Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19174 del 15/09/2020

Cassazione civile sez. un., 15/09/2020, (ud. 21/07/2020, dep. 15/09/2020), n.19174

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONI UNITE CIVILI

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Primo Presidente f.f. –

Dott. MANNA Antonio – Presidente di Sez. –

Dott. TORRICE Amelia – Consigliere –

Dott. DE STEFANO Franco – Consigliere –

Dott. VALITUTTI Antonio – Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –

Dott. COSENTINO Antonello – Consigliere –

Dott. LAMORGESE Antonio Pietro – Consigliere –

Dott. VINCENTI Enzo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 5353/2019 proposto da:

B.G., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA F.S. NITTI

11, presso lo studio dell’avvocato GAIA LUCILLA GALLO, che lo

rappresenta e difende unitamente all’avvocato GIOVANNI CANINO;

– ricorrente –

contro

PROCURATORE GENERALE RAPPRESENTANTE IL PUBBLICO MINISTERO PRESSO LA

CORTE DEI CONTI, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA BAIAMONTI

25;

– controricorrente –

e contro

PROCURA REGIONALE PRESSO LA SEZIONE GIURISDIZIONALE DELLA CORTE DEI

CONTI PER L’EMILIA ROMAGNA, V.L.G.;

– intimati –

avverso la sentenza-ordinanza non definitiva n. 55/2018, depositata

il 05/02/2018, nonchè la sentenza n. 291/2018 della CORTE DEI CONTI

– I SEZIONE GIURISDIZIONALE CENTRALE D’APPELLO – ROMA, depositata il

10/07/2018.

Udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

21/07/2020 dal Consigliere Dott. ENZO VINCENTI.

 

Fatto

RITENUTO

che:

1. – La Procura regionale presso la Sezione giurisdizionale della Corte dei Conti per la Regione Emilia-Romagna convenne in giudizio (unitamente ad altro incolpato) B.G., nella sua qualità di consigliere del Gruppo dell’Assemblea legislativa della Regione Emilia-Romagna “Il Popolo della Libertà”, per sentirlo condannare, a titolo di danno erariale, al rimborso, in favore della medesima Regione, delle spese sostenute, dal novembre 2011 al dicembre 2012, e rendicontate sui fondi appartenenti a detto Gruppo, ma ritenute estranee al mandato consiliare.

1.1. – Con sentenza del 1 febbraio 2017, l’adita Sezione giurisdizionale, in parziale accoglimento della domanda dell’Ufficio requirente territoriale, condannò il B. al pagamento della somma di Euro 22.343,10, oltre accessori, da ripartire in parti uguali con l’altro convenuto soccombente.

2. – Sull’interposto gravame (anche) del B., intervenivano due distinte decisioni della Sezione giurisdizionale centrale: dapprima, la “sentenza non definitiva-ordinanza” n. 55 del 5 febbraio 2018, con la quale era respinto il motivo di appello “sulla genericità e indeterminatezza dell’atto di citazione e la relativa questione di inammissibilità”, nonchè ordinata l’acquisizione, a cura della Procura generale, di documentazione inerente alla causa; quindi, la sentenza, definitiva, n. 291 del 10 luglio 2018, che, in parziale accoglimento dell’appello, rideterminava il danno in favore della Regione Emilia-Romagna nella complessiva somma di Euro 12.426,46, oltre accessori, da ripartire in parti uguali tra il medesimo B. e l’altro appellante.

2.1. – Con la “sentenza non definitiva-ordinanza” n. 55/2018 il giudice contabile escludeva, anzitutto, che l’atto di citazione in giudizio fosse inammissibile per mancata identificazione del petitum e della causa petendi e, quindi, che avesse determinato un vulnus al diritto di difesa dei convenuti. La Sezione centrale, al fine di poter valutare l’autosufficienza della notitia damni, disponeva, poi, “l’acquisizione delle notizie di stampa e dell’esposto menzionati nell’atto di citazione, nella sentenza impugnata e, altresì, negli atti di appello, nonchè l’acquisizione di tutta la documentazione pertinente”.

