Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19166 del 07/09/2010

Cassazione civile sez. III, 07/09/2010, (ud. 17/06/2010, dep. 07/09/2010), n.19166

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FINOCCHIARO Mario – Presidente –

Dott. MASSERA Maurizio – Consigliere –

Dott. SEGRETO Antonio – Consigliere –

Dott. VIVALDI Roberta – Consigliere –

Dott. AMBROSIO Annamaria – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso proposto da:

F.A. vedova C., C.R., C.S.,

C.N., elettivamente domiciliate in ROMA, VIA DELLE

QUATTRO FONTANE 10, presso lo studio dell’avvocato GHIA LUCIO, che le

rappresenta e difende unitamente all’avvocato FUNARI ANTONIO, giusta

procura speciale a margine del ricorso;

– ricorrenti –

contro

COMUNE DI ROMA, in persona del Sindaco pro tempore, elettivamente

domiciliato in ROMA, VIA DEL TEMPIO DI GIOVE 21, presso l’Avvocatura

Comunale, rappresentato e difeso dagli avvocati FRIGENTI GUGLIELMO,

PASQUALI GIORGIO, giusta procura a margine del controricorso e

ricorso incidentale;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

contro

F.A. vedova C., C.R., C.S.,

C.N., elettivamente domiciliate in ROMA, VIA DELLE

QUATTRO FONTANE 10, presso lo Studio dell’avvocato GHIA LUCIO, che le

rappresenta e difende unitamente all’avvocato FUNARI ANTONIO, giusta

procura speciale a margine del ricorso notificato;

– controricorrenti al ricorso incidentale –

e contro

PARTITO LIBERALE ITALIANO, A.M., C.M.,

S.R.;

– intimati –

– ricorrenti incidentali –

avverso la sentenza n. 1197/2 008 della CORTE D’APPELLO di ROMA del

26/02/08, depositata il 17/03/2008;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

17/06/2010 dal Consigliere Dott. ANNAMARIA AMBROSIO;

udito l’Avvocato Funari Antonio, difensore delle ricorrenti che si

riporta agli scritti, e’ solo presente l’Avvocato Daniela Ciardo,

(delega avvocato Lucio Ghia);

udito l’Avvocato Pasquale Giorgi, difensore del controricorrente e

ricorrente incidentale che si riporta agli scritti;

e’ presente il P.G. in persona del Dott. VINCENZO MARINELLI che si

riporta alla relazione scritta.

 

Fatto

PREMESSO IN FATTO

che:

1.- F.A., C.R., C.S. e C. N., quali eredi dell’originario convenuto C.T. hanno proposto ricorso per cassazione avverso la sentenza della Corte d’appello di Roma pronunciata in data 26-2 – 17-3-2008 nella controversia con il COMUNE DI ROMA, avente ad oggetto il rilascio di immobile locato “a sede di sezione di partito” e la condanna al pagamento di canoni e di indennita’ di occupazione sino al rilascio.

Detta sentenza – decidendo nel contraddicono anche dei chiamati in causa PARTITO LIBERALE ITALIANO (rimasto contumace), S. R., A.M. e C.M. – ha, in parziale riforma della sentenza di primo grado, condannato, in solido, le eredi C. al pagamento in favore del COMUNE DI ROMA della somma di Euro 206.320,00 oltre interessi a titolo di indennita’ di occupazione dell’immobile in questione per il periodo successivo alla scadenza legale del contratto.

In particolare la decisione impugnata – ritenuto risolto il contratto di locazione intercorso tra il C. e il COMUNE DI ROMA (in corso alla data di entrata in vigore della L. n. 392 del 1978) alla scadenza di cui alla stessa L. n. 392, art. 67 e alla L. n. 94 del 1982, art. 15 bis (e, cioe’, alla data del 30-4-1986) – ha ritenuto obbligato il C. e, per esso, le eredi al pagamento dell’indennita’ di occupazione con decorrenza dal febbraio 1988 sino al rilascio nell’aprile 1995 (dichiarando prescritto il credito per il periodo antecedente) nella misura complessiva sopra indicata.

