Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19162 del 06/07/2021

Cassazione civile sez. lav., 06/07/2021, (ud. 23/02/2021, dep. 06/07/2021), n.19162

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. RAIMONDI Guido – Presidente –

Dott. TORRICE Amelia – Consigliere –

Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – Consigliere –

Dott. TRICOMI Irene – rel. Consigliere –

Dott. SPENA Francesca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 32187/2018 proposto da:

D.G., domiciliato in ROMA PIAZZA CAVOUR, presso LA

CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e

difeso dall’avvocato MARIA TERESA TORRICELLA;

– ricorrente –

contro

COMUNE DI SARACENA, in persona del Sindaco pro tempore, elettivamente

domiciliato in ROMA, VIALE BRUNO BUOZZI n. 53/A, presse lo studio

dell’avvocato ANGELA MARIA LORENA CORDARO, rappresentato e difeso

dall’avvocato SALVATORE DI MARCO;

– controricorrente –

e contro

G.M.A., in proprio e quale ex Sindaco del Comune di

Saracena, domiciliato in ROMA PIAZZA CAVOUR, presso LA CANCELLERIA

DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso

dall’avvocato VITTORIO COSENTINO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1099/2018 della CORTE D’APPELLO di CATANZARO,

depositata il 20/07/2018 R.G.N. 844/2015;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

23/02/2021 dal Consigliere Dott. IRENE TRICOMI;

il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SANLORENZO Rita, visto del D.L. 28 ottobre 2020, n. 137, art. 23,

comma 8 bis, convertito con modificazioni nella L. 18 dicembre 2020,

n. 176, ha depositato conclusioni scritte.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. La Corte d’Appello di Catanzaro, con la sentenza 1099 del 2018, ha rigettato 18 l’impugnazione proposta da D.G., nei confronti del Comune di Saracena e di G.M.A., avverso la sentenza resa tra le parti dal Tribunale di Castrovillari.

2. Il giudice di primo grado, a sua volta, aveva rigettato la domanda con la quale il D. aveva chiesto che fosse dichiarata l’esistenza di un rapporto di lavoro subordinato con la convenuta Amministrazione comunale a far data dal 2007, e conseguentemente che quest’ultima fosse condannata alla corresponsione delle retribuzioni dovute sino al settembre 2009 e, in subordine, in solido con il Sindaco, al risarcimento del danno corrispondente alle retribuzioni non erogate.

3. La Corte d’Appello ha premesso che il ricorrente aveva esposto di aver svolto, dall’agosto 2007 al settembre 2009, in virtù di Delib. Comunale n. 102 del 2007, attività volontaria di “guardiano delle aree montane”, e di avere avuto assicurazione da parte del Sindaco che la propria assunzione sarebbe stata regolarizzata.

Quindi, ha affermato che la costituzione di un rapporto di lavoro tra l’appellante e l’Amministrazione comunale era preclusa dal principio secondo cui all’impiego dell’art. 97 Cost., comma 3, D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 35, la cui conformità pubblico si accede a seguito di pubblico concorso o pubblica procedura selettiva, ai sensi al diritto Europeo era stata riconosciuta dalla Corte di Giustizia (sono richiamate le sentenze di questa Corte n. 22552 e n. 22558 del 2016, recte: n. 2252 e n. 2258 del 2016).

Quanto poi alla domanda di condanna al pagamento delle retribuzioni, il giudice di secondo grado ha osservato che dalle risultanze della prova testimoniale non era emersa la sussistenza di elementi caratterizzanti la subordinazione.

Le sole circostanze emerse dalle deposizioni testimoniali erano le seguenti: il ricorrente con altri giovani aveva svolto l’attività volontaria di guardia venatoria, aveva riscosso eventuali ticket da campeggiatori, aveva indossato la divisa di guardia venatoria.

Invece, quanto all’eventuale rispetto di orari predeterminati, se il teste R. aveva detto di aver visto partire l’appellante dal paese e poi farvi rientro all’incirca sempre agli stessi orari, il teste D.V., dirigente comunale, aveva affermato che il D. non era tenuto al rispetto di alcun orario prestabilito.

Non era emersa, pertanto, alcuna prova di elementi sintomatici della subordinazione.