2.2. – Con la sentenza definitiva n. 281/2018, il giudice di appello, segnatamente, osservava che: a) la notizia di danno non si palesava carente dei requisiti di specificità e concretezza, poichè l’istruttoria contabile non era “mera derivazione delle deliberazioni annullate” dalla sentenza n. 235 del 2015 della Corte costituzionale e risultava “corroborata” da circostanziati articoli di stampa e dall’esposto acquisiti agli atti, relativi “a vicende concrete”; b) l’azione della Procura contabile non era sovrapponibile alle funzioni intestate, soltanto a partire dall’esercizio 2013 (e, dunque, non per gli anni 2011 e 2012), alla Sezione di controllo della Corte dei conti sui rendiconti dei Gruppi consiliari regionali, avendo la prima riguardo “all’accertamento della responsabilità-amministrativo-contabile”, non esclusa dalla garanzia di cui all’art. 122 Cost., in capo ai presidenti e ai consiglieri dei Gruppi consiliari; c) non era stata invasa la “sfera di merito riservata all’Assemblea regionale e ai Gruppi operanti al suo interno” in quanto la verifica era stata effettuata in funzione dell’obbligo di rispettare il vincolo di destinazione dei contributi erogati ai Gruppi”, necessitando a tal fine la documentazione e giustificazione della spesa, non essendo sufficiente, per “ammettere che la spesa sia inerente all’attività del Gruppo consiliare”, la sua “astratta riconducibilità… alle categorie di cui alla Delib. Assembleare n. 5 del 2012”; d) non vi era violazione del principio del ne bis in idem, giacchè non vi era “contezza del coinvolgimento degli appellanti in un giudizio penale relativo agli stessi fatti oggetto del presente procedimento” e, comunque, avendo la stessa Corte EDU escluso una siffatta violazione nell’ipotesi di concomitanza tra processo penale e giudizio di responsabilità amministrativa dinanzi alla Corte dei conti, essendo in reciproca autonomia tra loro, come anche ribadito dalla giurisprudenza di legittimità e costituzionale; e) la norma di riferimento per la valutazione dell’inerenza della spesa sostenute dai consiglieri regionali per le finalità istituzionali del Gruppo di appartenenza era la L.R. Emilia-Romagna n. 32 del 1997, art. 6, in forza della quale disposizione si rendeva “necessario il conferimento di un incarico – sia pure attribuito in forma libera – oppure l’attestazione motivata del Presidente del Gruppo, qualora la spesa non sia documentabile”, nei limiti in cui la stessa “risulti congrua e giustificabile in riferimento a parametri obiettivi”; f) il riferimento a specifico “incarico” era, dunque, da interpretarsi come “indicatore della riconducibilità della spesa all’attività del Gruppo consiliare”, spettando al convenuto una tale dimostrazione; g) dall’esame della documentazione agli atti risultava, “per la maggior parte delle poste rimborsate, l’assenza del collegamento funzionale tra la spesa e l’attività del Gruppo consiliare” (ossia spese: per pasti con collaboratori e altri commensali, senza documentazione della loro identità e funzione rappresentativa, nè della finalità degli incontri; viaggi e trasferte per incontri con politici locali, cittadini e associazioni di categoria o per sopralluoghi nelle zone colpite da eventi sismici); h) erano invece inerenti all’attività istituzionale le spese relative ad attività istituzionale e politica del Gruppo consiliare (stampa di volantini, noleggio di sala per incontro tematico, spese postali, per acquisto di giornali e per consulenze), da sottrarsi, quindi, dall’importo della condanna di primo grado; i) sussisteva, infine, l’elemento soggettivo della colpa grave, essendosi il B. “scostato dalle elementari e chiare regole di utilizzo, gestione e rendicontazione dei fondi consiliari, che era tenuto a conoscere ed applicare”.

3. – Per la cassazione sia della “sentenza non definitiva-ordinanza” n. 51/2018, che della sentenza n. 281/2018, ricorre B.G., affidando le sorti dell’impugnazione a otto motivi, illustrati da memoria.

Resiste con controricorso il Procuratore generale rappresentante il Pubblico ministero presso la Corte dei Conti.

L’intimato V.L.G. non ha svolto attività difensiva in questa sede.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. – Il ricorrente, in premessa allo svolgimento delle censure, sostiene che “l’ambito giuridico ed i limiti esterni entro i quali si articola” l’impugnazione è quello segnato dalla giurisprudenza di questa Corte che ha sviluppato il “concetto di giurisdizione in senso dinamico o funzionale”, potendo, quindi, derogarsi alla “regola della non estensione agli errori in iudicando o in procedendo del sindacato della Corte” stessa sulle decisioni del Consiglio di Stato e della Corte dei conti “nei casi di radicale stravolgimento delle norme di riferimento tale da ridondare in denegata giustizia”, come affermato inizialmente da Cass., S.U., n. 30254/2008 e da ultimo ribadito da Cass., S.U., n. 31226/2017, in forza di orientamento che è da preferirsi a quello contrario dettato dalla sentenza n. 6 del 2018 della Corte costituzionale.

