Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19168 del 15/09/2020

Cassazione civile sez. un., 15/09/2020, (ud. 21/07/2020, dep. 15/09/2020), n.19168

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONI UNITE CIVILI

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Primo Presidente f.f. –

Dott. MANNA Antonio – Presidente di Sez. –

Dott. TORRICE Amelia – rel. Consigliere –

Dott. DE STEFANO Franco – Consigliere –

Dott. VALITUTTI Antonio – Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –

Dott. COSENTINO Antonello – Consigliere –

Dott. LAMORGESE Antonio Pietro – Consigliere –

Dott. GRASSO Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 4793/2019 proposto da:

D.L.L., + ALTRI OMESSI, elettivamente domiciliati in

ROMA, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentati

e difesi dall’avvocato MARIO RONDINELLI;

– ricorrenti –

contro

MINISTERO DEI BENI E DELLE ATTIVITA’ CULTURALI E DEL TURISMO, in

persona del Ministro pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA,

VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 3897/2018 del CONSIGLIO DI STATO, depositata

il 25/06/2018.

Udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

21/07/2020 dal Consigliere Dott. AMELIA TORRICE;

lette le conclusioni scritte del Sostituto Procuratore Generale Dott.

LUCIO CAPASSO, il quale conclude chiedendo dichiararsi

l’inammissibilità del proposto ricorso.

 

Fatto

RILEVATO

1. che il TAR del Lazio con la sentenza n. 11476 del 2017 aveva rigettato il ricorso proposto dagli odierni ricorrenti volto all’accertamento dell’obbligo del Ministero dei Beni e delle Attività Culturali (anche MIBACT di seguito) di concludere il procedimento avviato con la nota ministeriale del 23 marzo 2016 relativo alla utilizzazione della graduatoria di precedente concorso per il passaggio verticale dall’ex area B all’area C1, alla quale avevano dedotto di avere partecipato;

2. che con la sentenza del 25 giugno 2018 n. 3897, il Consiglio di Stato ha rilevato che il TAR aveva ritenuto che la pretesa dei ricorrenti non aveva alcun fondamento legale ed era, anzi, preclusa del D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165, art. 52, comma 1 bis (nel testo introdotto dal D.Lgs. 27 ottobre 2009, n. 150, art. 62, comma 1;

3. che il Consiglio di Stato, affermata la giurisdizione del giudice amministrativo in quanto la controversia verteva su concorsi interni indetti per il passaggio di dipendenti tra aree diverse, ha respinto l’appello sulla scorta delle argomentazioni motivazionali che seguono:

4. l’appello mirava non tanto a far rilevare un’inerzia del MIBACT sulla diffida a suo tempo presentata in sede amministrativa, bensì ad ottenere il passaggio degli appellanti all’area superiore, cosa che essi non potevano ottenere;

5. la statuizione del TAR, che aveva escluso l’esistenza di una norma vigente che imponeva al MIBACT o ad altre Amministrazioni di coprire o meno i posti a suo tempo sottoposti a procedura riservata nel 2007, era corretta in virtù del divieto imposto dal D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 51 (“recte” art. 52), comma 1-bis (nel testo risultante dalle modifiche introdotte del D.Lgs. 27 ottobre 2009, n. 150, art. 62, comma 1), in quanto la progressione dei pubblici dipendenti tra le Aree può avvenire solo in base ad un concorso pubblico, con riserva di posti al personale interno fino al massimo del 50% di quelli messi a disposizione;

6. siffatto divieto escludeva l’obbligo in capo al Ministero di attivare un “procedimento” in relazione all’atto di diffida proposto dagli appellanti e di provvedervi di conseguenza, “non esistendo nè situazioni soggettive tutelabilì – fin dal 2009 – a favore degli odierni appellanti (quindi ben prima della approvazione, tra il luglio 2010 ed il dicembre 2012, delle prime graduatorie inerenti al passaggio tra le Aree), nè la necessità giuridica di dover coprire vacanze organiche con modalità extra ordinem e, quindi, non si era formato neppure un silenzio azionabile col rito ex art. 117 c.p.a.”;

7. la sussistenza di un divieto ex lege rendeva irrilevante la nota ministeriale n. 7121/2016, con la quale il MIBACT aveva manifestato l’intenzione di utilizzare le ancora aperte graduatorie dei passaggi tra le aree (subordinatamente al consenso del MEF e del DFP) e privava di presupposto giuridico la qualificazione dell’inerzia di tali Amministrazioni quale forma di silenzio della L. n. 241 del 1990, ex art. 17-bis, comma 3;

