Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19177 del 20/09/2011

Cassazione civile sez. I, 20/09/2011, (ud. 13/07/2011, dep. 20/09/2011), n.19177

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SALME’ Giuseppe – Presidente –

Dott. DI PALMA Salvatore – Consigliere –

Dott. ZANICHELLI Vittorio – Consigliere –

Dott. SCHIRO’ Stefano – Consigliere –

Dott. DIDONE Antonio – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 8945/2010 proposto da:

MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE (OMISSIS), in persona del

Ministro pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI

PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo

rappresenta e difende ope legis;

– ricorrente –

contro

S.A. ((OMISSIS)), F.A., F.C.,

elettivamente domiciliate in ROMA, VIA P. LEONARDI CATTOLICA, 3,

presso lo studio dell’avvocato ALESSANDRO FERRARA, rappresentate e

difese dall’avvocato FERRARA Silvio giusta procura speciale in calce

al controricorso;

– controricorrenti –

avverso il decreto n. 1098/08 della CORTE D’APPELLO di NAPOLI del

28/11/08, depositato il 09/02/2009;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

13/07/2011 dal Consigliere Relatore Dott. ANTONIO DIDONE;

è presente il P.G. in persona del Dott. PIERFELICE PRATIS che ha

chiesto l’accoglimento del ricorso.

Fatto

RITENUTO IN FATTO E IN DIRITTO

1.- Il Ministero dell’Economia e delle Finanze ha proposto ricorso per cassazione – affidato a due motivi – contro il decreto in data 9.2.2009 con il quale la Corte di appello di Napoli ha accolto la domanda di equa riparazione ai sensi della L. n. 89 del 2001, proposta da S.A., F.A. e F.C., nella qualità di eredi di Fe.Ar., deceduto nel (OMISSIS), in relazione alla violazione del termine ragionevole di durata del processo iniziato dal loro dante causa dinanzi al TAR di Napoli nel 1992, ancora pendente al momento della domanda di indennizzo.

Gli intimati resistono con controricorso.

2.1.- Va preliminarmente evidenziata l’infondatezza dell’eccezione di inammissibilità per tardività del ricorso formulata dai resistenti sul presupposto della inapplicabilità della sospensione dei termini nel periodo feriale.

Infatti, la sospensione dei termini processuali nel periodo dal 1 agosto al 15 settembre ha carattere generale e le eccezioni a questa regola, elencate nella L. n. 742 del 1969, art. 3, hanno carattere tassativo, essendo questa una norma eccezionale, di stretta interpretazione e quindi insuscettibile di interpretazione estensiva e tanto meno analogica. Ne consegue che nel procedimento di equa riparazione per la violazione del termine ragionevole del processo, di cui alla L. 24 marzo 2001, n. 89, il termine per proporre ricorso ordinario per cassazione, ai sensi dell’art. 3, comma 6, della citata legge, è soggetto a sospensione, non rientrando tale procedimento tra quelli per i quali non è applicabile la sospensione feriale dei termini, senza che possa desumersi l’operatività della deroga dalla natura del procedimento della cui ragionevole durata si discute (Sez. 1, Sentenza n. 1094/2005).

I quesiti, poi, risultano correttamente formulati.

2.2.- Con il primo motivo di ricorso il Ministero ricorrente denuncia violazione di legge lamentando che la Corte di appello abbia liquidato l’indennizzo – richiesto iure successionis – anche per il periodo successivo al decesso del dante causa degli attori nonostante questi ultimi non avessero riassunto il giudizio.

Con il secondo motivo parte ricorrente denuncia violazione di legge lamentando la liquidazione di indennizzo in misura superiore a quello previsto dalla giurisprudenza della CEDU. 3.1.- Il primo motivo di ricorso è fondato e il suo accoglimento comporta l’assorbimento delle altre censure, posto che occorre procedere a nuova liquidazione dell’indennizzo.

Secondo la giurisprudenza di questa Corte in tema di equa riparazione prevista dalla L. 24 marzo 2001, n. 89, in caso di decesso di una parte, l’erede ha diritto a conseguire, “iure successionis”, l’indennizzo maturato dal “de cuius” per l’eccessiva protrazione di un processo che lo vide parte anche prima dell’entrata in vigore della citata legge nonchè, “iure proprio”, l’indennizzo dovuto in relazione all’ulteriore decorso della medesima procedura, dal momento in cui abbia assunto formalmente la qualità di parte, ovverosia si sia costituito nel giudizio. Ed infatti, anche se la qualificazione ordinamentale negativa del processo, ossia la sua irragionevole durata, è stata già acquisita nel segmento temporale nel quale parte era il “de cuius” e permane anche in relazione alla valutazione della posizione del successore – che subentra, pertanto, in un processo oggettivamente irragionevole -, per la commisurazione dell’indennizzo da riconoscere dovrà prendersi quale parametro di riferimento proprio la costituzione dell’erede in giudizio, posto che il sistema sanzionatorio delineato dalla Convenzione europea e tradotto in norme nazionali dalla L. n. 89 del 2001, non si fonda sull’automatismo di una pena pecuniaria a carico dello Stato, ma sulla somministrazione di sanzioni riparatorie a beneficio di chi dal ritardo abbia subito danni, patrimoniali e non patrimoniali, ed in relazione ad indennizzi modulabili in base al concreto patema subito (Sez. 1, Sentenza n. 2983/2008; Sez. 1, Sentenza n. 23416/2009).

Dai principi innanzi richiamati discende che, in difetto di costituzione degli eredi, la Corte di merito avrebbe dovuto limitare la liquidazione dell’indennizzo al periodo dal 1995 (dopo il decorso, cioè, del termine ragionevole) al 1998, data del decesso dell’attore.

Talchè, cassato il decreto impugnato, la Corte, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, può procedere ai sensi dell’art. 384 c.p.c., alla decisione della causa nel merito, liquidando per il periodo innanzi menzionato la somma di Euro 2.250,00, prò quota, in applicazione dei criteri fissati da Cass. 21840/2009.

Le spese processuali – tenuto conto dell’esito complessivo della lite – possono essere compensate.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso nei termini di cui in motivazione, cassa il decreto impugnato e, decidendo nel merito ai sensi dell’art. 384 c.p.c., condanna l’Amministrazione al pagamento in favore dei resistenti, nella qualità in atti, della somma di Euro 2.250,00, pro quota. Compensa le spese processuali.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 13 luglio 2011.

Depositato in Cancelleria il 20 settembre 2011

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