1.1. – Giova, tuttavia, osservare che il ricorrente si limita, sostanzialmente, ad un richiamo della giurisprudenza innanzi indicata e non fornisce argomenti validi per disattendere l’orientamento seguito da queste Sezioni Unite successivamente alla sentenza n. 6 del 2018 della Corte costituzionale, secondo cui l’eccesso di potere giurisdizionale, denunziabile con il ricorso per cassazione per motivi attinenti alla giurisdizione, va riferito alle sole ipotesi di difetto assoluto di giurisdizione – che si verifica quando un giudice speciale affermi la propria giurisdizione nella sfera riservata al legislatore o alla discrezionalità amministrativa, ovvero, al contrario, la neghi sull’erroneo presupposto che la materia non possa formare oggetto in assoluto di cognizione giurisdizionale -, nonchè di difetto relativo di giurisdizione, riscontrabile quando detto giudice abbia violato i c.d. limiti esterni della propria giurisdizione, pronunciandosi su materia attribuita alla giurisdizione ordinaria o ad altra giurisdizione speciale, ovvero negandola sull’erroneo presupposto che appartenga ad altri giudici;

conseguentemente, in coerenza con la nozione di eccesso di potere giurisdizionale esplicitata dalla citata sentenza della Corte costituzionale, che non ammette letture estensive neanche se limitate ai casi di sentenze “abnormi”, “anomale” ovvero di uno “stravolgimento” radicale delle norme di riferimento, tale vizio non è configurabile per errores in procedendo o in iudicando, i quali non investono la sussistenza e i limiti esterni del potere giurisdizionale dei giudici speciali, bensì solo la legittimità dell’esercizio del potere medesimo (tra le molte: Cass., S.U., n. 7926/2019, Cass., S.U., n. 8311/2019, Cass., S.U., n. 29082/2019, Cass., S.U., n. 7839/2020).

2. – Con il primo mezzo è denunciata, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, “nullità della sentenza derivante dalla diversa composizione del collegio giudicante”, in violazione degli artt. 159,276 c.p.c., D.Lgs. n. 174 del 2016, artt. 100 e 101, essendo stata la sentenza n. 291/2018 emanata da collegio composto da giudici diversi da quelli che avevano partecipato alla fase istruttoria e alla discussione preliminari alla deliberazione di cui alla “sentenza non definitiva-ordinanza” n. 55/2018.

3. – Con il secondo mezzo è dedotta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 1, in relazione all’art. 111 Cost. e del D.Lgs. n. 174 del 2016, art. 207 e con riferimento ai punti da 1 a 6 della sentenza impugnata, il difetto di giurisdizione della Corte dei Conti originato “dalla nullità dell’atto di citazione, degli atti istruttori e dell’invito a dedurre non solo per genericità ed indeterminatezza della contestazione e degli atti prodromici e conseguenziali, ma perchè l’intera attività è viziata ab origine dall’illegittima ingerenza giurisdizionale nel merito dell’attività politica e amministrativa”, con violazione e falsa applicazione del R.D. n. 1038 del 1933, artt. 1 e 3.

Il ricorrente si duole che l’atto di citazione in giudizio fosse “carente di una specifica ed analitica contestazione sulle spese contestate”, nonostante le stesse fossero “munite di documentazione giustificativa, contabilizzate ed approvate dal Comitato Tecnico” per poi ottenere la “presa d’atto della regolarità di redazione” da parte dell’Ufficio di Presidenza dell’Assemblea legislativa ai sensi della L.R. n. 32 del 1997, artt. 11 e 12, così ingerendosi il giudice contabile in un ambito politico discrezionale riservato all’amministrazione ed esorbitando, quindi, dai limiti esterni della sua giurisdizione.

4. – Con il terzo mezzo è prospettata, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 1, in relazione all’art. 111 Cost. e del D.Lgs. n. 174 del 2016, art. 207 e con riferimento ai punti da 1 a 6 della sentenza impugnata, il difetto di giurisdizione della Corte dei Conti determinato “dalla nullità degli atti istruttori per inesistenza e/o inutilizzabilità e/o nullità degli stessi”, nonchè determinato “dalla nullità dell’invito a dedurre e della citazione per mancanza, nella notizia di danno, dei requisiti di specificità e concretezza e per omesso assolvimento dell’onere probatorio”, essendo gli addebiti e tutta la documentazione utilizzata e prodotta dalla Procura contabile non solo affetti da genericità, ma altresì “ricavati dagli esiti degli atti di controllo che erano stati illegittimamente assunti dalla Sezione regionale di controllo” ed annullati dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 130 del 2014.

