi che gli scontri tra le forze governative di uno Stato o uno o più gruppi armati, o tra due o più gruppi armati, siano all’origine di una minaccia grave ed individuale alla vita o alla persona del richiedente la protezione sussidiaria (Cass. 2 ottobre 2019 n. 24647).

Alla luce degli enunciati principi, le censure del ricorrente – cui lui stesso sembra non sostenere più di tanto allorchè illustra il motivo sub B) – si risolvono in una generica critica del ragionamento logico posto dal giudice di merito a base dell’interpretazione degli elementi probatori del processo e, in sostanza, nella richiesta di una diversa valutazione degli stessi, ipotesi integrante un vizio motivazionale non più proponibile in seguito alla modifica dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, apportata dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, convertito con modificazioni dalla L. 7 agosto 2012, n. 134, che richiede che il giudice di merito abbia esaminato la questione oggetto di doglianza, ma abbia totalmente pretermesso uno specifico fatto storico, e si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa e obiettivamente incomprensibile”, mentre resta irrilevante il semplice difetto di “sufficienza” della motivazione (Cass. 13 agosto 2018 n. 20721).

Con riguardo all’omessa considerazione della condizione di vulnerabilità personale dovuta all’analfabetismo e all’assenza di legami affettivi nel Paese di provenienza, si tratta all’evidenza di circostanze irrilevanti trattandosi di elementi di giudizio neutri, in quanto qualità della persona che non caratterizzano le condizioni indicate dal ricorrente, facendo propendere per la permanenza in Italia ovvero il rimpatrio in Guinea.

Quanto alla protezione umanitaria – realmente invocata dal ricorrente – diversamente da quanto asserito dal C., la Corte di merito ha effettuato un accertamento circa la non virulenza dell’epidemia dell’ebola in Guinea acquisendo informazioni da fonte pubblica (OMS del 1 giugno 2016).

A fronte di tale accertamento di merito non si ravvisano le generiche omissioni dedotte dal ricorrente, avuto peraltro riguardo al ribadito principio secondo cui il mancato esame di un elemento di giudizio può essere denunciato per cassazione solo nel caso in cui esso offra la prova di circostanze di tale portata da invalidare, con un giudizio di certezza e non di mera probabilità, l’efficacia delle altre risultanze istruttorie che hanno determinato il convincimento del giudice di merito, di modo che la ratio decidendi venga a trovarsi priva di fondamento. Ne consegue che la denuncia in sede di legittimità deve contenere, a pena di inammissibilità, l’indicazione delle ragioni per le quali siffatta circostanza trascurata avrebbe senza dubbio dato luogo a una decisione diversa (Cass. 28 settembre 2016 n. 19150; Cass. 5 dicembre 2014 n. 25756). Indicazione che nel caso di specie manca, non avendo neanche chiarito la ragione per la quale non avrebbe potuto determinarsi ad una scelta diversa.

Infine, quanto alla doglianza di mancata comparazione tra il contesto di vita in cui lo straniero si trovava in patria prima della partenza e quello in cui verrebbe a trovarsi ove fosse ivi rimandato, osserva il Collegio che questa Corte, dopo avere precisato che “la protezione umanitaria, nel regime vigente “ratione temporis”, tutela situazioni di vulnerabilità – anche con riferimento a motivi di salute – da riferirsi ai presupposti di legge ed in conformità ad idonee allegazioni da parte del richiedente” ha comunque evidenziato che “non è ipotizzabile nè un obbligo dello Stato italiano di garantire allo straniero “parametri di benessere”, nè quello di impedire, in caso di ritorno in patria, il sorgere di situazioni di “estrema difficoltà economica e sociale”, in assenza di qualsivoglia effettiva condizione di vulnerabilità che prescinda dal risvolto prettamente economico” (Cass. 7 febbraio 2019 n. 3681).

Pur vero che il diritto al permesso di soggiorno per motivi umanitari presuppone l’esistenza di situazioni non tipizzate di vulnerabilità dello straniero, risultanti da obblighi internazionali o costituzionali, conseguenti al rischio del richiedente di essere immesso, in esito al rimpatrio, in un contesto sociale, politico ed ambientale idoneo a costituire una significativa ed effettiva compromissione dei suoi diritti fondamentali (Cass. 22 febbraio 2019 n. 5358). La condizione di “vulnerabilità” del richiedente deve essere verificata caso per caso, all’esito di una valutazione individuale della sua vita privata in Italia, comparata con la situazione personale vissuta prima della partenza ed alla quale si troverebbe esposto in caso di rimpatrio (Cass. 15 maggio 2019 n. 13079). Ed è quanto ha fatto la Corte territoriale che ha accertato l’inesistenza anche in Italia di alcuna forma di integrazione del ricorrente, valutazione non superabile dall’attestato di un corso di integrazione, nè dallo svolgimento di attività lavorativa a tempo determinato proprio in prossimità dell’esame della domanda.

In conclusione il ricorso deve essere rigettato.

Le spese di lite, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza. Poichè il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è rigettato, sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilità 2013), che ha aggiunto del di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater – della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per la stessa impugnazione, se dovuto.

PQM

La Corte rigetta il ricorso;

condanna parte ricorrente alla rifusione delle spese di lite in favore dell’Amministrazione pubblica che liquida in complessivi Euro 2.100,00, oltre a spese prenotate e prenotande a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 21 gennaio 2020.

Depositato in Cancelleria il 15 settembre 2020

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