Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19176 del 15/09/2020

Cassazione civile sez. II, 15/09/2020, (ud. 15/01/2020, dep. 15/09/2020), n.19176

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – Presidente –

Dott. PICARONI Elisa – Consigliere –

Dott. CASADONTE Annamaria – rel. Consigliere –

Dott. DONGIACOMO Giuseppe – Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 20406/2019 proposto da:

O.M., elettivamente domiciliato in Roma, Via Vigliena, 10,

presso lo studio dell’avvocato Alessandro Malara, rappresentato e

difeso dall’avvocato Ilaria Di Punzio;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, in persona del ministro p.t., rappresentato

ope legis dall’l’Avvocatura Generale dello Stato con sede in Roma,

via dei Portoghesi 12;

– resistente –

avverso il decreto del Tribunale di Roma, depositata il 03/06/2019;

Udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

15/01/2020 dal Consigliere Dott. Annamaria Casadonte.

 

Fatto

RILEVATO

che:

il presente giudizio trae origine dal ricorso che il sig. O.M., cittadino (OMISSIS), ha presentato avverso il provvedimento di diniego reso dalla Commissione Territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale che gli aveva negato sia lo status di rifugiato che la protezione sussidiaria che quella umanitaria;

– il ricorrente ha quindi impugnato avanti al Tribunale di Roma il predetto diniego, allegando di essere fuggito dopo aver realizzato l’imminente pericolo che correva per la propria libertà e incolumità personale a causa della sua omosessualità; – il Tribunale di Roma a conclusione del procedimento camerale ha rigettato il ricorso;

– la cassazione di quest’ultimo provvedimento è chiesta sulla base di quattro motivi;

– l’intimato Ministero si è costituito ai sensi dell’art. 370 c.p.c., comma 1.

Diritto

CONSIDERATO

che:

– con il primo motivo di ricorso, si denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, artt. 3,5 e 7, per essere il tribunale romano incorso in errore quando ha giustificato il rigetto della richiesta del riconoscimento dello status di rifugiato ovvero la protezione sussidiaria e quella umanitaria con l’argomento che il richiedente non aveva assolto l’onere di rendere un racconto coerente e plausibile;

– il ricorrente ha giustificato le inesattezze riconducendole ad una non corretta esposizione da parte dell’interprete ed alle difficoltà e ritrosie nella narrazione di fatti strettamente personali;

il motivo è infondato;

secondo il costante orientamento di questa Corte (Sez. 1, n. 19197/2015) il principio della domanda si applica anche con riferimento alle misure tipiche di protezione internazionale, rimanendo fermo l’onere del richiedente di individuazione ed allegazione dei fatti costitutivi delle distinte pretese;

inoltre in materia di protezione internazionale, il vaglio di credibilità soggettiva condotto alla stregua dei criteri indicati nel D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5, trova applicazione tanto con riguardo alla domanda volta al riconoscimento dello “status” di rifugiato, tanto con riguardo alla domanda di riconoscimento della protezione sussidiaria, in ciascuna delle ipotesi contemplate dall’art. 14 dello stesso D.Lgs., con la conseguenza che, ove detto vaglio abbia esito negativo, l’autorità incaricata di esaminare la domanda non deve procedere ad alcun ulteriore approfondimento istruttorio officioso, neppure concernente la situazione del Paese di origine (cfr. Cass. 15794/2019; 11110/2019);

– ciò posto nel caso in esame non risulta alcuna violazione degli articoli indicati perchè il giudice ha motivato il rigetto rilevando la mancata allegazione di fatti coerenti e credibili a sostegno di tutte le domande di protezione avanzate dal richiedente;

con il secondo motivo di ricorso si denuncia, con riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), per non avere il giudice del merito considerato che le minacce di morte ricevute dai familiari non potevano essereconsiderate un fatto di natura privata, dal momento che la minaccia di danno grave rilevante ai sensi dell’art. 5, lett. c) in relazione all’art. 14, lett. b), può derivare anche da soggetti non statuali ove lo stato ed i partiti o le organizzazione che controllano lo stato o il territorio non possono o non vogliono fornire adeguata protezione contro le persecuzioni o danni gravi;