8. il divieto non era stato superato dal D.Lgs. n. 75 del 2017, art. 22, comma 15, in quanto tale disposizione aveva concesso alle Amministrazioni, per valorizzare le professionalità interne, la facoltà nell’an e, comunque, nei limiti delle vigenti possibilità di assunzioni, di attivare, procedure selettive per la progressione tra le aree riservate al personale di ruolo;

9. quand’anche il MIBACT volesse attivare siffatte procedure, nondimeno non vi sarebbe alcun automatico utilizzo di pregresse graduatorie ma, al più, il riconoscimento di queste ultime quale titolo rilevante ai fini della “…attribuzione dei posti riservati per l’accesso all’area superiore” e semprechè gli interessati “poi, superino le prove volte ad accertare la capacità dei candidati di utilizzare e applicare nozioni teoriche per la soluzione di problemi specifici e casi concreti”; comunque il medesimo “jus superveniens” rinviava ad un apprezzamento discrezionale e organizzativo della stessa Amministrazione;

10. era irrilevante che il MIBACT non avesse formulato difese in primo grado (e nemmeno in sede di appello), perchè, nel processo amministrativo non ha rilievo l’assenza di difese dell’Amministrazione intimata e perchè conta l’assenza d’un titolo lecito per l’utilizzo delle graduatorie e la mera facoltà riconosciuta alla P.A. ad attivare i percorsi di qualificazione del D.Lgs. n. 75 del 2017, ex art. 22, comma 15;

11. che avverso la sentenza del Consiglio di Stato i ricorrenti indicati in epigrafe hanno proposto ricorso per cassazione affidato ad un unico motivo, al quale ha resistito con controricorso il Ministero dei Beni e delle Attività culturali e del Turismo;

12. che il ricorso era stato avviato alla trattazione in Camera di consiglio per l’Adunanza del 17.3.2020, sulla base delle conclusioni scritte del Pubblico Ministero, ai sensi dell’art. 380-ter c.p.c., il quale aveva chiesto che si dichiarasse l’inammissibilità del ricorso sul rilievo dell’esistenza del giudicato interno sulla questione di giurisdizione;

13. che successivamente alla soppressione dell’Adunanza Camerale del 17.3.2020, disposta dal Primo Presidente con provvedimento in data 10.3.2020 ai sensi del D.L. 8 marzo 2020, n. 11, art. 1, comma 1, il ricorso è stato avviato alla trattazione in Camera di Consiglio per l’odierna Adunanza Camerale.

Diritto

CONSIDERATO

14. che in via preliminare deve essere disattesa l’eccezione di inammissibilità del ricorso formulata dal Pubblico Ministero nelle conclusioni scritte sul rilievo dell’esistenza di un giudicato interno sulla giurisdizione;

15. che queste Sezioni Unite hanno affermato di recente (Cass. Sez. Un. 13 maggio 2020, n. 13436, Cass. Sez. Un. 3 maggio 2020 n. 8846; Cass. Sez. Un. 9 aprile 2020 n. 7764; Cass. Sez. Un. 6 marzo 2020 n. 6462; Cass. Sez. Un. 5 aprile 2019 n. 9680; Cass. Sez. Un. 11 gennaio 2019 n. 543; Cass. Sez. Un. 16 gennaio 2019 n. 1034) che per potersi configurare il giudicato anche implicito “è necessaria l’esistenza, nella sentenza di primo grado, di un capo autonomo sulla giurisdizione impugnabile, ma non impugnato in appello”; tale situazione non sussiste in relazione ad una sentenza “che sia, astrattamente, affetta da vizio di eccesso di potere giurisdizionale”, perchè all’interno del plesso giurisdizionale tanto della Corte dei conti come del Consiglio di Stato, l’eccesso di potere che si sia determinato, in ipotesi, nel giudizio di primo grado dovrà essere corretto con l’esperimento delle relative impugnazioni, con la conseguenza che la parte lesa da tale eccesso di potere non è interessata a dolersene con un apposito motivo, posto che essa è tenuta semplicemente a proporre l’appello;

16. che è stato precisato che “l’interesse a coinvolgere le Sezioni Unite potrà sorgere esclusivamente rispetto alla sentenza d’appello che, essendo espressione dell’organo di vertice del relativo plesso giurisdizionale speciale, è anche la sola suscettibile di arrecare un vulnus all’integrità della sfera delle attribuzioni degli altri poteri, dell’amministrazione e del legislatore”;

17. che sulla scorta dei principi innanzi richiamati, ai quali va data continuità, deve essere nella specie esclusa, in relazione all’eccesso di potere giurisdizionale, la configurabilità di un giudicato interno che precluda l’impugnazione della sentenza in esame davanti a queste Sezioni Unite;

18. che ciò non esclude che la inammissibilità del ricorso possa essere predicato per altre ragioni;