5. – Con il quarto mezzo è denunciato, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 1, in relazione all’art. 111 Cost. e del D.Lgs. n. 174 del 2016, art. 207 e con riferimento al punto 4 della sentenza impugnata, il difetto di giurisdizione della Corte dei Conti “nascente dalla violazione art. 4 CEDU per l’esistenza di un doppio giudizio avente ad oggetto la doppia sanzione, amministrativa e penale”.

6. – Con il quinto mezzo è dedotta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 1, in relazione all’art. 111 Cost. e del D.Lgs. n. 174 del 2016, art. 207 e con riferimento ai punti da 3 a 3.4 e da 5.1 a 5.3 della sentenza impugnata, il difetto di giurisdizione della Corte dei Conti determinato: a) “dall’asserita responsabilità del consigliere regionale B. per violazione falsa applicazione della L.R. Emilia Romagna n. 32 del 1997, art. 5, comma 1, art. 10, comma 1, art. 9, comma 6 e della Delib. n. 131 del 2012, dell’ufficio di presidenza dell’assemblea legislativa della regione”; b) “dall’assoluta assenza dell’elemento materiale dell’illecito e o insussistenza della pretesa esorbitanza delle spese rendiconto ed alle finalità istituzionali dei gruppi consiliari”; c) “dall’erroneità della sentenza per eccesso di potere giurisdizionale per il tramite di valutazioni di merito riservata la valutazione politica ed amministrativa dell’assemblea regionale”.

Il ricorrente lamenta che il giudice contabile non abbia considerato che le spese contestate rientravano “a pieno titolo nelle “tipologie astratte” di spese identificate dalle disposizioni attuative per la rendicontazione dei Gruppi consiliari, adottate dall’Ufficio di Presidenza dell’Assemblea legislativa della Regione Emilia-Romagna”, avendo invece sindacato nel merito le scelte discrezionali della stessa amministrazione.

7. – Con il sesto mezzo è prospettata, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 1, in relazione all’art. 111 Cost. e del D.Lgs. n. 174 del 2016, art. 207 e con riferimento al punto 5.1 della sentenza impugnata, il difetto di giurisdizione della Corte dei Conti “nascente dalla violazione e falsa applicazione della L.R. Emilia Romagna n. 32 del 1997, art. 6, commi 2 e 4 e della Delib. n. 5 del 2012 e Delib. n. 131 del 2012 dell’ufficio di presidenza dell’assemblea legislativa della regione Emilia-Romagna, nonchè relativamente all’asserita responsabilità del consigliere regionale B. per omesso possesso di una lettera di incarico del gruppo autorizzativi dell’effettuazione delle spese”.

Il ricorrente sostiene che non sarebbe esistente “una norma che prevede un’autorizzazione del Gruppo al Consigliere… essendo tutte le spese giustificate in quanto riferibili all’attività istituzionale del Gruppo, e ratificate dal Presidente del Gruppo, dal Comitato Tecnico e dall’Ufficio di Presidenza”, con conseguente esorbitanza del giudice contabile dalla propria giurisdizione, esercitata in guisa di “sindacato ispettivo giurisdizionale” sconfinante “in un vero e proprio giudizio di merito sull’attività politica svolta dal singolo Consigliere”.

8. – Con il settimo mezzo è denunciata, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 1, in relazione all’art. 111 Cost. e del D.Lgs. n. 174 del 2016, art. 207 e con riferimento al punto 6 della sentenza impugnata, il difetto di giurisdizione della Corte dei Conti “nascente dall’inesistenza dell’elemento psicologico del dolo o della colpa grave in capo al consigliere B., nonchè violazione dell’art. 2697 c.c., in relazione all’omessa prova dell’elemento psicologico”.

9. – Con l’ottavo motivo è dedotta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 1, in relazione all’art. 111 Cost. e D.Lgs. n. 174 del 2016, art. 207 e con riferimento al punto 1 della sentenza n. 291/2018 e 1.b della sentenza-ordinanza n. 55/2018, il difetto di giurisdizione della Corte dei Conti “nascente dal travisamento del fatto concernente la doglianza difensiva in ordine alla lesione del diritto di difesa conseguente alla mancata consegna della documentazione richiesta”, che non sarebbe stata interamente prodotta in giudizio dalla Procura contabile, impedendo così all’incolpato di potersi difendere a fronte della pretesa di danno erariale.