1.1. Ha resistito il COMUNE DI ROMA, depositando tempestivo controricorso, con cui ha dedotto l’inammissibilita’ del ricorso sotto vario profilo e proposto, a sua volta, ricorso incidentale.

Nessuna attivita’ difensiva e’ stata svolta dagli altri intimati.

2. Il ricorso e’ soggetto alle disposizioni di cui al D.Lgs. n. 40 del 2006, attesa la data di pronuncia della sentenza impugnata.

Essendosi ravvisate le condizioni per la decisione in camera di consiglio, e’ stata redatta relazione ex art. 380 bis c.p.c. regolarmente notificata.

2.1. Parte ricorrente ha depositato memoria.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

quanto segue:

1. – Nella relazione redatta ex art. 380 bis c.p.c. si legge:

“(…)3. – Il ricorso appare inammissibile perche’ formulato senza rispettare i requisiti di cui all’art. 366 bis c.p.c. nel testo qui applicabile, introdotto dal cit. D.Lgs., art. 6 in base al quale nei casi previsti dall’art. 360 c.p.c., nn. 1), 2), 3) e 4, l’illustrazione di ciascun motivo si deve concludere con la formulazione di un quesito di diritto, mentre, nel caso previsto dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), l’illustrazione di ciascun motivo deve contenere la chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, ovvero le ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la rende inidonea a giustificare la decisione.

3.1. In materia sono applicabili i principi che seguono.

Il quesito di diritto di cui all’art. 366 bis cod. proc. civ. deve comprendere l’indicazione sia della regula iuris adottata nel provvedimento impugnato, sia del diverso principio che il ricorrente assume corretto e che si sarebbe dovuto applicare in sostituzione del primo. La mancanza anche di una sola delle due suddette indicazioni rende il ricorso inammissibile (Cass. civ., Sez. 3^, 30/09/2008, n. 24339). Inoltre a norma dell’ari. 366 bis c.p.c. e’ inammissibile il motivo di ricorso per cassazione che si concluda con la formulazione di un quesito di diritto in alcun modo riferibile alla fattispecie o comunque assolutamente generico (Cass. civ., Sez. Unite, 05/01/2007, n. 36), dovendosi assimilare il quesito inconferente alla mancanza del quesito.

Anche la chiara indicazione richiesta dall’art. 366 bis c.p.c. in relazione alla censura di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5 deve consistere in una parte del motivo che si presenti a cio’ specificamente e riassuntivamente destinata (omologa del quesito di diritto) da cui risulti non solo il fatto controverso, ma anche la decisivita’ del vizio, in modo da circoscrivere puntualmente i limiti della censura, cosi’ da non ingenerare incertezze in sede di formulazione del ricorso e di valutazione della sua ammissibilita’ (Sez. Unite, 01/10/2007, n. 20603).

Inoltre la formulazione del quesito di diritto di cui all’art. 366 bis cod. proc. civ. deve avvenire in modo rigoroso e preciso, evitando quesiti multipli o cumulativi. Da cio’ consegue che i motivi di ricorso fondati sulla violazione di leggi e quelli fondati su vizi di motivazione debbono essere sorretti da quesiti separati. Invero le Sezioni Unite – pur ritenendo ammissibile, in via di principio, il ricorso per cassazione nel quale si denunzino con un unico articolato motivo d’impugnazione vizi di violazione di legge e di motivazione in fatto – hanno precisato che a tali effetti occorre che il motivo si concluda con una pluralita’ di quesiti, ciascuno dei quali contenga un rinvio all’altro, al fine di individuare su quale fatto controverso vi sia stato, oltre che un difetto di motivazione, anche un errore di qualificazione giuridica del fatto (Cass. civ., Sez. Unite, 31/03/2009, n. 7770).