Andava poi esclusa la responsabilità del Sindaco in relazione ad un indotto affidamento, in quanto era intervenuta la Delib. della Giunta comunale nella quale si indicava che l’attività svolta dal ricorrente, nonchè da altre persone, era un’attività volontaria di guardia venatoria, finalizzata alla prevenzione degli incendi boschivi agevolata dall’Amministrazione, per la quale era previsto solo il riconoscimento del diritto al rimborso delle spese del carburante.

4. Per la cassazione della sentenza di appello ricorre D.G., prospettando due motivi di ricorso.

5. Resistono con controricorso sia il Comune di Saracena, sia G.M.A..

6. Il ricorso è stato trattato con il rito cartolare ai sensi del D.L. n. 137 del 2020, art. 8-bis, convertito, con modificazioni dalla L. n. 176 del 2020.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo di ricorso è dedotta la violazione e falsa applicazione di norma di diritto, nello specifico l’art. 97 Cost., comma 3, del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 35; mancata o insufficiente motivazione sul punto.

Assume il ricorrente che la privatizzazione del pubblico impiego consente l’assunzione senza concorso per i livelli di inquadramento originariamente III e IV, ora confluiti per effetto della nuova declaratoria nei profili A e B.

Non erano conferenti in proposito le sentenze della Corte di cassazione richiamate dal giudice di appello.

L’attività di guardiania che era stata svolta rientrerebbe nella declaratoria delle mansioni di cui alla categoria B del CCNL Regione Enti locali.

Se è vero che l’assunzione diretta richiede la preventiva richiesta del Centro per l’impiego, tale previsione non potrebbe applicarsi al caso di specie, in quanto le conseguenze dannose per la violazione di tale disciplina ricadrebbero sul lavoratore che è stato chiamato a rendere la prestazione in violazione della medesima.

La tutela dell’affidamento del lavoratore è stata ribadita dalla CEDU in tutti i casi in cui le modalità di esecuzione e di espletamento dell’attività lavorativa abbiano assunto i caratteri della definitività sulla base di inequivoci atti (è richiamata la sentenza della Corte Europea dei diritti dell’uomo, Prima sezione, 28 maggio 2009, ric. n. 26713/05, Bigaeva c. Grecia).

Il ricorrente, quindi, richiama del D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 35, che stabilisce che la costituzione del rapporto di lavoro con le amministrazioni pubbliche avviene:

a) tramite procedure selettive, conformi ai principi del comma 3, volte all’accertamento della professionalità richiesta, che garantiscano in misura adeguata l’accesso dall’esterno;

b) mediante avviamento degli iscritti nelle liste di collocamento ai sensi della legislazione vigente per le qualifiche e profili per i quali è richiesto il solo requisito della scuola dell’obbligo, facendo salvi gli eventuali ulteriori requisiti per specifiche professionalità.

Pertanto, a tutela dell’affidamento del lavoratore può attivarsi la procedura di assunzione al di fuori dell’espletamento del concorso pubblico, avendo accertato la sussistenza della professionalità richiesta.

1.1. Il motivo non è fondato.

1.2. Preliminarmente, si osserva che, a differenza di quanto prospettato dal ricorrente, in modo pertinente la sentenza di appello richiama la decisione di questa Corte n. 2252, recte n. 22552 del 2016 (cui adde Cass., n. 2258, recte n. 22558 del 2016), la quale ai paragrafi nn. 71 e 72 afferma che: “(…) secondo il consolidato orientamento della giurisprudenza costituzionale, cui si è uniformata la costante giurisprudenza di questa Corte (ex multis Cass. 27481 del 2014), il concorso pubblico costituisce la modalità generale ed ordinaria di accesso nei ruoli delle pubbliche amministrazioni, anche delle Regioni, pure se a statuto speciale (ex multis Corte Cost., sentenze nn. 7/2015; 211/2014, 134/2014; 137/2013, 107/2013, 72/2013, 7/2013; 62/2012; 310/2011, 299/2011; 267/2010; 189/2007).

(…) L’eccezionale possibilità di derogare per legge al principio del concorso per il reclutamento del personale, che è prevista dall’art. 97 Cost., comma 4, è ammessa nei soli casi in cui sia maggiormente funzionale al buon andamento dell’amministrazione e corrispondente a straordinarie esigenze d’interesse pubblico, individuate dal legislatore in base ad una valutazione discrezionale, effettuata nei limiti della non manifesta irragionevolezza (ex multis Corte Cost., sentenze nn. 134/2014; 217/2012; 89/2003; 320/1997; 205/1996)”.