10. – Il primo motivo è inammissibile a prescindere dalla stessa effettiva riconducibilità della dedotta fattispecie materiale ad ipotesi integrante mutamento non consentito del collegio nella fase di decisione della causa.

Ciò in quanto – come da principio già enunciato da queste Sezioni Unite in più di un’occasione (da ultimo, Cass., S.U., n. 9042/2019) – il vizio di costituzione del giudice si traduce in difetto di giurisdizione solo quando si abbia la mancata, regolare investitura dell’esercizio della giurisdizione, il che non si verifica in tutti i casi di errori in iudicando o in procedendo, siano essi pure di portata radicale, tenuto conto che soltanto le alterazioni della struttura qualitativa e quantitativa dell’organo giudicante implicano violazione dei limiti esterni della giurisdizione. Tra queste alterazioni non è ricompresa (così in termini: Cass., S.U., n. 2199/2005) quella che investe la regola della immutabilità del collegio in fase decisoria (art. 276 c.p.c., comma 1, cui corrisponde al D.Lgs. n. 174 del 2016, art. 101, comma 1, all. 1), tenuto conto, del resto, che la relativa violazione concreta un vizio che, in ogni caso, può essere fatto valere nei limiti e secondo le regole proprie dei mezzi di impugnazione, siccome riconducibile pur sempre nell’alveo dell’art. 161 c.p.c., comma 1 (Cass., S.U., n. 26938/2013), disposizione che trova piena corrispondenza al D.Lgs. n. 174 del 2016, art. 49, comma 1, all. 1, recante il codice di giustizia contabile.

11. – Il terzo e ottavo motivo sono inammissibili in quanto denunciano errores in procedendo, non inerenti all’essenza della giurisdizione o allo sconfinamento dei limiti esterni di essa, ma solo al modo in cui è stata esercitata.

Ciò anche per quanto attiene a quei vizi processuali (indicati in entrambi i motivi in esame) relativi a violazioni dei principi costituzionali del giusto processo, come quelli che ledono il contraddittorio tra le parti o la loro parità di fronte al giudice o, segnatamente, l’esercizio del diritto di difesa, riguardando, anch’essi, violazioni endoprocessuali rilevabili in ogni tipo di giudizio (Cass., S.U., n. 16165/2011).

Inoltre, con specifico riferimento alle doglianze veicolate con il terzo motivo, giova rammentare che la presenza di una “specifica e concreta notizia di danno” costituisce condizione di proponibilità dell’azione di responsabilità erariale, ai sensi del D.L. 1 luglio 2009, n. 78, art. 17, comma 30-ter, convertito, con modificazioni, nella L. 3 agosto 2009, n. 102. Ne consegue che le questioni concernenti la sussistenza di tale requisito non riguardano i limiti esterni della giurisdizione contabile, nè l’essenza stessa della suddetta funzione giurisdizionale, ma solo la sua modalità operativa, integrando, così, soltanto eventuali errores in procedendo o in iudicando, come tali afferenti i limiti interni della giurisdizione (Cass., S.U., n. 5490/2014; Cass., S.U., n. 20728/2012).

12. – Il quarto motivo è inammissibile.

La violazione del ne bis in idem attiene, più in generale, al profilo della proponibilità o proseguibilità della domanda per effetto di una precedente pronuncia del giudice penale (o civile), dovendo, quindi, considerarsi, nello specifico del giudizio contabile, che l’eventuale interferenza tra quest’ultimo e il giudizio penale (come pure il giudizio civile) pone esclusivamente un problema di proponibilità dell’azione di responsabilità erariale, essendo le giurisdizioni reciprocamente indipendenti nei loro profili istituzionali, anche in relazione allo stesso fatto materiale (Cass., S.U., n. 31107/2017; analogamente, Cass., S.U., n. 29082/2019 e Cass., S.U., n. 15490/2020). Sicchè, la denuncia di violazione del ne bis in idem si risolve nella prospettazione di un errore in iudicando, concernente i limiti interni della giurisdizione e non già, dunque, quelli esterni, rispetto al cui controllo soltanto è consentito il sindacato del giudice di legittimità.