3.2. Orbene nessuno dei quesiti articolati in ricorso risponde ai canoni sopra indicati ai fini dell’ammissibilita’ dei motivi; gli stessi motivi, inoltre, per la gran parte contenenti censure multiple, non rispondono all’esigenza di chiarezza sopra evidenziata.

Piu’ nel dettaglio: a) il primo motivo – denunciante violazione e falsa applicazione di norme di diritto in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3 si conclude con un quesito di’ carattere generale ed astratto, relativamente all’applicazione della L. n. 392 del 1978, artt. 27, 28 e 29 (concernenti i contratti stipulati nel regime della legge dell’equo canone) privo di alcuna specificita’ in relazione alla corrispondente ratio decidendi della sentenza impugnata, fondata sulla circostanza che il contratto era in corso al momento dell’entrata in vigore della stessa legge; b) il secondo motivo, pur contenendo plurime censure (violazione di legge e vizio motivazionale) si conclude con un unico quesito, peraltro al pari del precedente privo di correlazione con la fattispecie concreta e con le argomentate ragioni della decisione; c) anche il terzo motivo contiene plurime censure, in contrasto con l’evidenziata esigenze di chiarezza; in ogni caso il quesito conclusivo, postulando che i giudici di merito abbiano attribuito alla locazione la natura di contratto a favore di terzo (qualificazione, questa, che, per il vero, manca nella sentenza impugnata, laddove si evidenzia unicamente la destinazione a sede di partito dell’immobile locato), si rivela privo di specificita’ e assolutamente inadeguato, non consentendo alcuna risposta utile al fine di definire la causa nel senso voluto da parte ricorrente; d) anche il quarto e il quinto motivo contengono plurime censure e si concludono con un’enunciazione di carattere generale ed astratto che non consente alcuna risposta utile ai fini del decidere, non potendosi desumere il quesito dal contenuto del motivo o integrare il primo con il secondo, pena la sostanziale abrogazione del suddetto articolo (Cass. civ., Sez. Unite, 11/03/2008, n. 6420); e) il sesto e il settimo motivo, enuncianti (plurime) censure motivazionali, non contengono la chiara indicazione (occorrendo, a tal fine – per quanto si e’ detto sopra – un momento di sintesi da cui risulti non solo il fatto controverso, ma anche la decisivita’ del vizio), tale non potendo ritenersi il quesito di diritto a conclusione di ciascuno dei suddetti motivi, con cui sostanzialmente si affida a questa Corte di verificare la decisivita’ o meno del presunto vizio; f) l’ottavo motivo, peraltro contenente censure plurime, si conclude con un quesito con cui si chiede in sostanza a questa Corte di verificare se e’ stato correttamente applicato l’art. 1957 c.c.; in tale modo parte ricorrente si e’ sottratta all’onere imposto dal cit. art. 366 bis c.p.c. di formulare una propria finale, conclusiva, valutazione della dedotta violazione della legge processuale o sostanziale, sulla cui correttezza sollecitare il si’ o il no di questo Giudice di legittimita’; lo stesso quesito, inoltre, e’ privo di correlazione con le ragioni della decisione, riferite al C. in proprio e non gia’ quale fideiussore; g) considerazione analoghe valgono anche per l’ultimo motivo.

3.3. Per quest’ultimo motivo, come per il secondo, il quinto e l’ottavo motivo appare sussistere un’ulteriore causa di inammissibilita’, in quanto non risulta osservato il requisito stabilito dall’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6 in relazione agli atti o documenti su cui i motivi stessi si fondano. Va, infatti, considerato che il requisito di specifica indicazione degli atti o documenti, su cui si fonda il motivo di ricorso, previsto dalla norma citata, assume una duplice valenza, in quanto riguarda non solo il ed. contenente, cioe’ il documento o l’atto processuale come entita’ materiali (imponendo la specifica indicazione vuoi del documento, vuoi della sede processuale, in cui il documento risulta prodotto), ma anche il c.d. contenuto, con la conseguenza che, a tali effetti, occorre trascrivere o almeno riassumere nel ricorso il contenuto del documento o dell’atto, proprio in quella parte su cui il ricorrente ha fondato il motivo. La violazione anche di uno di tali oneri rende inammissibile il motivo di ricorso (Cass. sez. 3^, ord. n. 22303 del 2008).