19. che i ricorrenti con l’unico motivo di ricorso denunciano “eccesso di potere giurisdizionale del Consiglio di Stato e invasione nelle competenze di altri poteri” e chiedono che la sentenza impugnata “sia cassata con rinvio per un nuovo esame nel merito” ovvero che la sentenza impugnata sia cassata con accoglimento delle richieste “con ogni consequenziale statuizione ed emettendo ogni altro conseguente provvedimento”;

20. che essi, precisato che la normativa applicabile alla fattispecie dedotta in giudizio “è inequivocabilmente diretta a considerare i ricorrenti, vincitori del concorso interno indicato in premesse, quali soggetti che hanno acquisito il diritto alla progressione di carriera”, sostengono che: l’interpretazione contraria contenuta nella sentenza impugnata configura un “eccesso di potere, per avere il Consiglio di Stato esercitato la propria giurisdizione nella sfera di competenza riservata al legislatore”; le norme vigenti da applicare sono solo quelle vigenti al momento del bando e non le norme entrate in vigore successivamente, sicchè “l’affermazione della assenza di una norma che imponga lo scorrimento della graduatoria indicata dal C.d.S. si pone in contrasto con una vasta gamma legislativa che invece stabilisce l’esatto contrario”;

21. che i ricorrenti, dopo avere dedotto che la decisione di effettuare lo scorrimento delle graduatorie e di coprire i posti vacanti durante l’ordinaria vigenza delle graduatorie era stata adottata nei bandi stessi e comunque prima del 31.12.2009, invocano una serie di disposizioni (la L. 23 dicembre 2014, n. 190, art. 1, comma 269, che, quanto all’Agenzia delle Dogane, aveva consentito per l’anno 2015 lo scorrimento delle graduatorie verticali già indette, la L. n. 125 del 2013, L. n. 232 del 2016, art. 1, comma 368, D.L. n. 216 del 2011, art. 1, comma 4, convertito dalla L. 24 febbraio 2012, L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 388) per affermare che il legislatore ha disposto la perdurante validità delle graduatorie anche in relazione alle progressioni verticali, senza porre alcuna distinzione tra concorsi “interni” e concorsi “esterni”;

22. che i ricorrenti asseriscono che: se il bando di concorso prevede lo scorrimento della graduatoria, il lavoratore collocato in posizione utile ha diritto all’assunzione; la pubblicazione del bando che contenga tutti gli elementi essenziali (tra cui il numero dei posti messi a concorso) consolida il diritto del vincitore del concorso di ricoprire la posizione disponibile, “non disconoscibile alla stregua della natura del bando, nè espropriabile per effetto di diversa successiva disposizione generale”; non trova applicazione del D.Lgs. n. 150 del 2009, art. 24, perchè i bandi sono stati pubblicati prima dell’entrata in vigore del decreto e non ha rilievo la circostanza che le graduatorie siano state inapprovate successivamente alla vigenza di tale D.Lgs., in quanto la graduatoria costituisce “atto integrativo dell’efficacia del bando” e mira ad “esplicitare e formalizzare la situazione di fatto e di diritto risultante dall’applicazione delle clausole del bando”; il Ministero aveva “inoltrato richieste al dipartimento della Funzione Pubblica a marzo del 2016 e a marzo 2018” ed aveva “chiaramente manifestato la volontà di ricorrere allo scorrimento della graduatoria per coprire i posti vacanti nella II Area”;

23. che i ricorrenti invocano la sentenza di queste Sezioni Unite 12 novembre 2012 n. 19595 e sostengono che “il fenomeno dell’esaurimento delle graduatorie consente la stipulazione del contratto di lavoro con candidati risultati idonei e non vincitori in forza di eventi successivi alla definizione del procedimento concorsuale con l’approvazione della graduatoria” e che una volta che il bando di concorso abbia previsto lo scorrimento della graduatoria fino ad esaurimento dei posti messi a concorso e l’Amministrazione abbia deciso di coprire il posto non assegnato utilizzando la graduatoria, “la pubblica Amministrazione è obbligata a provvedervi”; asseriscono che la L. n. 507 del 1993, art. 3, comma 22 e della L. 127 del 1997, art. 6, comma 21, sono preordinati, in attuazione dei principi di economicità, efficienza ed efficacia dell’azione amministrativa, di cui all’art. 97 Cost., L. n. 241 del 1990, art. 1, ad offrire uno strumento che consenta di individuare immediatamente il soggetto da assumere, rispettando ad un tempo la regola della scelta mediate pubblico concorso;

24. che il ricorso è inammissibile;