13. – Il settimo motivo è inammissibile, poichè censura, all’evidenza, eventuali errores in iudicando del giudice contabile in ordine al riscontro degli elementi costitutivi della responsabilità amministrativa per danno erariale (nella specie, dell’elemento psicologico), ossia violazioni concernenti un ambito che attiene ai limiti interni dell’esercizio del potere giurisdizionale di detto giudice, come tale non sindacabile da questa Corte regolatrice.

14. – Il secondo e il quinto motivo, da esaminarsi congiuntamente, sono inammissibili.

14.1. – Occorre premettere che le doglianze svolte con il secondo motivo non si sovrappongono a quelle di cui allo scrutinato terzo motivo, poichè sono orientate, attraverso le denunciate violazioni endoprocessuali, a censurare l’ingerenza del giudice contabile nell’attività di natura politica discrezionale riservata ai Gruppi consiliari e non la violazione diretta delle regole del giudizio di responsabilità amministrativa.

14.2. – Ciò posto, questa Corte ha più volte affermato (Cass., S.U., n. 23257/2014; Cass., S.U., n. 8077/2015; Cass., S.U., n. 8570/2015; Cass., S.U., n. 8622/2015; Cass., S.U., n. 6895/2016; Cass., S.U., n. 21927/2018; Cass., S.U., n. 32618/2018; Cass., S.U., n. 1034/2019; Cass., S.U., n. 5589/2020) che la gestione dei fondi pubblici erogati ai gruppi partitici dei consigli regionali è soggetta alla giurisdizione della Corte dei Conti in materia di responsabilità erariale, sia perchè a tali gruppi – pur in presenza di elementi di natura privatistica connessi alla loro matrice partitica – va riconosciuta natura essenzialmente pubblicistica in relazione alla funzione strumentale al funzionamento dell’organo assembleare da essi svolta, sia in ragione dell’origine pubblica delle risorse e della definizione legale del loro scopo, e senza che rilevi il principio dell’insindacabilità di opinioni e voti ex art. 122 Cost., comma 4, non estensibile alla gestione dei contributo, attesa la natura derogatoria delle norme di immunità.

L’accertamento rimesso in tale ambito alla Corte dei Conti, affinchè non debordi dai limiti esterni imposti alla sua giurisdizione, non può investire l’attività politica del presidente del gruppo consiliare o le scelte di “merito” dal medesimo effettuate nell’esercizio del mandato, ma deve mantenersi nell’alveo di un giudizio di conformità alla legge dell’azione amministrativa (L. n. 20 del 1994, art. 1).

Pertanto, come precisato dalla citata Cass., S.U., n. 32618/2018, in siffatto alveo – e, dunque, nei limiti interni della giurisdizione contabile rimane la verifica di difformità, compiuta dalla Corte dei conti, delle attività di gestione del contributo erogato al gruppo consiliare rispetto alle finalità, di preminente interesse pubblico, che allo stesso imprime la normativa vigente, così da potersi svolgere in termini di congruità delle singole voci di spesa ammesse al rimborso con riferimento a criteri oggettivi di conformità e di collegamento teleologico con i predetti fini, secondo quanto imposto dal quadro normativo di riferimento.

14.2.1. – Una tale verifica è quella che ha compiuto il giudice contabile con la sentenza impugnata in questa sede (cfr. sintesi al p. 2.2. del “Ritenuto che”), evidenziando che, all’esito del necessario riscontro in base alla documentazione giustificativa dell’esborso, la maggior parte delle spese non erano rimborsabili in ragione dell’assenza del collegamento funzionale con l’attività del Gruppo consiliare.

La valutazione operata, nella specie, dalla Corte dei Conti non ha avuto ad oggetto il “merito” delle spese effettuate – ossia un controllo volto a sindacarne la loro utilità od opportunità -, bensì unicamente la giustificazione della spesa tramite adeguata documentazione della stessa e, quindi, il piano dimostrativo di quel rapporto di correlazione tra spesa medesima e finalità per la quale, normativamente, il contributo viene erogato, che si colloca all’interno dell’anzidetto giudizio di congruità (parametrato a criteri oggettivi), costituendone, anzi, il presupposto affinchè il giudizio stesso possa essere espresso.

Pertanto, l’eventuale errore commesso dal giudice contabile nel concreto svolgersi dell’anzidetta verifica è da ascriversi, semmai, a violazioni di legge, sostanziale o processuale, concernenti soltanto il modo d’esercizio della giurisdizione speciale e non inerenti all’essenza della giurisdizione o allo sconfinamento dai limiti esterni di essa (tra le molte, Cass., S.U., n. 17660/2013; Cass., S.U., n. 12497/2017).