4. Anche il ricorso incidentale (avente ad oggetto la parte della decisione con cui e’ stata dichiarata la prescrizione delle somme dovute a titolo di indennita’ di occupazione dal maggio 1986 al gennaio 1988) appare destinato all’inammissibilita’. Cio’ in quanto il quesito conclusivo (muovendo dalla natura di illecito permanente dell’occupazione successiva alla scadenza del contratto, con conseguente applicabilita’ della prescrizione quinquennale, come ritenuto in sentenza) appare poco chiaro (chiedendo se la prescrizione … avendo inizio da ciascun giorno rispetto al fatto gia’ verificatosi ed al corrispondente diritto al risarcimento, inizi a decorrere solo dalla data in cui tale illecito ha cessato di sussistere) e, comunque, non congruente con le conclusioni che se ne vogliono trarre.

E’ il caso di osservare che – secondo la giurisprudenza (richiamata da parte ricorrente incidentale) che muove dalla qualificazione dell’occupazione illegittima dell’immobile da parte del conduttore come illecito di carattere permanente che cessa nel momento in cui l’immobile viene rimesso nella disponibilita’ del legittimo proprietario – il diritto al risarcimento del danno sorge con l’inizio del fatto illecito generatore del danno stesso e con questo persiste nel tempo, rinnovandosi di momento in momento, con la conseguenza che la prescrizione, secondo la regola del suo computo (art. 2935 c.c.), ha inizio da ciascun giorno rispetto al fatto gia’ verificatosi ed al corrispondente diritto al risarcimento (vedi Cass. n. 11474/1993; n. 1439/19976; n. 26741/2006) e non gia’ dalla data di cessazione dell’illecito, come sembrerebbe postulare il quesito.“.

2. – Preliminarmente occorre provvedere alla riunione ex art. 335 c.p.c. dei ricorsi proposti avverso la stessa sentenza.

2.1. Il Collegio condivide le argomentazioni e conclusioni della relazione che non sono in alcun modo infirmate dalle deduzioni svolte nella memoria di parte ricorrente. Quanto al ricorso principale merita in particolare puntualizzare che:

2.1.1. la sentenza impugnata ha fatto applicazione di principi consolidati nella giurisprudenza di questa Corte (ex plurimis Cass., 18/07/2002, n. 10419; 24/06/2002, n. 9165), secondo cui con riguardo a contratto di locazione di immobile urbano ad uso diverso da quello abitativo ed in corso al momento dell’entrata in vigore della L. 27 luglio 1978, n. 392 (quale la stessa parte ricorrente conferma essere il contratto in oggetto), il locatore puo’ esercitare l’azione del rilascio, alle scadenze fissate per i rapporti soggetti o non soggetti a proroga nella previgente legislazione, rispettivamente, dalla detta L., artt. 67 e 71, senza essere tenuto a comunicare al conduttore a quali condizioni intenda addivenire ad una nuova locazione e senza essere sottoposto alla disciplina della rinnovazione o del diniego di rinnovazione del rapporto alla prima scadenza, di cui alla L. cit., artt. 28, 29 e 30, tenuto conto che tali norme, dettate per i contratti sorti nella vigenza della nuova disciplina, non sono applicabili nella regolamentazione transitoria delle locazioni in corso, in difetto di espresso richiamo; ne deriva che il suddetto rilascio resta regolato dal principio generale dell’art. 1596 c.c., comma 1, sulla fine della locazione a tempo determinato per lo spirare del termine e non richiede, pertanto, nemmeno una preventiva disdetta, indipendentemente dal fatto che nel contratto sia inserita una clausola di proroga convenzionale del rapporto in caso di mancata disdetta (essendo tale clausola diventata inoperante per effetto della protrazione coattiva del rapporto stesso in forza di legge): principi ribaditi con la sentenza n. 16120 del 14/07/2006 (espressamente richiamata in quella impugnata), avuto riguardo anche ai riflessi della pronuncia dichiarazione di illegittimita’ costituzionale del D.L. 7 febbraio 1985, n. 12, art. 1, comma 9 bis convertito nella L. 5 aprile 1985, n. 118 (in virtu’ della sentenza n. 108 del 1986 della Corte Costituzionale); orbene – questi i principi cui si e’ fatto applicazione nella decisione impugnata – deve ribadirsi il difetto di specificita’ per mancata correlazione con le ragioni della decisione, sia del primo quesito (relativo alla disciplina di cui alla L. n. 392 del 1978, artt. 27, 28 e 29 dei contratti “nuovi”, stipulati, cioe’, dopo l’entrata in vigore della stessa legge), posto che la sentenza impugnata poggia sul rilievo dell’applicabilita’ alla fattispecie della disciplina transitoria di cui alla L. n. 392 del 1978, art. 67 sia del secondo quesito (relativo alla efficacia o meno della disdetta) dal momento che la stessa sentenza ha altro fondamento, e cioe’ non l’essere affatto necessaria la disdetta;

