Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19176 del 17/07/2019

Cassazione civile sez. trib., 17/07/2019, (ud. 28/05/2019, dep. 17/07/2019), n.19176

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BRUSCHETTA Ernestino Luigi – rel. Presidente –

Dott. FASANO Anna Maria – Consigliere –

Dott. TRISCARI Giancarlo – Consigliere –

Dott. MUCCI Roberto – Consigliere –

Dott. GRASSO Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 6418/2013 R.G. proposto da:

SCAD.D S.r.l., elettivamente domiciliata in Roma, Via G. Spuntini n.

11, presso lo Studio dell’Avv. Massimo Clemente, che la rappresenta

e difende, giusta delega in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle Entrate;

– resistente con atto di costituzione –

avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale del Lazio

n. 8/35/12, depositata il 24 gennaio 2012.

Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 28 maggio 2019

dal Cons. Dott. Bruschetta Ernestino Luigi;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

Generale Dott. Sorrentino Federico, che ha concluso per il rigetto

del ricorso.

udito l’Avv. dello Stato Francesca Subrani, per la resistente;

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con l’impugnata sentenza la Regionale del Lazio, in riforma della prima decisione, respingeva il ricorso promosso da SCAD.D S.r.l., esercente l’attività di vendita al dettaglio di numerosi prodotti per la casa su di una superficie di 700 mq., avverso un avviso di accertamento che recuperava a tassazione ricavi non dichiarati ai fini IVA IRPEG IRAP 2002 sulla base di studi di settore.

2. Dopo aver osservato che l’amministrazione non aveva fondato la ripresa sui soli “calcoli” conseguenti l’applicazione degli studi di settore, ma che quest’ultimi erano stati confermati da “una ulteriore ricerca probatoria”; come, ad esempio, la pluriennale antieconomicità della conduzione dell’impresa; antieconomicità che, alla luce del continuo acquisto di merci per ingenti importi, oltrechè alla luce dell’elevato costo dei dipendenti, poteva soltanto spiegarsi in termini di evasione; come, del resto, ulteriormente dimostrato dalla percentuale di ricarico sul venduto, determinata in contraddittorio col personale della contribuente, sulla base della media ponderata a campione di taluni articoli; reputava, la Regionale, di dover disattendere la formale regolarità delle scritture contabili, ritenendo raggiunta la prova presuntiva, richiesta dal D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 39, comma 1, lett. d), in combinato disposto con al D.L. 30 agosto 1993, n. 331, art. 62 sexies, comma 3, conv. con modif. in L. 29 ottobre 1993, n. 427, dell’esistenza di maggiori redditi “in nero”.

3. La contribuente ricorreva per dieci motivi, mentre l’ufficio depositava un atto denominato di costituzione, quest’ultimo al solo dichiarato scopo di poter partecipare alla pubblica discussione.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con i primi quattro motivi, tutti formulati in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per violazione dell’art. 112 c.p.c., la contribuente deduceva, principalmente, di aver eccepito, sotto diversi aspetti, l’inammissibilità, comunque la nullità assoluta, dell’appello proposto dall’ufficio, ma che la Regionale aveva omesso qualsiasi pronuncia a riguardo, incorrendo nel denunciato vizio; in particolare, la contribuente evidenziava di aver eccepito la nullità dell’appello per mancanza di essenziali elementi di forma dello stesso, con particolare riferimento alla sua sottoscrizione; oltrechè la validità della copia dell’originale dell’appello, per prima notificata; e, infine, la tardività dell’originale dell’appello, notificato, fuori termine, il giorno successivo alla copia; la contribuente, nella parte conclusiva di ciascuno dei quattro motivi, deduceva, anche, che il mancato rilievo dei suddetti vizi processuali aveva causato, ex se, la nullità della sentenza sotto “il profilo dell’error in procedendo”;

1.1. Questi primi quattro motivi, quanto alla dedotta violazione dell’art. 112 c.p.c., sono però inammissibili; è sufficiente, difatti, a riguardo, ricordare la giurisprudenza della Corte che, in più occasioni, ha consolidato il principio per cui, la mancata dichiarazione di inammissibilità o nullità assoluta, non si traduce in un vizio di omessa pronuncia, atteso che quest’ultima può avere solo ad oggetto le eccezioni rilevabili dalla parte, bensì in quello di aver violato una regola processuale che il giudice avrebbe dovuto applicare (Cass. sez. I n. 15843 del 2015; Cass. sez. II n. 13221 del 2014).

