Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19176 del 06/07/2021

Cassazione civile sez. trib., 06/07/2021, (ud. 12/05/2021, dep. 06/07/2021), n.19176

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CRUCITTI Roberta – Presidente –

Dott. GIUDICEPIETRO Andreina – Consigliere –

Dott. FEDERICI Francesco – Consigliere –

Dott. FRACANZANI M. Marcello – rel. Consigliere –

Dott. PIRARI Valeria – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 25880/2015 R.G. proposto da:

il sig. D.L., con gli avv.ti Marco Esposito, Alfredo Zabeo e

Antonio Avitabile, nel domicilio eletto presso lo studio di

quest’ultimo, in Roma, alla via Lucio Papirio, n. 83;

– ricorrente –

contro

Agenzia delle Entrate, in persona del legale rappresentante p.t.,

rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, con

domicilio ex lege in Roma, alla via dei Portoghesi, n. 12;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale per il

Veneto – Venezia, n. 558/30/15, pronunciata il 13 febbraio 2015 e

depositata il 24 marzo 2015, non notificata.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del giorno 12

maggio 2021 dal Co: Marcello M. Fracanzani.

 

Fatto

RILEVATO

Il contribuente era attinto da avviso di accertamento sintetico per gli anni 2007 e 2008 con rimodulazione del reddito rispettivamente dai dichiarati circa seimila Euro ad oltre Euro centocinquantanovemila, e dai circa Euro settemila a oltre Euro centoquarantacinquemila, cui irrogava sanzioni ed interessi. Più in particolare, in ragione della disponibilità di beni indici di maggior capacità contributiva secondo i parametri del c.d. “redditometro”, l’Ufficio inviava questionari per gli anni di imposta 2006, 2007 e 2008 e, a seguito della risposta del contribuente, notificava -per quanto qui interessa- gli atti impositivi per gli anni di imposta 2007 e 2008, cui reagiva il contribuente senza trovare apprezzamento delle proprie ragioni nei gradi di merito. Donde ricorre per cassazione affidandosi a quattro mezzi di censura, cui replica l’Avvocatura generale dello Stato con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

Vengono proposti quattro motivi di ricorso.

1. Con il primo motivo si prospetta censura ex art. 360 c.p.c., n. 3, per violazione del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 38, comma 4, ed omesso esame di un fatto deciso per il giudizio. Nella sostanza viene lamentata la mancata considerazione nei precedenti gradi del giudizio della denunciata illegittimità circa l’operato dell’Ufficio che non ha tenuto conto dei caratteri propri dell’attività del contribuente e delle prove da lui prodotte.

2. Con il secondo motivo si prospetta ancora censura ex art. 360 c.p.c., n. 3, per violazione di norme ed omesso esame di fatto decisivo oggetto di discussione fra le parti, dolendosi non sia stato apprezzato l’apporto probatorio completo offerto dal contribuente, ove ha allegato tutti i movimenti bancari suoi e della coniuge, giustificando la maggior ricchezza con l’alienazione di quota di s.r.l., nonchè utili di partecipazione a società in accomandita semplice.

I motivi possono essere trattati congiuntamente, stante la loro evidente connessione.

In entrambi, all’esplicita censura ex n. 3 si affianca altresì censura art. 360 codice di rito civile, ex n. 5.

Deve rilevarsi che per questa Corte è ammissibile il ricorso per cassazione il quale cumuli in un unico motivo le censure di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5, allorchè esso comunque evidenzi specificamente la trattazione delle doglianze relative all’interpretazione o all’applicazione delle norme di diritto appropriate alla fattispecie ed i profili attinenti alla ricostruzione del fatto (Cass. V, 11 aprile 2018, n. 8915), essendo sufficiente che la formulazione del motivo consenta di cogliere con chiarezza le doglianze prospettate, sì da consentirne, se necessario, l’esame separato esattamente negli stessi termini in cui lo si sarebbe potuto fare se essere fossero state articolate in motivi diversi, singolarmente numerati (Cass., sez. un., 6 maggio 2015, n. 9100, in linea Cass. V. n. 14756/2020).

E’ appena il caso di rammentare che il vizio di violazione di legge consiste in un’erronea ricognizione da parte del provvedimento impugnato della fattispecie astratta recata da una norma di legge implicando necessariamente un problema interpretativo della stessa; viceversa, l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta, mediante le risultanze di causa, inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito la cui censura è possibile, in sede di legittimità, attraverso il vizio di motivazione (tra le tante: Cass. 11 gennaio 2016 n. 195; Cass. 30 dicembre 2015, n. 26610).

Come è noto, il ricorso per cassazione conferisce al giudice di legittimità non il potere di riesaminare il merito dell’intera vicenda processuale, ma solo la facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico-formale, delle argomentazioni svolte dal giudice di merito, al quale spetta, in via esclusiva, il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di controllarne l’attendibilità e la concludenza e di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad essi sottesi, dando così liberamente la prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge (Cass. 4 novembre 2013 n. 24679; Cass. 16 novembre 2011 n. 27197; Cass. 6 aprile 2011 n. 7921; Cass. 21 settembre 2006 n. 20455; Cass. 4 aprile 2006 n. 7846; Cass. 9 settembre 2004 n. 18134; Cass. 7 febbraio 2004 n. 2357).