25. che queste Sezioni Unite hanno affermato reiteratamente che l’eccesso di potere denunziabile con ricorso per cassazione per motivi attinenti alla giurisdizione va riferito alle sole ipotesi di difetto assoluto di giurisdizione (che si verifica quando un giudice speciale affermi la propria giurisdizione nella sfera riservata al legislatore o alla discrezionalità amministrativa, ovvero, al contrario, la neghi sull’erroneo presupposto che la materia non possa formare oggetto in assoluto di cognizione giurisdizionale) o di difetto relativo di giurisdizione (riscontrabile quando detto giudice abbia violato i c.d. limiti esterni della propria giurisdizione, pronunciandosi su materia attribuita alla giurisdizione ordinaria o ad altra giurisdizione speciale, ovvero negandola sull’erroneo presupposto che appartenga ad altri giudici);

26. che è stato precisato, in coerenza con la nozione posta da Corte Cost. 5 dicembre 2018 n. 6, che siffatto vizio non è configurabile in relazione ad “errores in procedendo”, i quali non investono la sussistenza e i limiti esterni del potere giurisdizionale del giudice amministrativo e dei giudici speciali, bensì solo la legittimità dell’esercizio del potere medesimo (tra le più recentì, Cass., Sez. Un., 10 settembre 2019 n. 22569; Cass., Sez. Un.,

6 luglio 2019 n. 18079; Cass., Sez. Un., 20 marzo 2019 n. 7926);

27. che tanto vale quale che sia la gravità della violazione, anche ove essa attinga alla soglia del c.d. stravolgimento delle norme di riferimento, sostanziali o processuali, applicate (Corte Cost., sent. 5 dicembre 2018 n. 6, cit.), con la precisazione che il controllo del limite esterno della giurisdizione, che l’art. 111 Cost., comma 8, affida alla Corte di cassazione, non include il sindacato sulle scelte ermeneutiche del giudice amministrativo, suscettibili di comportare errori “in iudicando” o “in procedendo” per contrasto con il diritto dell’Unione Europea, salva l’ipotesi, “estrema”, in cui l’errore si sia tradotto in una interpretazione delle norme Europee di riferimento in contrasto con quelle fornite dalla Corte di Giustizia Europea, sì da precludere l’accesso alla tutela giurisdizionale dinanzi al giudice amministrativo (Cass., Sez. Un., 10 maggio 2019 n. 12586, Cass., Sez. Un., 6 febbraio 2015 n. 2242);

28. che va ribadito in questa sede che la mancata o inesatta applicazione di una norma di legge da parte del giudice amministrativo integra al più un “error in iudicando” ma non dà luogo alla creazione di una norma inesistente, comportante un’invasione della sfera di attribuzione del potere legislativo (Cass., Sez. U. 5 novembre 2019 n. 31754; Cass. Sez. Un. 27 giugno 2018 n. 16974);

29. che ai principi affermati nelle sentenze sopra richiamate va data continuità perchè il Collegio condivide le argomentazioni esposte in tali sentenze, da intendersi qui richiamate ex art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4 e art. 118 disp. att. c.p.c.;

30. che nel caso in esame l’assunto dei ricorrenti, secondo il quale il giudice amministrativo avrebbe invaso la sfera di attribuzioni proprie del legislatore, creando una norma di nuovo conio laddove nessuna corrispondente disposizioni di legge sussisterebbe, non trova alcun riscontro nella motivazione della sentenza impugnata;

31. che il Consiglio di Stato si è attenuto alla ricostruzione ed alla evoluzione del quadro normativo che disciplina la fattispecie dedotta in giudizio (scorrimento delle graduatorie relative a progressioni verticali) e, interpretando le norme di legge via via entrate in vigore, ha individuato quelle ritenute applicabili “ratione temporis” alla fattispecie dedotta in giudizio per escludere il diritto degli odierni ricorrenti al passaggio nell’area superiore rispetto a quella di inquadramento, applicazione che include l’attività interpretativa della norma stessa che, come innanzi ribadito, è uno degli elementi caratterizzanti proprio l’attività giurisdizionale e potrebbe dare luogo, eventualmente, ad un “error in iudicando”, ma non alla violazione dei limiti esterni della giurisdizione speciale;

32. che in conclusione va dichiarata l’inammissibilità del ricorso;

33. che le spese del giudizio di cassazione, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza;

34. che va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 1, comma 1-bis, se dovuto.

PQM

P.Q.M.

La Corte:

Dichiara l’inammissibilità del ricorso.

Condanna i ricorrenti al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, liquidate in Euro 4.000,00, oltre spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Adunanza Camerale delle Sezioni Unite Civili della Corte Suprema di Cassazione, il 21 luglio 2020.

Depositato in Cancelleria il 15 settembre 2020

 

 

 

Sommario

IntestazioneFattoDirittoP.Q.M.