1.2. Il primo e terzo motivo, con i quali viene rimproverato alla Regionale un error in procedendo consistente nel non aver rilevato la tardività della notifica dell’originale, sono preliminarmente inammissibili per difetto di autosufficienza, violando l’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4; la contribuente, difatti, che ha puntualmente riferito che l’originale era stato notificato a mezzo posta, non ha però precisato la data di consegna del plico, che è quella in cui la notificazione si perfeziona per il notificante, ai sensi del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 16, comma 5, oltrechè dell’art. 149 c.p.c., non consentendo pertanto alla Corte la verifica degli elementi di fatto che costituiscono il presupposto all’eccezione (Cass. sez. III n. 18316 del 2018); del resto, ulteriormente, la contribuente nemmeno ha dedotto effettive difformità tra la copia notificata e l’originale (Cass. sez. trib. n. 6677 del 2017).

1.3. Sono invece infondati il secondo e quarto motivo, con i quali si deduce un ulteriore error in procedendo per non aver la Regionale rilevato la nullità dell’atto d’appello, a causa della assoluta indecifrabilità delle sottoscrizioni dei funzionari dell’amministrazione, non permettendo, per tale ragione, di verificare la legittimità dei poteri dei firmatari; invero, per dimostrare l’infondatezza degli appena esposti rilievi, è sufficiente rammentare il principio, più volte espresso da questa Corte, per cui: “Nel giudizio tributario la qualità di parte processuale, e la relativa capacità di stare in giudizio per l’Amministrazione finanziaria è da riconoscere all’Ufficio locale dell’Agenzia delle entrate, nei cui confronti è proposto il ricorso. Tale ufficio è organicamente rappresentato o dal direttore o da altra persona preposta al reparto competente, da intendersi con ciò stesso delegata, in via generale, a sostituire il direttore nelle specifiche competenze senza necessità di speciale procura. Persino nell’ipotesi in cui l’atto di appello rechi in calce la firma illeggibile di un funzionario che lo sottoscriva in luogo del direttore titolare, l’appello stesso deve considerarsi ammissibile, finchè non sia eccepita e provata la non appartenenza del sottoscrittore all’Ufficio appellante, o l’usurpazione del potere di impugnare la sentenza di primo grado. In mancanza deve presumersi che l’atto provenga dall’Ufficio e ne esprima la volontà di gravare la sentenza emessa in prime cure” (Cass. sez. trib. n. 11994 del 2011; Cass. sez. trib. n. 874 del 2009).

2. Con il quinto motivo di ricorso, formulato in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, denunciata la violazione dell’art. 112 c.p.c., la contribuente rimproverava alla Regionale di non aver pronunciato sull’eccezione per cui il suo legale rappresentante non aveva ricevuto notizia sia del processo verbale di accesso per acquisire documentazione, sia del processo verbale della verifica “a tavolino” a cui aveva partecipato, peraltro senza specifica delega, un suo dipendente; con ciò impedendo, secondo la contribuente, come in grado d’appello evidenziato in memoria illustrativa, di far pervenire all’amministrazione, entro il termine di giorni sessanta, previsto dalla L. 27 luglio 2000, n. 212, art. 12,comma 7, le opportune osservazioni; processi verbali che, inoltre, così terminava la contribuente, nemmeno erano stati allegati all’avviso, con la conseguente nullità dello stesso.

2.1. Il motivo è infondato; deve essere previamente rammentato che, come facilmente ricavabile dall’art. 384 c.p.c., comma 2, quando l’omessa pronuncia riguarda esclusivamente questioni di diritto, senza necessità di accertamenti in fatto, la Corte può statuire direttamente, senza rinviare al giudice a quo (Cass. sez. trib. n. 16171 del 2017); questo ricordato, devesi rilevare che la contribuente ha dato atto, nelle pagine iniziali del suo ricorso per cassazione, che pur essendosi fin da subito doluta della mancanza di comunicazione dei verbali, mai ha però eccepito, davanti alla Provinciale, con l’atto introduttivo di lite, che l’avviso fosse stato emanato ante tempus con violazione della L. n. 212 del 2000, art. 12, comma 7; e, nemmeno, che l’avviso fosse stato da dichiararsi nullo perchè motivato per relationem a PVC non notificati; di qui l’inammissibilità dei motivi aggiunti, comminata in primo grado dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 24 e in appello dallo stesso D.Lgs. n. 546 del 1996, art. 57; con la conseguenza che, se la Regionale avesse invece pronunciato, avrebbe violato le appena vedute regole processuali.