14.2.2. – Le argomentazioni svolte dal ricorrente circa l’asserito vulnus alle prerogative del Consiglio regionale, per essere oggetto di autodichia la verifica delle spese dei gruppi consiliari in base alla L.R. n. 32 del 1997, art. 1, comma 5 (nella formulazione precedente alla modifica recata dalla L.R. n. 17 del 2012), non colgono nel segno e non sono tali, dunque, da scalfire i rilievi che precedono.

A tal riguardo, come queste Sezioni Unite hanno già avuto modo di evidenziare (cfr. le citate Cass., S.U., n. 1034/2019 e Cass., S.U., n. 5589/2020), la Corte costituzionale con la sentenza n. 235 del 2015 ha ribadito – proprio a fronte di analoga doglianza mossa dalla Regione Emilia-Romagna in sede di giudizio per conflitto di attribuzione contro il Presidente del Consiglio dei ministri sorto a seguito di atti di citazione emessi dalla Procura regionale nei confronti dei capigruppo e di alcuni consiglieri regionali – che, in ordine alla gestione delle somme erogate a titolo di contributi pubblici ai gruppi consiliari, i capigruppo dei Consigli regionali e tutti i consiglieri regionali, anche se sottratti alla giurisdizione di conto, restano assoggettati alla responsabilità amministrativa e contabile (oltre che penale, ricorrendone i presupposti).

Conclusione, questa, che resta ferma anche in presenza della disciplina recata dalla citata L.R. n. 32 del 1997 e, quindi, dell’intervenuta approvazione dei rendiconti da parte del comitato tecnico (quand’anche composto da consiglieri regionali) o dall’Ufficio di Presidenza, poichè il voto dato in tali sedi rappresenta una ratifica formale di spese già effettuate dai gruppi e non già un atto deliberativo che ne costituisce ex ante il titolo giustificativo.

Opinare diversamente – si afferma ancora nella sent. n. 235 del 2015 – condurrebbe “al risultato abnorme, e senza dubbio contrario alla natura eccezionale della guarentigia di cui all’art. 122 Cost., comma 4, di delineare un’area di totale irresponsabilità civile, contabile e penale in favore dei consiglieri regionali”, peraltro venendo a configurare, “in maniera paradossale e del tutto ingiustificata, una tutela della insindacabilità delle opinioni dei consiglieri regionali più ampia di quella apprestata relativamente a quelle dei parlamentari nazionali”, in contrasto “sia con il principio di responsabilità per gli atti compiuti, che informa l’attività amministrativa (artt. 28 e 113 Cost.), sia con il principio che riserva alla legge dello Stato la determinazione dei presupposti (positivi e negativi) della responsabilità penale (art. 25 Cost.)”.

Principi, questi, che trovano piena conferma anche nella più recente sentenza n. 43 del 2019 della stessa Corte costituzionale, che – in un conflitto di attribuzioni promosso sempre dalla Regione Emilia-Romagna a seguito della citazione di taluni consiglieri regionali da parte della Procura regionale presso la Corte dei conti per rispondere di danno erariale a seguito dell’adozione di alcune delibere dell’Ufficio di Presidenza del Consiglio regionale aventi ad oggetto il conferimento dell’incarico di Capo di Gabinetto del Presidente del Consiglio regionale – ha ribadito che “le delibere dell’Ufficio di Presidenza del Consiglio, quando hanno natura di atti di autorganizzazione del Consiglio, direttamente incidenti sull’attività legislativa di quest’ultimo, sono presidiati dalla garanzia costituzionale dell’autonomia della potestà organizzativa di supporto all’attività legislativa del Consiglio stesso. Quando, invece, hanno natura di atti amministrativi estranei, o comunque non strettamente coessenziali, all’organizzazione dell’attività legislativa del Consiglio, si collocano all’esterno di tale autonomia costituzionalmente garantita, pur costituendo legittimo esercizio di un potere. Tale è, in particolare, l’attività di gestione delle risorse finanziarie, che “resta assoggettata alla ordinaria giurisdizione di responsabilità civile, penale e contabile” (sentenze n. 235 del 2015 e n. 292 del 2001)”.

15. – Il sesto motivo è inammissibile.