Copia

 

 

Cassazione civile sez. un., 15/09/2020, (ud. 21/07/2020, dep. 15/09/2020), n.19168

 

Intestazione

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONI UNITE CIVILI

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Primo Presidente f.f. –

Dott. MANNA Antonio – Presidente di Sez. –

Dott. TORRICE Amelia – rel. Consigliere –

Dott. DE STEFANO Franco – Consigliere –

Dott. VALITUTTI Antonio – Consigliere –

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere –

Dott. COSENTINO Antonello – Consigliere –

Dott. LAMORGESE Antonio Pietro – Consigliere –

Dott. GRASSO Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 4793/2019 proposto da:

D.L.L., + ALTRI OMESSI, elettivamente domiciliati in

ROMA, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentati

e difesi dall’avvocato MARIO RONDINELLI;

– ricorrenti –

contro

MINISTERO DEI BENI E DELLE ATTIVITA’ CULTURALI E DEL TURISMO, in

persona del Ministro pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA,

VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 3897/2018 del CONSIGLIO DI STATO, depositata

il 25/06/2018.

Udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

21/07/2020 dal Consigliere Dott. AMELIA TORRICE;

lette le conclusioni scritte del Sostituto Procuratore Generale Dott.

LUCIO CAPASSO, il quale conclude chiedendo dichiararsi

l’inammissibilità del proposto ricorso.

 

Fatto

RILEVATO

1. che il TAR del Lazio con la sentenza n. 11476 del 2017 aveva rigettato il ricorso proposto dagli odierni ricorrenti volto all’accertamento dell’obbligo del Ministero dei Beni e delle Attività Culturali (anche MIBACT di seguito) di concludere il procedimento avviato con la nota ministeriale del 23 marzo 2016 relativo alla utilizzazione della graduatoria di precedente concorso per il passaggio verticale dall’ex area B all’area C1, alla quale avevano dedotto di avere partecipato;

2. che con la sentenza del 25 giugno 2018 n. 3897, il Consiglio di Stato ha rilevato che il TAR aveva ritenuto che la pretesa dei ricorrenti non aveva alcun fondamento legale ed era, anzi, preclusa del D.Lgs. 30 marzo 2001, n. 165, art. 52, comma 1 bis (nel testo introdotto dal D.Lgs. 27 ottobre 2009, n. 150, art. 62, comma 1;

3. che il Consiglio di Stato, affermata la giurisdizione del giudice amministrativo in quanto la controversia verteva su concorsi interni indetti per il passaggio di dipendenti tra aree diverse, ha respinto l’appello sulla scorta delle argomentazioni motivazionali che seguono:

4. l’appello mirava non tanto a far rilevare un’inerzia del MIBACT sulla diffida a suo tempo presentata in sede amministrativa, bensì ad ottenere il passaggio degli appellanti all’area superiore, cosa che essi non potevano ottenere;

5. la statuizione del TAR, che aveva escluso l’esistenza di una norma vigente che imponeva al MIBACT o ad altre Amministrazioni di coprire o meno i posti a suo tempo sottoposti a procedura riservata nel 2007, era corretta in virtù del divieto imposto dal D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 51 (“recte” art. 52), comma 1-bis (nel testo risultante dalle modifiche introdotte del D.Lgs. 27 ottobre 2009, n. 150, art. 62, comma 1), in quanto la progressione dei pubblici dipendenti tra le Aree può avvenire solo in base ad un concorso pubblico, con riserva di posti al personale interno fino al massimo del 50% di quelli messi a disposizione;

6. siffatto divieto escludeva l’obbligo in capo al Ministero di attivare un “procedimento” in relazione all’atto di diffida proposto dagli appellanti e di provvedervi di conseguenza, “non esistendo nè situazioni soggettive tutelabilì – fin dal 2009 – a favore degli odierni appellanti (quindi ben prima della approvazione, tra il luglio 2010 ed il dicembre 2012, delle prime graduatorie inerenti al passaggio tra le Aree), nè la necessità giuridica di dover coprire vacanze organiche con modalità extra ordinem e, quindi, non si era formato neppure un silenzio azionabile col rito ex art. 117 c.p.a.”;

7. la sussistenza di un divieto ex lege rendeva irrilevante la nota ministeriale n. 7121/2016, con la quale il MIBACT aveva manifestato l’intenzione di utilizzare le ancora aperte graduatorie dei passaggi tra le aree (subordinatamente al consenso del MEF e del DFP) e privava di presupposto giuridico la qualificazione dell’inerzia di tali Amministrazioni quale forma di silenzio della L. n. 241 del 1990, ex art. 17-bis, comma 3;