3. Con il sesto motivo, formulato in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, ancora per violazione dell’art. 112 c.p.c., la contribuente, deducendo di non aver ricevuto notizia del verbale d’accesso per l’acquisizione dei documenti, lamentava di non essere stata messa al corrente delle ragioni della verifica; senza possibilità, quindi, di farsi assistere da un difensore, anche al fine di poter fare le opportune osservazioni, secondo quanto invece previsto dalla L. n. 212 del 2000, art. 12, comma 2.

3.1. Il motivo è infondato; vale anche qui la premessa per cui, le questioni di diritto non decise dalla Regionale, possono essere direttamente giudicate dalla Corte, quando non siano necessari preventivi accertamenti in fatto; ciò ribadito, deve essere preliminarmente evidenziato che non c’è stata alcuna verifica in azienda, ma soltanto una verifica “a tavolino” presso l’Agenzia, avendo la contribuente soltanto subito un accesso dell’autorità finalizzato all’acquisizione di documentazione; cosicchè, il riferimento alla L. n. 212 del 2000, art. 12, comma 2, che riguarda esclusivamente le verifiche nei locali dell’impresa, è del tutto non conferente.

4. Con il settimo motivo, denunciata la violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 42, oltrechè la violazione dell’omologa disposizione in tema di IVA, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, applicabile ratione temporis, la contribuente, ancora lamentando l’omessa comunicazione del verbale d’accesso, oltrechè l’omessa comunicazione del verbale di “colloquio” tra i funzionari incaricati della verifica a “tavolino” e il dipendente, deducendo inoltre che quest’ultimo non era stato delegato per tale attività, concludeva nel senso che, siccome i due processi verbali non erano stati allegati all’avviso, era da farsi conseguire la nullità di quest’ultimo per difetto di motivazione e il derivato difetto di motivazione della sentenza.

4.1. Il motivo è palesemente inammissibile, per violazione dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4, mancando ogni pur minima specificità dello stesso; si lamenta difatti un incomprensibile vizio motivazionale della sentenza, discendente dall’omessa comunicazione dei processi verbali; dovendosi inoltre evidenziare, per soprammercato, come già rilevato, che l’eccezione di difetto di motivazione per relationem dell’avviso, è, ex se, comunque, inammissibile, perchè non tempestivamente proposta con il ricorso di primo grado.

5. Con i motivi ottavo, nono e decimo, tutti formulati sia in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, essenzialmente per violazione del citato D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, dell’omologa norma in tema di IVA e del citato D.L. 331 del 1993, art. 62 sexies; sia in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, applicabile ratione temporis, per vizi motivazionali della sentenza; la contribuente, spesso disordinatamente, reiterando in più luoghi argomentazioni inerenti le medesime doglianze, contestava il valore dimostrativo degli elementi sulla base dei quali la Regionale aveva ritenuto che l’ufficio avesse dato la prova presuntiva ex art. 2727 c.c. della ripresa fiscale, una prova presuntiva semplice che il citato D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d) richiedeva per l’accertamento analitico induttivo; paventando, inoltre, la contribuente, da parte della Regionale, l’utilizzo di presunzioni “supersemplici”, che prescindendo dai requisiti di gravità, precisione e concordanza richiesti dall’art. 2729 c.c., erano soltanto tipiche dell’accertamento induttivo “puro” citato D.P.R. n. 600 del 1973, ex art. 39, comma 2; un accertamento induttivo “puro”, osservava la contribuente, che invece sarebbe stato illegittimo impiegare, attesa la regolarità formale delle scritture contabili; inoltre, dalla contribuente, veniva, nel merito, contestata la percentuale di ricarico accertata, basata dall’amministrazione sulla scelta di un insufficiente numero di articoli, assolutamente non rappresentativi, per quantità e qualità; veniva contestata, altresì, sotto numerosi profili, la presunzione ricavata dal confronto tra gli scontrini di vendita e le fatture di acquisto, da ritenersi completamente incerta; veniva, ancora, contestata, l’affidabilità presuntiva dell’antieconomicità, del resto evidenziata dall’Agenzia soltanto in grado d’appello; era, poi, sottolineata l’impossibilità dell’evasione, dovendo tutti i clienti passare per la cassa; veniva fatto, quindi, rilevare, che le pluriennali perdite erano la conseguenza della feroce concorrenza commerciale della grande distribuzione; perdite personalmente sostenute dai soci, nella speranza di una ripresa delle vendite; veniva, del tutto genericamente, invero, contestata l’esattezza dello studio di settore applicato, oltre che la mancanza dell’indispensabile preventivo contraddittorio, appunto perchè il dipendente che aveva partecipato alla verifica “a tavolino” non era stato appositamente delegato; si doleva, infine, la contribuente, che la Regionale non avesse tenuto conto del cosiddetto “intervallo di confidenza”.

