Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19166 del 15/09/2020

Cassazione civile sez. VI, 15/09/2020, (ud. 02/07/2020, dep. 15/09/2020), n.19166

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FERRO Massimo – Presidente –

Dott. SCOTTI Umberto Luigi Cesare Giuseppe – Consigliere –

Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –

Dott. MERCOLINO Guido – Consigliere –

Dott. FALASCHI Massimo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 18091-2019 proposto da:

N.C., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR,

presso la CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato

VITTORIO D’ANGELO;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO COMMISSIONE TERRITORIALE PER IL RICONOSCIMENTO

DELLA PROTEZIONE INTENAZIONALE DI ANCONA;

– intimato –

avverso il decreto del TRIBUNALE di ANCONA, depositato il 02/05/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 02/07/2020 dal Consigliere Relatore Dott. FALABELLA

MASSIMO.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. – E’ impugnato per cassazione il decreto del Tribunale di Ancona con cui è stato negato che al ricorrente N.C. potesse essere riconosciuto lo status di rifugiato ed è stato altresì escluso che lo stesso potesse essere ammesso alla protezione sussidiaria e a quella umanitaria.

2. – Il ricorso per cassazione si fonda su di un unico motivo. Il Ministero dell’interno, intimato, non ha svolto difese.

Il Collegio ha autorizzato la redazione della presente ordinanza in forma semplificata.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – Il ricorrente lamenta l’omesso esame della circostanza, oggetto di discussione, per cui le dispute in materia di debiti e terreni sono risolte prevalentemente in Bangladesh in forma privata, “innanzi a un comitato tradizionale locale che non necessariamente applica la legge e dove non è garantito il rispetto delle regole”. Il tema sollevato con il mezzo di censura attiene alla risoluzione delle controversie concernenti i prestiti e verte sul fatto che nel paese di origine del richiedente esse sono devolute allo shalish, e cioè a un’assemblea composta da anziani politici locali, in cui non sarebbe garantita la terzietà dei decidenti e risulterebbe diffusa la corruzione.

2. – Il motivo è inammissibile.

Spiega il ricorrente che il prestito sarebbe stato contratto dai propri genitori i quali, per pagare il riscatto preteso da alcuni uomini che lo avevano malmenato e lo tenevano prigioniero, nel periodo del proprio soggiorno in Libia, avevano richiesto un prestito impegnando la loro casa, che avevano dovuto abbandonare.

Il Tribunale, dopo una ricognizione del diversificato sistema del prestito a usura (viene citato, a tal fine, il report EASO del dicembre 2017, ove è precisato che “(m)olti prestatori tradizionali di fondi usano violenza e minacce per imporre il rimborso, come nel caso degli `strozzinì in altri paesi”, ha osservato che il richiedente non aveva menzionato episodi specifici di aggressioni subite dai familiari relativamente al debito contratto (aggiungendo, poi, che lo stesso non lavorava in Italia e, quindi, non era nemmeno in grado di inviare il denaro necessario). Il giudice del merito ha del resto disatteso le domande del ricorrente intese al riconoscimento dello status di rifugiato e di protezione sussidiaria, osservando come quanto dallo stesso istante dichiarato assumeva rilievo nella prospettiva della preoccupazione da lui manifestata “circa la necessità di sostenere la famiglia d’origine tuttora in patria e ripagare il debito contratto” all’epoca del soggiorno in Libia.

Ciò detto, il motivo non coglie il senso della pronuncia impugnata e il fatto posto a fondamento di esso risulta essere privo di decisività.

Se è vero, infatti, che ai fini della valutazione della domanda di protezione internazionale, i responsabili della persecuzione del danno grave sono anche soggetti non statuali, se lo Stato, i partiti e le organizzazioni che controllano lo Stato o una parte consistente del suo territorio, comprese le organizzazioni internazionali, non possono o non vogliono fornire protezione (D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 5: cfr. Cass. 15 febbraio 2018, n. 3758), lo status di rifugiato e la protezione sussidiaria possono essere rispettivamente riconosciuti soltanto in presenza di un’attività di persecuzione per motivi di razza, religione, nazionalità, appartenenza a un determinato gruppo sociale o opinione politica D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 2, lett. e), ovvero in ragione dell’esposizione del richiedente al rischio di un danno grave, giusta il citato D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 2, lett. e) (nelle tre forme di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14).

Competeva al ricorrente – il quale aveva l’onere di indicare i fatti costitutivi del diritto azionato, pena l’impossibilità per il giudice di introdurli d’ufficio nel giudizio (Cass. 28 settembre 2015, n. 19197; in senso conforme: Cass. 29 ottobre 2018, n. 27336; Cass. 31 gennaio 2019, n. 3016) – la prospettazione di forme di persecuzione o di danno grave che giustificassero l’accoglimento della domanda proposta. E rispetto a tale carenza di allegazione, la cui importanza è certamente sfuggita alla parte istante, il denunciato omesso esame delle modalità di definizione delle dispute tra privati aventi ad oggetto le proprietà immobiliari e i rapporti obbligatori appare priva di rilevanza.

3. – Alla statuizione di inammissibilità del ricorso non segue pronuncia sulle spese, dal momento che il Ministero intimato non ha svolto difese.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso; ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della parte ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della 6a Sezione Civile, il 2 luglio 2020.

Depositato in cancelleria il 15 settembre 2020

 

 

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