8. il divieto non era stato superato dal D.Lgs. n. 75 del 2017, art. 22, comma 15, in quanto tale disposizione aveva concesso alle Amministrazioni, per valorizzare le professionalità interne, la facoltà nell’an e, comunque, nei limiti delle vigenti possibilità di assunzioni, di attivare, procedure selettive per la progressione tra le aree riservate al personale di ruolo;

9. quand’anche il MIBACT volesse attivare siffatte procedure, nondimeno non vi sarebbe alcun automatico utilizzo di pregresse graduatorie ma, al più, il riconoscimento di queste ultime quale titolo rilevante ai fini della “…attribuzione dei posti riservati per l’accesso all’area superiore” e semprechè gli interessati “poi, superino le prove volte ad accertare la capacità dei candidati di utilizzare e applicare nozioni teoriche per la soluzione di problemi specifici e casi concreti”; comunque il medesimo “jus superveniens” rinviava ad un apprezzamento discrezionale e organizzativo della stessa Amministrazione;

10. era irrilevante che il MIBACT non avesse formulato difese in primo grado (e nemmeno in sede di appello), perchè, nel processo amministrativo non ha rilievo l’assenza di difese dell’Amministrazione intimata e perchè conta l’assenza d’un titolo lecito per l’utilizzo delle graduatorie e la mera facoltà riconosciuta alla P.A. ad attivare i percorsi di qualificazione del D.Lgs. n. 75 del 2017, ex art. 22, comma 15;

11. che avverso la sentenza del Consiglio di Stato i ricorrenti indicati in epigrafe hanno proposto ricorso per cassazione affidato ad un unico motivo, al quale ha resistito con controricorso il Ministero dei Beni e delle Attività culturali e del Turismo;

12. che il ricorso era stato avviato alla trattazione in Camera di consiglio per l’Adunanza del 17.3.2020, sulla base delle conclusioni scritte del Pubblico Ministero, ai sensi dell’art. 380-ter c.p.c., il quale aveva chiesto che si dichiarasse l’inammissibilità del ricorso sul rilievo dell’esistenza del giudicato interno sulla questione di giurisdizione;

13. che successivamente alla soppressione dell’Adunanza Camerale del 17.3.2020, disposta dal Primo Presidente con provvedimento in data 10.3.2020 ai sensi del D.L. 8 marzo 2020, n. 11, art. 1, comma 1, il ricorso è stato avviato alla trattazione in Camera di Consiglio per l’odierna Adunanza Camerale.

Diritto

CONSIDERATO

14. che in via preliminare deve essere disattesa l’eccezione di inammissibilità del ricorso formulata dal Pubblico Ministero nelle conclusioni scritte sul rilievo dell’esistenza di un giudicato interno sulla giurisdizione;

15. che queste Sezioni Unite hanno affermato di recente (Cass. Sez. Un. 13 maggio 2020, n. 13436, Cass. Sez. Un. 3 maggio 2020 n. 8846; Cass. Sez. Un. 9 aprile 2020 n. 7764; Cass. Sez. Un. 6 marzo 2020 n. 6462; Cass. Sez. Un. 5 aprile 2019 n. 9680; Cass. Sez. Un. 11 gennaio 2019 n. 543; Cass. Sez. Un. 16 gennaio 2019 n. 1034) che per potersi configurare il giudicato anche implicito “è necessaria l’esistenza, nella sentenza di primo grado, di un capo autonomo sulla giurisdizione impugnabile, ma non impugnato in appello”; tale situazione non sussiste in relazione ad una sentenza “che sia, astrattamente, affetta da vizio di eccesso di potere giurisdizionale”, perchè all’interno del plesso giurisdizionale tanto della Corte dei conti come del Consiglio di Stato, l’eccesso di potere che si sia determinato, in ipotesi, nel giudizio di primo grado dovrà essere corretto con l’esperimento delle relative impugnazioni, con la conseguenza che la parte lesa da tale eccesso di potere non è interessata a dolersene con un apposito motivo, posto che essa è tenuta semplicemente a proporre l’appello;

16. che è stato precisato che “l’interesse a coinvolgere le Sezioni Unite potrà sorgere esclusivamente rispetto alla sentenza d’appello che, essendo espressione dell’organo di vertice del relativo plesso giurisdizionale speciale, è anche la sola suscettibile di arrecare un vulnus all’integrità della sfera delle attribuzioni degli altri poteri, dell’amministrazione e del legislatore”;

17. che sulla scorta dei principi innanzi richiamati, ai quali va data continuità, deve essere nella specie esclusa, in relazione all’eccesso di potere giurisdizionale, la configurabilità di un giudicato interno che precluda l’impugnazione della sentenza in esame davanti a queste Sezioni Unite;

18. che ciò non esclude che la inammissibilità del ricorso possa essere predicato per altre ragioni;

