Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19174 del 02/08/2017

Cassazione civile, sez. trib., 02/08/2017, (ud. 20/01/2017, dep.02/08/2017),  n. 19174

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIRGILIO Biagio – Presidente –

Dott. GRECO Antonio – Consigliere –

Dott. LOCATELLI Giuseppe – Consigliere –

Dott. ESPOSITO Antonio Francesco – rel. Consigliere –

Dott. LA TORRE Maria Enza – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 20635-2011 proposto da:

S.P., elettivamente domiciliato in ROMA VIALE GIULIO CESARE

21, presso lo studio dell’avvocato FRANCESCO MALATESTA, che lo

rappresenta e difende giusta delega in calce;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12, presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende;

– controricorrente –

e contro

AGENZIA DELLE ENTRATE UFFICIO DI LATINA;

– intimato –

avverso la sentenza n. 30/2011 della COMM.TRIB.REG. del LAZIO

SEZ.DIST. di LATINA, depositata il 07/02/2011;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

20/01/2017 dal Consigliere Dott. ANTONIO FRANCESCO ESPOSITO;

udito per il ricorrente l’Avvocato FELICE SIBILIA per delega

dell’Avvocato MALATESTA che si riporta agli atti;

udito per il controricorrente l’Avvocato GAROFOLI che si riporta agli

atti;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SORRENTINO Federico, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con avviso di accertamento notificato il 17 maggio 2004 l’Agenzia delle entrate, Ufficio di Latina, a seguito di processo verbale di constatazione redatto dalla Guardia di Finanza, rettificava la dichiarazione dei redditi presentata per l’anno 1998 da S.P., accertando maggior reddito d’impresa e, conseguentemente, maggiori imposte IRPEF, IRAP ed IVA.

2. Avverso l’atto impositivo il contribuente proponeva ricorso dinanzi alla C.T.P. di Latina, che lo accoglieva. La sentenza era confermata dal giudice di appello.

3. La Corte di cassazione, adita dall’Ufficio, annullava la decisione della C.T.R., con rinvio ad altra sezione della commissione tributaria.

4. Con sentenza del 7 febbraio 2011 la C.T.R. del Lazio, sezione staccata di Latina, in accoglimento dell’appello dell’Ufficio, dichiarava legittimo l’avviso di accertamento impugnato.

5. Avverso detta pronuncia il contribuente propone ricorso per cassazione, affidato a sei motivi.

6. Resiste con controricorso l’Agenzia delle entrate.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo – rubricato “Insufficienza, omissione e/o contraddittorietà della motivazione posta a fondamento della sentenza impugnata, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5; errore in procedendo ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 per aver disatteso il decisum dell’ordinanza di rinvio della Cassazione” – il ricorrente censura, anzitutto, la sentenza impugnata per essere il giudice del rinvio contraddittoriamente pervenuto alla riforma della decisione favorevole al contribuente, pur rilevando la sussistenza di una “evidente incongruenza”.

La doglianza è priva di fondamento, in quanto non tiene conto che l’incongruenza rilevata dalla C.T.R. non è riferita all’Ufficio, bensì al contribuente, il quale nel ricorso introduttivo del giudizio si era limitato a dedurre la nullità dell’avviso di accertamento in quanto derivante da un atto illegittimo (l’autorizzazione della Procura della Repubblica) e ad affermare la regolarità delle scritture contabili.

Lamenta, inoltre, il ricorrente l’omessa o insufficiente motivazione della sentenza impugnata per avere la C.T.R. acriticamente recepito uno stralcio dell’atto impositivo, disattendendo il principio di diritto enunciato dalla Corte di cassazione.

Anche tale profilo di censura è infondato.

Ed invero, la C.T.R., a seguito della pronuncia di annullamento della Corte di Cassazione per vizio di motivazione, ha espresso, in modo sufficientemente adeguato, le ragioni della decisione, rilevando la discrasia esistente tra le argomentazioni svolte dal contribuente e le ragioni poste a fondamento dell’accoglimento del ricorso introduttivo, l’assoluta infondatezza dell’asserita illegittimità dell’autorizzazione della Procura della Repubblica, l’assolvimento dell’onere della prova da parte dell’Ufficio mediante la produzione della nota relativa alla suddetta autorizzazione, da cui emergeva che il contribuente risultava “sistematicamente negli anni a credito: dalle dichiarazioni presentate, lo stesso risulta titolare di un reddito di circa cento milioni a fronte di un volume di affari di ben 2,5 miliardi”.

2. Con il secondo motivo si deduce “Violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 52, comma 2 e art. 63, comma 3, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3”, per non avere la C.T.R. dichiarato l’atto di appello/riassunzione inammissibile perchè privo dell’autorizzazione prevista dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 52, comma 2.

Il motivo è infondato.