– il motivo appare inammissibile;

– sia la giurisprudenza Europea (Corte di giustizia UE, 30 gennaio 2014, causa C-285/12) sia la Corte Suprema di Cassazione (Sez. 6-1, n. 13858/2018) sono concordi nel ritenere che quanto alla nozione di violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato, interno o internazionale bisogna dare rilievo al conflitto armato interno solo se, eccezionalmente, possa ritenersi che gli scontri tra le forze governative di uno Stato e uno o più gruppi armati, o tra due o più gruppi armati, siano all’origine di una minaccia grave e individuale alla vita o alla persona del richiedente la protezione sussidiaria;

– applicando questo principio il motivo di ricorso pare privo di pregio e non si ravvisa nessuna violazione di legge: il giudice ha infatti analizzato, al di là degli specifici dubbi rilevati sulla credibilità del richiedente, la situazione storica del paese d’origine attraverso l’approfondita ricostruzione del contesto storico e ha escluso in ragione dei report ufficiali che rispetto al Paese di provenienza del richiedente, la Nigeria, fosse provata la sussistenza di violenza indiscriminata (ex art. 14, lett. c) ovvero e la minaccia grave e individuale alla vita;

– con il terzo motivo di ricorso si denuncia la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 3 e art. 5, comma 6, con riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

– ad avviso del ricorrente, il collegio ha omesso la valutazione comparativa necessaria ad appurare lo stato di fragilità individuale del ricorrente e avrebbe contravvenuto alle prescrizioni richiamate nella sentenza n. 4455/2018, secondo le quali, ai fini del riconoscimento della protezione umanitaria, il giudice deve effettuare una valutazione comparativa effettiva al fine di verificare se il rimpatrio possa determinare la privazione della titolarità e dell’esercizio dei diritti umani;

Il motivo risulta privo di pregio;

Secondo la Corte di Cassazione (Sez. Un. 8053/2014) il controllo previsto dall’art. 360 c.p.c., nuovo n. 5, concerne l’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, decisivo, vale a dire che se esaminato avrebbe determinato un esito diverso della controversia;

– Ciò premesso, considerato che il giudice ha fondato il rigetto sull’assenza dei presupposti per il riconoscimento della protezione internazionale, si può escludere la rilevanza della censura avanzata;

– Con il quarto motivo di ricorso si denuncia la violazione dell’art. 10 Cost.;

– Il ricorrente ritiene che l’eventuale rientro in Nigeria esporrebbe il sig. O. a pene e trattamenti inumani e degradanti in contrasto con l’art. 3 CEDU.

Secondo un orientamento della Corte, (Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 10686 del 26/06/2012 (Rv. 623092 – 01) il diritto di asilo è interamente attuato e regolato attraverso la previsione delle situazioni finali previste nei tre istituti costituiti dallo “status” di rifugiato, dalla protezione sussidiaria e dal diritto al rilascio di un permesso umanitario, ad opera della esaustiva normativa di cui al D.Lgs. 19 novembre 2007, n. 251, adottato in attuazione della Direttiva 2004/83/CE del Consiglio del 29 aprile 2004, e di cui al D.Lgs. 25 luglio 1998, n. 286, art. 5, comma 6. Ne consegue che non vi è più alcun margine di residuale diretta applicazione del disposto di cui all’art. 10 Cost., comma 3, in chiave processuale o strumentale, a tutela di chi abbia diritto all’esame della sua domanda di asilo alla stregua delle vigenti norme sulla protezione.

– atteso l’esito sfavorevole di tutti i motivi, il ricorso va respinto;

– nulla va disposto sulle spese atteso il mancato svolgimento di attività difensiva da parte dell’intimato;

– ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

PQM

La Corte rigetta il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 15 gennaio 2020.

Depositato in Cancelleria il 15 settembre 2020

 

 

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