E’ chiaramente implausibile – come già messo in risalto da questa Corte (Cass., S.U., 27 giugno 2018, n. 16957, Cass., S.U., 31 ottobre 2018, n. 27755, Cass. S.U., n. 1034/2019, cit. e Cass., S.U., n. 5589/2020) – il tentativo di configurare un eccesso di potere giurisdizionale (ai danni del legislatore) rinvenendolo in una attività di individuazione interpretativa. Evenienza, questa, che è affatto da escludere le volte in cui il giudice speciale od ordinario individui una regula juris facendo uso dei suoi poteri di rinvenimento della norma applicabile attraverso la consueta attività di interpretazione anche analogica del quadro delle norme (tra le tante, Cass., S.U., 10 settembre 2013, n. 20698; Cass., S.U., 23 dicembre 2014, n. 27341).

In linea di principio, infatti, l’interpretazione della legge (e perfino la sua disapplicazione) non trasmoda di per sè in eccesso di potere giurisdizionale, perchè essa rappresenta il proprium della funzione giurisdizionale e non può, dunque, integrare di per sè sola la violazione dei limiti esterni della giurisdizione da parte del giudice amministrativo, così da giustificare il ricorso previsto dall’art. 111 Cost., comma 8, tranne i soli casi di un radicale stravolgimento delle norme o dell’applicazione di una norma creata ad hoc dal giudice speciale (Cass., S.U., 31 maggio 2016, n. 11380; Cass., S.U., 21 febbraio 2017, n. 4395; Cass., S.U., 5 giugno 2018, n. 14437; Cass., S.U., 30 luglio 2018, n. 20169).

Il che non ricorre allorquando il giudice speciale si sia attenuto al compito interpretativo che gli è proprio, ricercando la voluntas legis applicabile nel caso concreto, anche se questa abbia desunto non dal tenore letterale delle singole disposizioni, ma dalla ratio che esprime il loro coordinamento sistematico, potendo dare luogo, tale operazione, tutt’al più, ad un error in iudicando, non alla violazione dei limiti esterni della giurisdizione speciale (Cass., S.U., 12 dicembre 2012, n. 22784; Cass., S.U., 5 settembre 2013, n. 20360).

15.1. – Violazione dei limiti esterni che, dunque, non è affatto riscontrabile nella lettura fornita dal giudice contabile, con la sentenza impugnata in questa sede (cfr. p. 2.2., e) ed f) del “Ritenuto che”), della disciplina di legge regionale concernente i contributi da utilizzarsi “per il funzionamento e le attività dei gruppi consiliari” (L.R. n. 32 del 1997, art. 6), essendo questa orientata pur sempre a porre in risalto la necessità di una dimostrazione della correlazione della spesa sostenuta con la finalità perseguita, ossia al rapporto di “inerenza” della prima con la seconda.

In questa prospettiva il giudice contabile ha fatto riferimento, dunque, alla necessità di “incarico… sia pure attribuito in forma libera” (e, dunque, non imponendosi quella di una “lettera”), tanto da poter essere surrogato, ove risultasse “non documentabile” la spesa, da “attestazione motivata del Presidente del Gruppo”, dovendosi assumere il riferimento all’incarico” come “indicatore della riconducibilità della spesa all’attività del Gruppo consiliare”, evidenziando, quindi, in coerenza con la premessa ermeneutica, la mancata dimostrazione da parte B. del “collegamento funzionale” tra la maggior parte delle spese e l’attività del Gruppo consiliare di appartenenza.

16. – Il ricorso va, dunque, dichiarato inammissibile.

La natura di parte soltanto formale che riveste il Procuratore generale presso la Corte dei Conti, in ragione della sua posizione istituzionale – di organo propulsore dell’attività giurisdizionale dinanzi alla Corte dei Conti, al quale sono attribuiti poteri esercitati per dovere d’ufficio e nell’interesse pubblico, partecipando al giudizio non come esponente di un’amministrazione, ma quale portatore dell’interesse generale dell’ordinamento giuridico – esclude l’ammissibilità di una pronuncia sulle spese processuali (cfr. tra le tante, Cass., S.U., 2 aprile 2003, n. 5105; Cass., S.U., 8 maggio 2017, n. 11139; Cass., S.U., 30 aprile 2019, n. 11502).

Nè occorre provvedere alla regolamentazione delle spese del giudizio di legittimità nei confronti dell’intimato che non ha svolto attività difensiva in questa sede.

P.Q.M.

dichiara inammissibile il ricorso.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del citato art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezioni Unite Civili della Corte Suprema di Cassazione, il 21 luglio 2020.

Depositato in Cancelleria il 15 settembre 2020

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