5.1. In disparte il fondamentale rilievo di complessiva inammissibilità delle numerose doglianze, palesemente emergente dalla sintesi dei riassunti motivi; e, questo, perchè, i ridetti motivi, nella loro illustrazione, non permettono di distinguere, con la necessaria certezza, quello che dalla contribuente sarebbe stato addebitato alla Regionale a titolo di violazione di legge, da quello che sarebbe stato invece addebitato a titolo di vizio motivazionale; e, ciò, a causa del confuso reiterarsi di argomentazioni, in fatto e in diritto, in gran parte ripetitive, senza che le stesse siano state precedute, in quel preciso luogo dell’esposizione, da sicure precisazioni circa il vizio effettivamente denunciato (Cass. sez. I n. 21611 del 2013); inoltre, deve essere anche evidenziato che, su taluni rilievi, come quello del cosiddetto “intervallo di confidenza”, oltrechè quello dell’inesattezza dello studio di settore applicato, la Regionale non ha pronunciato; con la conseguenza che la contribuente, per non incorrere nell’ulteriore fattispecie di inammissibilità, avrebbe dovuto, non solo censurare la sentenza ai sensi dell’art. 112 c.p.c., ma altresì avrebbe dovuto indicare, nel rispetto del principio dell’autosufficienza, se queste eccezioni erano state tempestivamente svolte in primo grado, nonchè ribadite in appello con la prima difesa, indicazioni che, invece, non sono assolutamente presenti nel ricorso per cassazione (Cass. sez. lav. n. 22759 del 2014; Cass. sez. trib. n. 9108 del 2012); infine, circa la nullità dell’avviso, eccepita a causa della mancanza di delega del dipendente a rappresentare la contribuente nel contraddittorio che ha preceduto la notifica dell’avviso, nullità solamente dedotta in coda al cospicuo ricorso, va considerato quanto segue; e cioè che la Regionale, pur avendo incidentalmente affermato che il contraddittorio si era svolto, non ha espressamente pronunciato circa la validità dello stesso, con la conseguenza che la contribuente avrebbe dovuto censurare la sentenza per violazione dell’art. 112 c.p.c., con la derivata inammissibilità della doglianza; del resto, la doglianza è ulteriormente inammissibile per difetto di autosufficienza, non risultando dal ricorso per cassazione che la contribuente, come sarebbe stato obbligatorio fare ai sensi del citato D.Lgs. n. 546 del 1992, artt. 24 e 57, avesse eccepito la suddetta eccezione di nullità con il ricorso di primo grado, oltrechè tempestivamente riproposta in appello,

5.2. Deve darsi ad ogni modo atto che la Regionale si è attenuta ai principi enucleati dalla Corte, atteso che, dopo aver accertato che la ripresa “standardizzata”, mediante applicazione degli studi di settore, era stata preceduta dall’obbligatorio contraddittorio tra l’ufficio e la contribuente (Cass. sez. un. 26635 del 2009; Cass. sez. trib. n. 24003 del 2016); ha poi stabilito che l’omessa dichiarazione dei redditi, contestata dalla contribuente perchè la ripresa non poteva essere dimostrata soltanto a mezzo delle presunzioni semplici ex lege discendenti dal mero scostamento dallo studio di settore, era stata in realtà confermata, secondo quanto previsto dal citato D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d), in combinato disposto con il citato D.L. n. 331 del 1993, art. 62 sexies, dalle ulteriori presunzioni offerte dall’ufficio (Cass. sez. trib. n. 21754 del 2017; Cass. sez. trib. n. 27617 del 2018); presunzioni, come quella, ad es., dell’antieconomicità, ricavabile ex actis dalle continue gravi perdite pluriennali, che costituisce indice presuntivo rilevante di evasione, secondo quanto costantemente riconosciuto dalla giurisprudenza (Cass. sez. trib. n. 27804 del 2018; Cass. sez. trib. n. 14068 del 2014); ovvero, come quella, ad es., derivante dall’indice di ricarico stabilito sulla scorta della media ponderata, ritenuta legittima dalla consolidata giurisprudenza (Cass. sez. trib. n. 8923 del 2018; Cass. sez. trib. n. 20709 del 2014);

5.2. Il tutto con un ragionamento non illogico e non insufficiente e pertanto non sindacabile da questa Corte.

6. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; condanna la contribuente a rimborsare all’ufficio le spese processuali, liquidate in complessivi Euro 4.000,00 a titolo di compenso, oltre a spese prenotate a debito; ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del D.P.R. n. 115 del 2002, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio, il 28 maggio 2019.

Depositato in Cancelleria il 17 luglio 2019

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