1.3. Tanto premesso e in continuità con i principi sopra richiamati, si osserva che la forma generale e ordinaria di reclutamento per le pubbliche amministrazioni, anche nell’ipotesi di nuovo inquadramento dei dipendenti già in servizio, è rappresentata dal pubblico concorso, quale strumento per assicurare efficienza, buon andamento ed imparzialità, come più volte affermato dal Giudice delle Leggi.

Nelle numerose sentenze pronunciate dalla Corte costituzionale in materia (si v., sentenze n. 363 del 2006, n. 81 del 2006), si è affermato che il concorso pubblico costituisce meccanismo imparziale di selezione tecnica e neutrale dei più capaci sulla base del criterio del merito. Esso è posto a presidio delle esigenze di imparzialità e di efficienza dell’azione amministrativa. Di talchè le eccezioni a tale regola, da prevedere con legge, debbono rispondere a peculiari e straordinarie esigenze di interesse pubblico.

Altrimenti la deroga si risolverebbe in un privilegio a favore di categorie più o meno ampie di persone. A ciò consegue che l’area delle eccezioni va, pertanto, delimitata in modo rigoroso.

In tal modo è possibile garantire una selezione trasparente, basata sul merito e accessibili a tutti coloro che sono in possesso di requisiti previamente e obiettivamente definiti.

Che il concorso pubblico sia principio basilare del pubblico impiego volto a garantire non solo l’imparzialità ma anche l’efficienza dell’Amministrazione (art. 97 Cost.) è stato ribadito dalla Corte Cost. anche con la sentenza n. 187 del 2016.

Nè argomenti in senso contrario possono trarsi dal D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 35, che testualmente prevede che “L’assunzione nelle amministrazioni pubbliche avviene con contratto individuale di lavoro: a) tramite procedure selettive, conformi ai principi del comma 3, volte all’accertamento della professionalità richiesta, che garantiscano in misura adeguata l’accesso dall’esterno; b) mediante avviamento degli iscritti nelle liste di collocamento ai sensi della legislazione vigente per le qualifiche e profili per i quali è richiesto il solo requisito della scuola dell’obbligo, facendo salvi gli eventuali ulteriori requisiti per specifiche professionalità” (comma 1).

Dunque, il D.Lgs. n. 165 del 2001, art. 35, prevede procedure selettive o, comunque, l’avviamento degli iscritti nelle liste di collocamento (scuola dell’obbligo), ma fa salvi gli eventuali ulteriori requisiti per specifiche professionalità.

Sul punto, le Sezioni Unite di questa Corte con la sentenza n. 4685 del 9 marzo 2015 (cui adde, Cass., n. 6775 del 2017) hanno osservato che “la circostanza che con l’art. 35 (del D.Lgs. n. 165 del 2001), le assunzioni di alcune categorie di pubblici dipendenti possano avvenire mediante espletamento di procedure selettive, o mediante avviamento dei soggetti iscritti nelle liste di collocamento, rappresenta, dunque, una semplificazione dello strumento tecnico (il pubblico concorso), ma non il superamento delle esigenze di trasparenza ed imparzialità insite nel concetto di concorsualità volute dalla norma costituzionale”.

Hanno, altresì, ricordato che la Corte Costituzionale ha statuito che il concorso pubblico costituisce la forma generale ed ordinaria di reclutamento per il pubblico impiego, in quanto meccanismo strumentale all’efficienza dell’Amministrazione, e che a tale regola può derogarsi solo in presenza di peculiari situazioni giustificatrici, nell’esercizio di una discrezionalità che trova il suo limite nella necessità di garantire il buon andamento della pubblica Amministrazione ed il cui vaglio di costituzionalità passa attraverso una valutazione di ragionevolezza della scelta del legislatore; la regola stessa può ritenersi rispettata solo qualora le selezioni non siano caratterizzate da arbitrarie ed irragionevoli forme di restrizione dei soggetti legittimati a parteciparvi.

