Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19166 del 19/07/2018


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Civile Ord. Sez. 3 Num. 19166 Anno 2018
Presidente: TRAVAGLINO GIACOMO
Relatore: SESTINI DANILO

CC

ORDINANZA

sul ricorso 25754-2015 proposto da:
MURRU MONICA, considerata domiciliata ex lege in
ROMA,

presso

CASSAZIONE,

la

CANCELLERIA

DELLA

CORTE

DI

rappresentata e difesa dall’avvocato

MASSIMO D’ONOFRIO giusta procura in calce al ricorso;
– ricorrente r

contro

SOLIDARIETA’ & FINANZA SIM SPA , in persona del
2018
1172

Presidente e Amministratore Delegato dott. GIANFRANCO
CASSOL, TOGNON FULVIO, elettivamente domiciliati in
ROMA, VIALE DI VILLA GRAZIOLI N.15, presso lo studio
dell’avvocato ROBERTO CATALANO, che li rappresenta e
difende unitamente all’avvocato ANDREA VITTORIO

Data pubblicazione: 19/07/2018

ARREGHINI giusta procura in calce al controricorso;
– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 1453/2015 della CORTE
D’APPELLO di MILANO, depositata il 01/04/2015;
udita la relazione della causa svolta nella camera di

SESTINI;
lette le conclusioni scritte del Pubblico Ministero,
in persona del Sostituto Procuratore generale Dott.
TOMMASO BASILE che ha concluso chiedendo il rigetto
del ricorso;

I

consiglio del 13/04/2018 dal Consigliere Dott. DANILO

Rilevato che:
la società Solidarietà & Finanza – Società di Intermediazione
Mobiliare (SIM) s.p.a. propose domanda di simulazione e -in
subordine- di inefficacia ex art. 2901 cod. civ. in relazione all’atto del
29.5.2009 con cui il proprio debitore Fulvio Tognon aveva alienato a
Monica Murru un immobile sito in Enego, riservando a sé il diritto di

il Tribunale di Milano rigettò entrambe le domande, ritenendo
che non sussistesse la prova dell’accordo simulatorio e che difettasse,
in relazione all’azione revocatoria, la prova della consapevolezza, da
parte dell’acquirente, della situazione debitoria dell’alienante e del
pregiudizio arrecato alle ragioni dei creditori del Tognon;
la Corte di Appello ha riformato la sentenza, accogliendo la
domanda ex art. 2901 cod. civ. sul rilevo che l’anomalia dello schema
negoziale seguito dai contraenti induceva a «presumere che la Murru
fosse consapevole del pregiudizio arrecato alle ragioni dei creditori»;
ha evidenziato, infatti, che la vendita era avvenuta al prezzo stimato
congruo per la piena proprietà e che, ciononostante, l’immobile era
stato gravato da un diritto di abitazione (“vita natural durante”) che
ne sviliva il valore commerciale e ha aggiunto che la circostanza che
la pattuizione relativa al diritto di abitazione fosse -secondo la
prospettazione degli appellati- simulata (per quanto risultava da una
scrittura privata a latere del rogito, che prevedeva l’impegno del
Tognon al rilascio entro due anni, pena il pagamento di una penale di
10.000,00, che sarebbe aumentata a 40.000,00 dopo il terzo anno)
non deponeva nel senso della «ragionevolezza degli accordi tra
alienante ed acquirente», ma costituiva «un ulteriore elemento
presuntivo della conoscenza, anche da parte dell’acquirente, della
necessità del promittente venditore di sottrarre il bene ai creditori»;
ha proposto ricorso per cassazione la Murru, affidandosi a due
motivi; ha resistito, con controricorso, la Solidarietà & Finanza Società di Intermediazione Mobiliare (SIM) s.p.a.;
3

abitazione;

il P.M. ha concluso per il rigetto del ricorso.
Considerato che:
col primo motivo (che deduce la violazione e/o falsa applicazione
dell’art. 2901 cod. civ.), la ricorrente censura la sentenza impugnata
assumendo che «la scientia damni in capo alla Murru, che la Corte ha
ritenuto dimostrata in via presuntiva, non possiede i requisiti di cui

creditori tout court del Tognon, ma soltanto ai “possibili” creditori»;
rilevato che «la legge non parla del “potenziale creditore”, ma del
creditore tout court», la Murru sostiene che «il terzo deve avere una
(generica sì, ma non astratta bensì concreta) conoscenza della
esposizione debitoria del suo dante causa»;
il secondo motivo denuncia «omesso esame circa un fatto
decisivo per il giudizio e conseguente violazione e/o falsa applicazione
dell’art. 1362 c.c.»: la Murru si duole che la Corte non abbia
considerato che la l’accordo relativo alla previsione del diritto di
abitazione era stata determinato da un intento di tipo «speculativo»,
volto all’alleggerimento del carico fiscale dell’operazione, e sia
«incorsa nell’errore di interpretare l’accordo cd. a latere non tanto
secondo le intenzioni delle parti, come richiesto dall’art. 1362 c.c.,
quanto secondo le proprie personali valutazioni, funzionali a condurre
la pronuncia di secondo grado verso l’erroneo esito cui è pervenuta»;
i due motivi -da esaminare congiuntamente- sono inammissibili,
in quanto:
-lungi dall’evidenziare specifici errori di diritto o l’omesso esame
di fatti decisi, entrambi i motivi sono volti a sollecitare una diversa
valutazione di merito degli elementi emersi dall’istruttoria, che non è
tuttavia consentita in sede di legittimità, a fronte di una decisione che
risulta sorretta da una motivazione adeguata del convincimento
espresso dalla Corte circa la possibilità di presumere la sussistenza
della scientia damni in capo all’acquirente;

4

all’art. 2901 c.c.» giacché «viene riferita dalla Corte non tanto ai

-né può ritenersi rilevante la circostanza che la Corte abbia fatto
riferimento a «possibili creditori», anziché ad una almeno «generica
esposizione debitoria», poiché -come riconosce la stessa ricorrente e
per quanto emerge dai consolidati orientamenti di legittimità- la
previsione dell’art. 2901 c.c. non richiede la conoscenza, da parte del
terzo, dello specifico credito pregiudicato dall’atto di disposizione

conoscenza sia invece richiesta qualora l’azione «abbia ad oggetto un
atto, a titolo oneroso, anteriore al sorgere di detto credito»);
-la violazione dell’art. 1362 c.c. è dedotta in modo
assolutamente generico e, per di più, senza ottemperare alla
prescrizione di cui all’art. 366, n. 6 cod. proc. civ., dato che il ricorso
non trascrive la scrittura a latere della cui interpretazione si tratta;
le spese di lite seguono la soccombenza;
sussistono le condizioni per l’applicazione dell’art. 13, comma 1
quater del D.P.R. n. 115/2002.
P.Q.M.
La Corte dichiara l’inammissibilità del ricorso e condanna la
ricorrente al pagamento delle spese di lite, liquidate in euro 4.000,00
per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, al
rimborso degli esborsi (liquidati in euro 200,00) e agli accessori di
legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1-quater del D.P.R. n. 115 del 2002, dà
atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della
ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a
quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso
articolo 13.
Roma, 13.4.2018

(cfr., per tutte, Cass. n. 16825/2013, che ha precisato come tale

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