Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19163 del 02/08/2017


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Cassazione civile, sez. un., 02/08/2017, (ud. 07/03/2017, dep.02/08/2017),  n. 19163

 

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONI UNITE CIVILI

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. RORDORF Renato – Primo Presidente f.f. –

Dott. MACIOCE Luigi – Presidente di Sezione –

Dott. AMOROSO Giovanni – Presidente di Sezione –

Dott. BIANCHINI Bruno – Consigliere –

Dott. MANNA Antonio – Consigliere –

Dott. CHINDEMI Domenico – Consigliere –

Dott. TRIA Lucia – Consigliere –

Dott. BERRINO Umberto – Consigliere –

Dott. SCRIMA Antonietta – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 7881/2016 proposto da:

P.P.A., elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE DELLE

BELLE ARTI 7, presso lo studio dell’avvocato GIUSEPPE AMBROSIO, che

lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

CONSIGLIO DELL’ORDINE DEGLI AVVOCATI DI LUCCA, PROCURATORE DELLA

REPUBBLICA PRESSO IL TRIBUNALE DI LUCCA, PROCURATORE GENERALE DELLA

REPUBBLICA PRESSO LA CORTE D’APPELLO DI FIRENZE, PROCURATORE

GENERALE DELLA REPUBBLICA PRESSO LA CORTE DI CASSAZIONE, CONSIGLIO

NAZIONALE FORENSE;

– intimati –

avverso la sentenza del CONSIGLIO NAZIONALE FORENSE, depositata in

data 17/02/2016;

Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

7/03/2017 dal Consigliere Dott. ANTONIETTA SCRIMA;

udito il Pubblico Ministero in persona dell’Avvocato Generale Dott.

IACOVIELLO Francesco Mauro, che ha concluso per il rigetto del

ricorso;

udito l’Avvocato Giuseppe Ambrosio.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Il COA di Lucca applicò la sanzione della sospensione dall’esercizio della professione per sei mesi nei confronti dell’avv. P.P.A., incolpato della violazione degli artt. 5, 6 e 41 del codice deontologico, per aver omesso di versare ad un suo assistito – che lo aveva citato in giudizio per responsabilità professionale e che aveva ottenuto nei suoi confronti la condanna al risarcimento dei danni -, la somma corrispostagli dall’assicurazione chiamata in garanzia e per aver mantenuto nei confronti dell’ufficiale giudiziario, in sede di esecuzione della citata sentenza, un comportamento ostruzionistico e non collaborativo.

Il Consiglio Nazionale Forense, in sede di gravame, con sentenza depositata il 17 febbraio 2016, riqualificati gli illeciti alla luce del nuovo codice deontologico, escluse quello di cui al nuovo art. 30 (gestione di denaro altrui), in quanto la somma corrisposta dall’assicurazione a titolo di garanzia era di spettanza dell’avv. P., ritenne, invece, censurabile la condotta tenuta dal professionista nel corso dell’esecuzione iniziata nei suoi confronti e gli irrogò la sanzione della sospensione dall’esercizio della professione forense per la durata di due mesi.

Avverso tale sentenza l’avv. P.P.A. ha proposto ricorso sulla base di tre motivi.

Con ordinanza n. 4877 del 27 febbraio 2017 è stata rigettata l’istanza di sospensione dell’esecuzione della sanzione.

Il ricorrente ha depositato memoria ex art. 378 c.p.c., e ha spedito documenti.

Gli intimati non hanno svolto attività difensiva in questa sede.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il ricorso è stato notificato anche al Consiglio Nazionale Forense ma, quanto a quest’ultimo, esso va qualificato inammissibile, atteso che il CNF è il giudice che ha emesso la decisione qui impugnata e che per definizione non può essere parte del procedimento di impugnazione (Cass., sez. un., 2/12/2016, n. 24647; Cass., sez. un., 22 luglio 2016, n. 15207; Cass., sez. un., 24 gennaio 2013, n. 1716).

2. Con il primo motivo il ricorrente, deducendo violazione e falsa applicazione degli artt. 9, 63 e 64 del codice deontologico ed eccesso di potere per contraddittorietà, illogicità manifesta e sviamento, lamenta che il CFN non abbia escluso anche l’illecito di cui al capo b), consistente nel mancato pagamento a seguito del precetto notificatogli dal suo creditore, atteso che tale contestazione sarebbe stata formulata sul presupposto che la somma corrispostagli dall’assicurazione fosse di spettanza del suo ex cliente.

2.1. Il motivo va rigettato.

2.2. Ed invero l’illecito contestato al capo b) della incolpazione si riferisce alla condotta tenuta dal professionista nel corso del processo esecutivo e, in particolare, dopo la notifica allo stesso dell’atto di precetto da parte del Pi., analiticamente descritta nella sentenza impugnata in questa sede, sicchè non può ritenersi che l’addebito di cui al capo b) sia una duplicazione dell’addebito di cui al capo a), ritenuto infondato dal CNF, nè potendosi, quindi, al primo addebito estendere, contrariamente all’assunto del ricorrente, le medesime considerazioni poste a base, nella sentenza impugnata, della ritenuta infondatezza dell’addebito di cui al capo richiamato per ultimo.