19. che i ricorrenti con l’unico motivo di ricorso denunciano “eccesso di potere giurisdizionale del Consiglio di Stato e invasione nelle competenze di altri poteri” e chiedono che la sentenza impugnata “sia cassata con rinvio per un nuovo esame nel merito” ovvero che la sentenza impugnata sia cassata con accoglimento delle richieste “con ogni consequenziale statuizione ed emettendo ogni altro conseguente provvedimento”;

20. che essi, precisato che la normativa applicabile alla fattispecie dedotta in giudizio “è inequivocabilmente diretta a considerare i ricorrenti, vincitori del concorso interno indicato in premesse, quali soggetti che hanno acquisito il diritto alla progressione di carriera”, sostengono che: l’interpretazione contraria contenuta nella sentenza impugnata configura un “eccesso di potere, per avere il Consiglio di Stato esercitato la propria giurisdizione nella sfera di competenza riservata al legislatore”; le norme vigenti da applicare sono solo quelle vigenti al momento del bando e non le norme entrate in vigore successivamente, sicchè “l’affermazione della assenza di una norma che imponga lo scorrimento della graduatoria indicata dal C.d.S. si pone in contrasto con una vasta gamma legislativa che invece stabilisce l’esatto contrario”;

21. che i ricorrenti, dopo avere dedotto che la decisione di effettuare lo scorrimento delle graduatorie e di coprire i posti vacanti durante l’ordinaria vigenza delle graduatorie era stata adottata nei bandi stessi e comunque prima del 31.12.2009, invocano una serie di disposizioni (la L. 23 dicembre 2014, n. 190, art. 1, comma 269, che, quanto all’Agenzia delle Dogane, aveva consentito per l’anno 2015 lo scorrimento delle graduatorie verticali già indette, la L. n. 125 del 2013, L. n. 232 del 2016, art. 1, comma 368, D.L. n. 216 del 2011, art. 1, comma 4, convertito dalla L. 24 febbraio 2012, L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 388) per affermare che il legislatore ha disposto la perdurante validità delle graduatorie anche in relazione alle progressioni verticali, senza porre alcuna distinzione tra concorsi “interni” e concorsi “esterni”;

22. che i ricorrenti asseriscono che: se il bando di concorso prevede lo scorrimento della graduatoria, il lavoratore collocato in posizione utile ha diritto all’assunzione; la pubblicazione del bando che contenga tutti gli elementi essenziali (tra cui il numero dei posti messi a concorso) consolida il diritto del vincitore del concorso di ricoprire la posizione disponibile, “non disconoscibile alla stregua della natura del bando, nè espropriabile per effetto di diversa successiva disposizione generale”; non trova applicazione del D.Lgs. n. 150 del 2009, art. 24, perchè i bandi sono stati pubblicati prima dell’entrata in vigore del decreto e non ha rilievo la circostanza che le graduatorie siano state inapprovate successivamente alla vigenza di tale D.Lgs., in quanto la graduatoria costituisce “atto integrativo dell’efficacia del bando” e mira ad “esplicitare e formalizzare la situazione di fatto e di diritto risultante dall’applicazione delle clausole del bando”; il Ministero aveva “inoltrato richieste al dipartimento della Funzione Pubblica a marzo del 2016 e a marzo 2018” ed aveva “chiaramente manifestato la volontà di ricorrere allo scorrimento della graduatoria per coprire i posti vacanti nella II Area”;

23. che i ricorrenti invocano la sentenza di queste Sezioni Unite 12 novembre 2012 n. 19595 e sostengono che “il fenomeno dell’esaurimento delle graduatorie consente la stipulazione del contratto di lavoro con candidati risultati idonei e non vincitori in forza di eventi successivi alla definizione del procedimento concorsuale con l’approvazione della graduatoria” e che una volta che il bando di concorso abbia previsto lo scorrimento della graduatoria fino ad esaurimento dei posti messi a concorso e l’Amministrazione abbia deciso di coprire il posto non assegnato utilizzando la graduatoria, “la pubblica Amministrazione è obbligata a provvedervi”; asseriscono che la L. n. 507 del 1993, art. 3, comma 22 e della L. 127 del 1997, art. 6, comma 21, sono preordinati, in attuazione dei principi di economicità, efficienza ed efficacia dell’azione amministrativa, di cui all’art. 97 Cost., L. n. 241 del 1990, art. 1, ad offrire uno strumento che consenta di individuare immediatamente il soggetto da assumere, rispettando ad un tempo la regola della scelta mediate pubblico concorso;

24. che il ricorso è inammissibile;