Sul punto è sufficiente richiamare la pacifica giurisprudenza di questa Corte secondo cui il D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 52, comma 20, in base al quale gli uffici periferici del dipartimento delle entrate del Ministero delle finanze e gli uffici del territorio devono essere previamente autorizzati alla proposizione dell’appello principale, rispettivamente, dal responsabile del servizio del contenzioso della competente direzione generale delle entrate e dal responsabile del servizio del contenzioso della competente direzione compartimentale del territorio, non è più suscettibile di applicazione una volta divenuta operativa, in forza del D.M. 28 dicembre 2000, la disciplina recata dal D.Lgs. 30 luglio 1999, n. 300, art. 57 che ha istituito le agenzie fiscali, attribuendo ad esse la gestione della generalità delle funzioni in precedenza esercitate dai dipartimenti e dagli uffici del ministero delle finanze, e trasferendo alle medesime i relativi rapporti giuridici, poteri e competenze, da esercitarsi secondo la disciplina dell’organizzazione interna di ciascuna agenzia; a seguito della soppressione di tutti gli uffici ed organi ministeriali ai quali fa riferimento il cit. D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 52, comma 20, quindi, da tale norma non possono farsi discendere condizionamenti al diritto delle agenzie fiscali di appellare le sentenze ad esse sfavorevoli delle commissioni tributarie provinciali (ex multis, Cass. civ., sez. trib., 02-07-2014, n. 15020).

3. Con il terzo motivo si deduce “Violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 22, comma 3, espressamente richiamato dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 53, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3”, per non avere la C.T.R. dichiarato l’atto di appello/riassunzione inammissibile perchè privo della dichiarazione di conformità D.Lgs. n. 546 del 1992, ex art. 22.

La censura è infondata, posto che il D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 22, comma 30, – richiamato, per il giudizio di appello, dall’art. 53 – che disciplina il deposito in segreteria della commissione tributaria adita della copia del ricorso mediante consegna o spedizione a mezzo dei servizio postale, va interpretato nel senso che costituisce causa di inammissibilità non la mancata attestazione, da parte dell’appellante, della conformità tra il documento depositato ed il documento notificato, ma solo la loro effettiva difformità, accertata d’ufficio dal giudice in caso di detta mancanza (Cass., sez. trib., 22-02-2008, n. 4615; nello stesso senso, Cass., sez. trib., 2201-2010, n. 1174; Cass., sez. trib., 15-03-2017, n. 6677).

4. Il quarto motivo – rubricato “Insufficienza, omissione e/o contraddittorietà della motivazione posta a fondamento della sentenza impugnata, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5; errore in procedendo ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 per aver disatteso il decisum dell’ordinanza di rinvio della Cassazione” – è infondato, in quanto con tale mezzo il ricorrente ripropone, sotto il profilo del vizio di motivazione, le medesime censure formulate sotto il profilo della violazione di legge con il secondo e terzo motivo e disattese sulla base delle argomentazioni innanzi espresse.

5. Con il quinto motivo si deduce “Violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, artt. 32 e 58 ed art. 2697 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3”. Sostiene il ricorrente che l’Ufficio non aveva assolto all’onere probatorio sullo stesso gravante, provvedendo al deposito di documenti solo nel giudizio di appello e in sede di rinvio, documenti di cui la C.T.R. non avrebbe dovuto tener conto, perchè irritualmente prodotti.

La censura è infondata, in quanto la documentazione posta a base della decisione è stata ritualmente prodotta dall’Ufficio in appello, in conformità del disposto dal D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 58, rubricato “Nuove prove in appello”, che al comma 2 prevede che “E’ fatta salva la facoltà delle parti di produrre nuovi documenti”.

6. Con il sesto motivo si deduce “Violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 56 ed art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c,. comma 1, n. 3”, per non avere l’Ufficio riproposto, in sede di appello avverso la sentenza della commissione tributaria provinciale, le contestazioni svolte sulla produzione documentale effettuata dal contribuente e, segnatamente, sull’elenco degli scontrini fiscali depositati in allegato al ricorso introduttivo.

Il motivo è infondato.

Va al riguardo richiamato il principio di diritto secondo cui il D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 56, nel prevedere che le questioni e le eccezioni non accolte in primo grado, e non specificamente proposte in appello, si intendono rinunciate, fa riferimento – come il corrispondente art. 346 c.p.c. – all’appellato, e non all’appellante (in termini, Cass. civ., sez. 6, 26-05-2016, n. 10906).

7. In conclusione, il ricorso deve essere rigettato.

Le spese del giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

PQM

 

rigetta il ricorso.

Condanna il ricorrente al pagamento, in favore dell’Agenzia delle entrate, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 3.500,00 per compensi, oltre alle spese prenotate a debito.

Così deciso in Roma, il 9 febbraio 2017.

Depositato in Cancelleria il 2 agosto 2017

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