Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19167 del 15/09/2020

Cassazione civile sez. VI, 15/09/2020, (ud. 02/07/2020, dep. 15/09/2020), n.19167

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FERRO Massimo – Presidente –

Dott. SCOTTI Umberto Luigi Cesare Giuseppe – Consigliere –

Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –

Dott. MERCOLINO Guido – Consigliere –

Dott. FALASCHI Massimo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 18360-2019 proposto da:

I.A., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR,

presso la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato

VITTORIO D’ANGELO;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO COMMISSIONE TERRITORIALE PER IL RICONOSCIMENTO

DELLA PROTEZIONE INTERNAZIONALE DI ANCONA;

– intimato –

avverso il decreto del TRIBUNALE di ANCONA, depositato il 06/05/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 02/07/2020 dal Consigliere Relatore Dott. FALABELLA

MASSIMO.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. – E’ impugnato per cassazione il decreto del Tribunale di Ancona del 6 maggio 2019. Con quest’ultima pronuncia è stato negato che al ricorrente I.A. potesse essere riconosciuto lo status di rifugiato ed è stato altresì escluso che lo stesso potesse essere ammesso alla protezione sussidiaria e a quella umanitaria.

2. – Il ricorso per cassazione si fonda su due motivi. Il Ministero dell’interno, intimato, non ha svolto difese.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – Il primo motivo oppone la violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, nonchè dell’art. 111 c.p.c. per essere la motivazione del decreto impugnato meramente apparente. Si deduce che le argomentazioni contenute nella pronuncia sarebbero generiche ed apodittiche e che, per spiegare la propria decisione, il Tribunale avrebbe utilizzato “mere clausole di stile”.

Il motivo va disatteso.

E’ qui appena il caso di ricordare che nella nuova formulazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5, risultante dal D.L. n. 83 del 2012, art. 54, convertito in L. n. 134 del 2012, è mancante ogni riferimento letterale alla “motivazione” della sentenza impugnata, con la conseguenza che è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sè, purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali: tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione (Cass. Sez. U. 7 aprile 2014, n. 8053; Cass. Sez. U. 7 aprile 2014, n. 8054). La motivazione è, poi, solo apparente, e la sentenza è nulla perchè affetta da error in procedendo, quando, benchè graficamente esistente, non renda, tuttavia, percepibile il fondamento della decisione, perchè recante argomentazioni obbiettivamente inidonee a far conoscere il ragionamento seguito dal giudice per la formazione del proprio convincimento, non potendosi lasciare all’interprete il compito di integrarla con le più varie, ipotetiche congetture (Cass. Sez. U. 3 novembre 2016, n. 22232).

Ora, il decreto impugnato reca una compiuta esposizione delle ragioni poste a fondamento del rigetto delle tre domande proposte dal ricorrente: domande aventi ad oggetto, come detto in precedenza, lo status di rifugiato, la protezione sussidiaria e la protezione per motivi umanitari. E’ da aggiungere che il ricorrente, nel corpo del motivo, non dà esaurientemente conto delle specifiche deduzioni svolte nel ricorso depositato avanti al Tribunale: in conseguenza, non sono forniti elementi da cui desumere una ipotetica inadeguatezza della motivazione rispetto a specifiche questioni da lui poste al giudice del merito.

2. – Col secondo mezzo viene denunciato l’omesso esame della circostanza, oggetto di discussione, secondo cui, per fornire al ricorrente il denaro necessario per l’espatrio, la famiglia dello stesso si era dovuta indebitare. Si sottolinea come in Bangladesh “le dispute in materia di debiti e terreni sono risolte prevalentemente privatamente dinanzi ad una sorta di comitato tradizionale locale denominato Shalish, che non necessariamente applica la legge e dove non è garantito il rispetto delle garanzie minime per le parti”; viene sottolineato, in particolare, che il funzionamento di tale organo “è caratterizzato da “anomalie” importanti con riferimento soprattutto alla terzietà dei decidenti e alla diffusione della corruzione, stante soprattutto il fatto che si tratta comunque di esponenti locali, di politici, di persone coinvolte nella vita della comunità e pertanto facilmente “raggiungibili” da chi volesse o potesse corromperli”.

Il motivo è inammissibile.

Deve premettersi che ove, con il ricorso per cassazione, siano prospettate questioni di cui non vi sia cenno nella sentenza impugnata, è onere della parte ricorrente, al fine di evitarne una statuizione di inammissibilità per novità della censura, non solo di allegare l’avvenuta loro deduzione innanzi al giudice di merito, ma anche, in ossequio al principio di autosufficienza del ricorso stesso, di indicare in quale specifico atto del giudizio precedente lo abbia fatto, onde dar modo alla Suprema Corte di controllare ex adii- la veridicità di tale asserzione prima di esaminare il merito della suddetta questione (Cass. 9 agosto 2018, n. 20694; Cass. 13 giugno 2018, n. 15430; Cass. 18 ottobre 2013, n. 23675). Questo profilo assume particolarmente rilievo nella materia della protezione internazionale, ove si consideri che nel ricorso avanti al Tribunale l’istante aveva l’onere di indicare i fatti costitutivi del diritto azionato, pena l’impossibilità per il giudice di introdurli d’ufficio nel giudizio (Cass. 28 settembre 2015, n. 19197; in senso conforme: Cass. 29 ottobre 2018, n. 27336; Cass. 31 gennaio 2019, n. 3016): tale onere si configura anche con riguardo alla protezione umanitaria, la quale tutela situazioni di vulnerabilità da riferirsi ai presupposti di legge ed in conformità ad idonee allegazioni da parte del richiedente (Cass. 7 febbraio 2019, n. 3681).

Ebbene, il ricorrente non spiega come abbia fatto valere il tema di cui al motivo di ricorso nel precorso giudizio di merito; egli si limita a riprodurre un brano della narrazione resa dall’istante innanzi alla Commissione territoriale (e quindi in sede amministrativa) in cui è parola di prestiti contratti alla propria famiglia di origine per consentirgli di lasciare il Bangladesh e, in un momento successivo, per pagare il riscatto imposto per la sua liberazione dai malviventi che lo avevano catturato in Sudan. Il ricorrente nemmeno spiega a quale domanda di protezione internazionale fosse correlata la deduzione svolta nel motivo.

E’ solo per completezza che si osserva, quindi, come lo status di rifugiato e la protezione sussidiaria possano essere riconosciuti in presenza di un’attività di persecuzione per motivi di razza, religione, nazionalità, appartenenza a un determinato gruppo sociale o opinione politica D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 2, lett. e), ovvero in ragione dell’esposizione del richiedente al rischio di un danno grave, giusta il citato D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 2, lett. e) (nelle tre forme di cui all’art. 14 dello stesso decreto): evenienze che non sono state addotte, giacchè il ricorrente attesta la censura sulle modalità, reputate insoddisfacenti, di definizione delle dispute tra privati aventi ad oggetto le proprietà immobiliari e i rapporti obbligatori.

3. – Il ricorso è respinto.

4. – Non vi sono spese su cui statuire.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della 6a Sezione Civile, il 2 luglio 2020.

Depositato in cancelleria il 15 settembre 2020

 

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