1.4. Peraltro, la dedotta lesione della tutela dell’affidamento, in ordine alla natura di prestazione di lavoro subordinato dell’attività svolta, è prospettata in modo generico dal ricorrente, che non censura adeguatamente l’interpretazione della Delib. della Giunta comunale effettuata dalla Corte d’Appello, laddove quest’ultima ha affermato che nella stessa era espressamente stabilito che l’attività svolta era un’attività volontaria agevolata dall’Amministrazione con l’esclusivo riconoscimento del diritto al rimborso delle spese di carburante.

Nel dedurre l’erroneità della motivazione con cui la Corte d’Appello ha escluso la sussistenza di un giustificato affidamento nell’assunzione, era onere del ricorrente indicare la regola interpretativa violata nell’individuare quanto previsto dalla Delib. comunale nei sensi sopra riportati, e in qual modo il ragionamento del giudice si fosse da essa discostato, con conseguente inammissibilità della doglianza che a ciò non ha ottemperato.

1.5. Ciò, peraltro, priva di rilevanza il riferimento alla sentenza CEDU Bigaeva c. Grecia, che peraltro ha ravvisato la violazione dell’art. 8 della Convenzione in un comportamento delle autorità privo di coerenza, avendo prima, per un errore, ammesso l’interessata a svolgere il tirocinio forense, non consentendo poi a quest’ultima l’accesso agli esami di abilitazione, così violando il diritto della stessa alla vita privata ai sensi dell’art. 8 della Convenzione.

Nella specie, invece, come accertato dalla Corte d’Appello, il Comune con la Delib. che aveva previsto l’attività in questione, aveva indicato il carattere volontario della stessa.

2. Con il secondo motivo di ricorso è prospettato il vizio di nullità della sentenza ai sensi dell’art. 360 c.p.c., nn. 4 e 5, per motivazione apparente e/o comunque per omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia.

Viene censurata la statuizione che non ha riconosciuto al ricorrente le retribuzioni non corrisposte. Assume il ricorrente che non è dato comprendere le ragioni della decisione. Contesta la valutazione delle risultanze istruttorie effettuata dalla Corte d’Appello, anche in ragione della propria età, incompatibile con una attività volontaristica.

2.1. Il motivo è inammissibile, sia perchè lo stesso non soddisfa l’onere di specificità della censura che le Sezioni Unite, con la sentenza n. 8077 del 2012, hanno precisato sussistere anche quando viene dedotto il vizio di cui all’art. 360 c.p.c., n. 4, atteso che il ricorrente si limita a dedurre una propria lettura delle testimonianze rese nel giudizio riportandone solo alcuni stralci; sia perchè la censura si sostanzia nella richiesta di una rivalutazione delle risultanze probatorie, inammissibile in sede di legittimità.

2.2. Va, altresì, osservato che è applicabile alla fattispecie l’art. 360 c.p.c., n. 5, nel testo modificato dalla L. 7 agosto 2012, n. 134, di conversione del D.L. 22 giugno 2012, n. 83, che consente di denunciare in sede di legittimità unicamente l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione fra le parti.

Hanno osservato le Sezioni Unite di questa Corte (Cass., S.U. n. 19881 del 2014, e Cass. S.U. n. 8053 del 2014) che la ratio dell’intervento normativo è ben espressa dai lavori parlamentari lì dove si afferma che la riformulazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5, ha la finalità di evitare l’abuso dei ricorsi per cassazione basati sul vizio di motivazione, non strettamente necessitati dai precetti costituzionali, e, quindi, di supportare la funzione nomofilattica propria della Corte di cassazione, quale giudice dello ius constitutionis e non dello ius litigatoris, se non nei limiti della violazione di legge.

Il vizio di motivazione, quindi, rileva solo allorquando l’anomalia si tramuta in violazione della legge costituzionale, “in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sè, purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, che non sono ravvisabili nella specie, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione, sicchè quest’ultima non può essere ritenuta mancante o carente solo perchè non si è dato conto di tutte le risultanze istruttorie e di tutti gli argomenti sviluppati dalla parte a sostegno della propria tesi.

3. Il ricorso deve essere rigettato.

4. Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come in dispositivo per ciascun controricorrente.

5. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del cit. art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Condanna il ricorrente al pagamento per ciascun controricorrente delle spese di giudizio che liquida in Euro 3.500,00 per compensi professionali, Euro 200,00 per esborsi, spese generali in misura del 15% e accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del citato art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 23 febbraio 2021.

Depositato in Cancelleria il 6 luglio 2021

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