25. che queste Sezioni Unite hanno affermato reiteratamente che l’eccesso di potere denunziabile con ricorso per cassazione per motivi attinenti alla giurisdizione va riferito alle sole ipotesi di difetto assoluto di giurisdizione (che si verifica quando un giudice speciale affermi la propria giurisdizione nella sfera riservata al legislatore o alla discrezionalità amministrativa, ovvero, al contrario, la neghi sull’erroneo presupposto che la materia non possa formare oggetto in assoluto di cognizione giurisdizionale) o di difetto relativo di giurisdizione (riscontrabile quando detto giudice abbia violato i c.d. limiti esterni della propria giurisdizione, pronunciandosi su materia attribuita alla giurisdizione ordinaria o ad altra giurisdizione speciale, ovvero negandola sull’erroneo presupposto che appartenga ad altri giudici);

26. che è stato precisato, in coerenza con la nozione posta da Corte Cost. 5 dicembre 2018 n. 6, che siffatto vizio non è configurabile in relazione ad “errores in procedendo”, i quali non investono la sussistenza e i limiti esterni del potere giurisdizionale del giudice amministrativo e dei giudici speciali, bensì solo la legittimità dell’esercizio del potere medesimo (tra le più recentì, Cass., Sez. Un., 10 settembre 2019 n. 22569; Cass., Sez. Un.,

6 luglio 2019 n. 18079; Cass., Sez. Un., 20 marzo 2019 n. 7926);

27. che tanto vale quale che sia la gravità della violazione, anche ove essa attinga alla soglia del c.d. stravolgimento delle norme di riferimento, sostanziali o processuali, applicate (Corte Cost., sent. 5 dicembre 2018 n. 6, cit.), con la precisazione che il controllo del limite esterno della giurisdizione, che l’art. 111 Cost., comma 8, affida alla Corte di cassazione, non include il sindacato sulle scelte ermeneutiche del giudice amministrativo, suscettibili di comportare errori “in iudicando” o “in procedendo” per contrasto con il diritto dell’Unione Europea, salva l’ipotesi, “estrema”, in cui l’errore si sia tradotto in una interpretazione delle norme Europee di riferimento in contrasto con quelle fornite dalla Corte di Giustizia Europea, sì da precludere l’accesso alla tutela giurisdizionale dinanzi al giudice amministrativo (Cass., Sez. Un., 10 maggio 2019 n. 12586, Cass., Sez. Un., 6 febbraio 2015 n. 2242);

28. che va ribadito in questa sede che la mancata o inesatta applicazione di una norma di legge da parte del giudice amministrativo integra al più un “error in iudicando” ma non dà luogo alla creazione di una norma inesistente, comportante un’invasione della sfera di attribuzione del potere legislativo (Cass., Sez. U. 5 novembre 2019 n. 31754; Cass. Sez. Un. 27 giugno 2018 n. 16974);

29. che ai principi affermati nelle sentenze sopra richiamate va data continuità perchè il Collegio condivide le argomentazioni esposte in tali sentenze, da intendersi qui richiamate ex art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4 e art. 118 disp. att. c.p.c.;

30. che nel caso in esame l’assunto dei ricorrenti, secondo il quale il giudice amministrativo avrebbe invaso la sfera di attribuzioni proprie del legislatore, creando una norma di nuovo conio laddove nessuna corrispondente disposizioni di legge sussisterebbe, non trova alcun riscontro nella motivazione della sentenza impugnata;

31. che il Consiglio di Stato si è attenuto alla ricostruzione ed alla evoluzione del quadro normativo che disciplina la fattispecie dedotta in giudizio (scorrimento delle graduatorie relative a progressioni verticali) e, interpretando le norme di legge via via entrate in vigore, ha individuato quelle ritenute applicabili “ratione temporis” alla fattispecie dedotta in giudizio per escludere il diritto degli odierni ricorrenti al passaggio nell’area superiore rispetto a quella di inquadramento, applicazione che include l’attività interpretativa della norma stessa che, come innanzi ribadito, è uno degli elementi caratterizzanti proprio l’attività giurisdizionale e potrebbe dare luogo, eventualmente, ad un “error in iudicando”, ma non alla violazione dei limiti esterni della giurisdizione speciale;

32. che in conclusione va dichiarata l’inammissibilità del ricorso;

33. che le spese del giudizio di cassazione, liquidate come da dispositivo, seguono la soccombenza;

34. che va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 1, comma 1-bis, se dovuto.

P.Q.M.

La Corte:

Dichiara l’inammissibilità del ricorso.

Condanna i ricorrenti al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, liquidate in Euro 4.000,00, oltre spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte dei ricorrenti dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Adunanza Camerale delle Sezioni Unite Civili della Corte Suprema di Cassazione, il 21 luglio 2020.

Depositato in Cancelleria il 15 settembre 2020

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