Nè il giudice del merito, che attinga il proprio convincimento da quelle prove che ritenga più attendibili, è tenuto ad un’esplicita confutazione degli altri elementi probatori non accolti, anche se allegati dalle parti (ad es.: Cass. 7 gennaio 2009 n. 42; Cass. 17 luglio 2001 n. 9662).

Per completezza argomentativa, quanto alla denuncia di vizio di motivazione, poichè è qui in esame un provvedimento pubblicato dopo il giorno 11 settembre 2012, resta applicabile ratione temporis il nuovo testo dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), la cui riformulazione, disposta dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, convertito dalla L. 7 agosto 2012, n. 134, secondo le Sezioni Unite deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sè, purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione (Cass. Sez. Un. 7 aprile 2014 n. 8053).

Sostanziandosi in una richiesta di revisione degli apprezzamenti di merito, i due motivi sono quindi inammissibili.

3. Con il terzo motivo si prospetta ancora censura ex art. 360 c.p.c., n. 3, per violazione e falsa applicazione della L. n. 212 del 2000, art. 7, comma 1, per mancata allegazione del processo verbale di constatazione e rinvio ad atti sconosciuti. Nella sostanza, riprendendo altresì le doglianze pregresse, la parte contribuente lamenta non essergli stato consegnato alcun p.v.c., nè rispettato il termine dilatorio di 60 giorni fra p.v.c. ed atto impositivo, di cui alla L. n. 212 del 2000, art. 12, comma 7.

Deve ricordarsi che il predetto termine dilatorio è previsto solo dopo accessi in sede e non in caso di accertamento a tavolino: nessuna ispezione è stata fatta presso la parte contribuente, trattandosi di accertamento sintetico su “redditometro”.

Questa Corte ha già chiarito che, in tema di accertamento delle imposte sui redditi delle persone fisiche, il D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 38, prevede che gli uffici finanziari possano determinare sinteticamente il reddito complessivo netto del contribuente, sulla base degli indici previsti dai decreti ministeriali del 10 settembre e 19 novembre 1992, riguardanti il cd. redditometro, e tale metodo di accertamento dispensa l’Amministrazione finanziaria da qualunque ulteriore prova rispetto all’esistenza dei fattori-indice della capacità contributiva, sicchè è legittimo l’accertamento fondato su di essi e resta a carico del contribuente, posto nella condizione di difendersi dalla contestazione dell’esistenza di quei fattori, l’onere di dimostrare che il reddito presunto non esiste o esiste in misura inferiore (Cass. n. 16912 del 10/8/2016; Cass. n. 17793 del 19/7/2017; Cass. n. 27811 del 31/10/2018, Cass. n. 17534 del 28/06/2019).

Altresì, in tema di diritti e garanzie del contribuente sottoposto a verifiche fiscali, l’Amministrazione finanziaria è gravata di un obbligo generale di contraddittorio endoprocedimentale, la cui violazione comporta l’invalidità dell’atto purchè il contribuente abbia assolto all’onere di enunciare in concreto le ragioni che avrebbe potuto far valere e non abbia proposto un’opposizione meramente pretestuosa, esclusivamente per i tributi “armonizzati”, mentre, per quelli “non armonizzati”, non è rinvenibile, nella legislazione nazionale, un analogo generalizzato vincolo, sicchè esso sussiste solo per le ipotesi in cui risulti specificamente sancito. (Cass. S.U. n. 24823/2015). Trattandosi qui di tributi “non armonizzati” il dovere di preventivo contraddittorio non sussiste, non essendo espressamente previsto.

Il motivo è quindi infondato.

4. Con l’ultimo motivo si prospetta ancora doglianza ex art. 360 c.p.c., n. 3, per violazione del D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 5, e del D.L.gs. n. 546 del 1992, art. 8, comma 1, codice del processo tributario – c.p.t., lamentando l’irrogazione di sanzioni su materie incerte o su cui il contribuente sia sprovvisto di specifiche competenze tecniche.

Così come formulato il motivo è infondato, dacchè la norma consente l’affrancamento delle sanzioni per “obbiettive” incertezze normative, mentre quelle rappresentate dalla parte ricorrente sono “soggettive” incertezze del contribuente (cfr. pag. 36 del ricorso per cassazione). In definitiva il ricorso è infondato e dev’essere rigettato.

Le spese seguono la regola della soccombenza e sono liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso, condanna la parte ricorrente a rifondere le spese del giudizio a favore dell’Agenzia delle entrate che liquida in Euro cinquemilaseicento/00, oltre a spese prenotate e debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, la Corte dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte del ricorrente incidentale dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, il 12 maggio 2021.

Depositato in Cancelleria il 6 luglio 2021

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