2.1.2. pur lasciando intendere il richiamo alla decisione di primo grado la condivisione da parte del giudice di appello della qualificazione della locazione come contratto a favore di terzo, non per questo il quesito in calce al terzo motivo e’ idoneo a superare i rilievi di inadeguatezza e difetto di chiarezza formulati nella relazione; il quesito, invero, risulta privo del requisito essenziale della specifica, diretta ed autosufficiente formulazione di un interpello alla Corte di cassazione sull’errore di diritto asseritamente commesso dai giudici del merito e sulla corretta applicazione della norma quale proposta nella specie dalla ricorrente, mescolando anzi profili motivazionali e censura in diritto;

2.1.3. la possibilita’ che un unico articolato motivo di ricorso si concluda -come si legge nella sentenza delle SS.UU. n. 7770 del 2009 – con una pluralita’ di quesiti, ciascuno dei quali contenga un rinvio all’altro, al fine di individuare su quale fatto controverso vi sia stata, oltre che un difetto di motivazione, anche un errore di qualificazione giuridica del fatto va riferita alla possibilita’ che un unico motivo contenga censure plurime (e non gia’ intesa come facolta’ della parte di concludere il motivo con un unico quesito di diritto omettendo di individuare il fatto controverso o viceversa);

sotto questo profilo i motivi in ricorso, contenenti censure plurime, si concludono tutti con quesiti inadeguati;

2.1.4. la pretesa applicabilita’, quale ius supervenies, della L. n. 51 del 2006 e della specifica disposizione concernente i creditori dei partiti e movimenti politici deve confrontarsi – a tacer d’altro – con la qualificazione del contratto, da parte dei giudici di merito, come contratto stipulato dal C., in nome proprio, assumendosi in proprio tutte le obbligazioni relative al contratto;

tanto conferma anche l’aspecificita’ del quesito in ordine alla «corretta applicazione dell’art. 1957 c.c.;

2.1.5. la correttezza dei rilievi formulati in relazione in ordine all’inosservanza del requisito di specifica indicazione di cui all’art. 366 c.p.c., n. 6 (da riferirsi non solo ai documenti, ma anche alla relazione di c.t.u.) trova conferma nei principi espressi dalla recente ordinanza delle SS.UU. n. 7161 del 25/03/2010.

3. – In definitiva sia ricorso principale che il ricorso incidentale vanno dichiarati inammissibili.

Le spese del giudizio di cassazione vanno interamente compensate attesa la reciproca soccombenza.

P.Q.M.

LA CORTE riunisce i ricorsi e li dichiara inammissibili entrambi. Compensa interamente tra le parti le spese del giudizio di cassazione.

Cosi’ deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 17 giugno 2010.

Depositato in Cancelleria il 7 settembre 2010

 

 

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