2.3. Quanto poi ai lamentati vizi motivazionali, le censure proposte sono inammissibili. Al riguardo deve, infatti, rilevarsi che il presente ricorso è, ratione temporis, soggetto all’applicazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5, riformulato dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, convertito, con modificazioni, dalla L. 7 agosto 2012, n. 134: e, in relazione a tale modificazione, queste Sezioni Unite hanno avuto modo di precisare il principio – che si applica anche al procedimento disciplinare (v. Cass., sez. un., 2/12/2016, n. 24647; Cass., sez. un., 20/09/2016, n. 18395; Cass., sez. un., 25/07/2016, n. 15287) – che “la riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione; sicchè è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sè, purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali: anomalia che si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione” (Cass., sez. un., 7/04/2014, nn. 8053, 8054 e Cass., ord., 8/10/2014, n. 21257), non potendo neppure ritenersi che il vizio di contraddittoria motivazione sopravviva come ipotesi di nullità della sentenza ai sensi del medesimo art. 360 c.p.c., n. 4) (Cass., ord., 6/07/2015, n. 13928; v. pure Cass., ord., 16/07/2014, n. 16300).

2.4. Neppure risulta configurabile nella specie uno sviamento del potere.

3. Con il secondo motivo il ricorrente denuncia violazione dell’art. 24 Cost., comma 2, e dei principi generali sul diritto di difesa ed eccesso di potere per illogicità e travisamento dei fatti, per non aver il CFN considerato che il credito posto in esecuzione dal suo ex cliente era un credito “provvisorio”, in quanto non ancora accertato con sentenza definitiva, essendo pendente il ricorso per cassazione.

3.1. Il motivo va disatteso in base ai seguenti rilievi: la sentenza posta in esecuzione dal cliente del ricorrente era provvisoriamente esecutiva, il P. aveva a disposizione il denaro per far fronte puntualmente all’obbligazione nei confronti del proprio ex cliente e di cui alla predetta sentenza, il puntuale adempimento delle proprie obbligazioni da parte dell’avvocato sicuramente non implica alcuna menomazione del diritto di difesa di cui all’art. 24 Cost..

3.2. Inoltre, va evidenziato che, secondo la giurisprudenza consolidata di legittimità (v., ex multis, Cass., sez. un., 2/12/2016, n. 24647; Cass., sez. un., 20 settembre 2016, n. 18395; Cass., sez. un., 22 luglio 2016, n. 15203; v. anche Cass., sez. un., 4/02/2009, n. 2637), “Le decisioni del Consiglio Nazionale Forense in materia disciplinare sono impugnabili dinanzi alle Sezioni Unite della Corte di cassazione, ai sensi del R.D.L. n. 1578 del 1933, art. 56, soltanto per incompetenza, eccesso di potere e violazione di legge, con la conseguenza che l’accertamento del fatto, l’apprezzamento della sua rilevanza rispetto alle imputazioni, la scelta della sanzione opportuna e, in generale, la valutazione delle risultanze processuali non possono essere oggetto del controllo di legittimità, salvo che si traducano in un palese sviamento di potere, ossia nell’uso del potere disciplinare per un fine diverso da quello per il quale è stato conferito; non è, quindi, consentito alle Sezioni Unite sindacare, sul piano del merito, le valutazioni del giudice disciplinare, dovendo la Corte limitarsi ad esprimere un giudizio sulla congruità, sulla adeguatezza e sull’assenza di vizi logici della motivazione che sorregge la decisione finale”. E nella specie, rimarcato che, in questa sede, non può procedersi a un diverso accertamento in fatto rispetto a quello operato dal CNF, cui sembra, invece, tendere il ricorrente in base a quanto rappresentato nell’illustrazione del motivo all’esame, e che non sono delibabili vizi revocatori, ritiene il Collegio che la sentenza impugnata resiste alle censure proposte con il mezzo all’esame.

4. Con il terzo motivo l’avv. P. deduce violazione e falsa applicazione della L. n. 247 del 2012, artt. 3 e 65, (e non 2014, come, per evidente lapsus, è indicato nella rubrica del mezzo all’esame) ed eccesso di potere per illogicità e travisamento dei fatti, sostenendo che il CFN, pur avendo correttamente riqualificato i fatti descritti nell’atto di incolpazione alla stregua delle disposizioni del nuovo codice deontologico, non avrebbe tuttavia considerato che tali disposizioni si applicano anche agli illeciti commessi prima della sua entrata in vigore, se più favorevoli per l’incolpato, nè che l’inadempimento delle obbligazioni è attualmente sanzionabile solo in caso di accertata gravità della condotta, omettendo ogni specifico accertamento a tale riguardo.

4.1. Il motivo è infondato.

4.2. Ribadito quanto già evidenziato nel p. 3.2., osserva il Collegio che il CNF nella sentenza impugnata ha esaminato, del tutto correttamente, e senza incorrere nei vizi denunciati in questa sede, fatti addebitati al ricorrente, rilevandone la gravità e conseguentemente ritenendo la sua condotta inscrivibile tout court nella fattispecie della violazione di molteplici doveri deontologici (probità, dignità, decoro professionale), integrante, pertanto, gli illeciti disciplinari di cui all’art. 63 e 64 del codice deontologico.

5. Il ricorso deve essere, pertanto, rigettato nei confronti degli intimati diversi dal CNF.

6. Non vi è luogo a provvedere per le spese del giudizio di cassazione non avendo gli intimati svolto attività difensiva in questa sede.

7. Va dato atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, evidenziandosi che il presupposto dell’insorgenza di tale obbligo non è collegato alla condanna alle spese, ma al fatto oggettivo del rigetto integrale o della definizione in rito, negativa per l’impugnante, del gravame (v. Cass. 13 maggio 2014, n. 10306).

PQM

 

La Corte dichiara inammissibile il ricorso proposto nei confronti del CNF e rigetta il medesimo ricorso proposto nei confronti degli altri intimati; ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio delle Sezioni Unite Civili della Corte Suprema di Cassazione, il 7 marzo 2017.

Depositato in Cancelleria il 2 agosto 2017

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