Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19160 del 06/07/2021

Cassazione civile sez. lav., 06/07/2021, (ud. 27/01/2021, dep. 06/07/2021), n.19160

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Antonio – Presidente –

Dott. D’ANTONIO Enrica – Consigliere –

Dott. MANCINO Rossana – Consigliere –

Dott. CALAFIORE Daniela – Consigliere –

Dott. BUFFA Francesco – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 21365/2015 proposto da:

RETE FERROVIARIA ITALIANA S.P.A., con socio unico soggetta

all’attività di direzione e coordinamento di Ferrovie dello Stato

Italiane, in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, L. G. FARAVELLI 22, presso lo

studio dell’avvocato ARTURO MARESCA, che la rappresenta e difende

unitamente all’avvocato FRANCO BONAMICO;

– ricorrente principale –

contro

B.G., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA COSSERIA 2,

presso lo studio dell’avvocato FILIPPO AIELLO, che lo rappresenta e

difende unitamente all’avvocato PIERANGELO SCACCHI;

– controricorrente –

I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, in persona

del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso l’Avvocatura Centrale

dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli avvocati VINCENZO

TRIOLO, VINCENZO STUMPO, ANTONIETTA CORETTI;

– controricorrente – ricorrente incidentale –

contro

RETE FERROVIARIA ITALIANA S.P.A. con socio unico soggetta

all’attività di direzione e coordinamento di Ferrovie dello Stato

Italiane;

– controricorrente – ricorrente principale –

avverso la sentenza n. 92/2015 della CORTE D’APPELLO di TORINO,

depositata il 10/03/2015 R.G.N. 782/2014;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

27/01/2021 dal Consigliere Dott. FRANCESCO BUFFA.

 

Fatto

RITENUTO

che:

Il Tribunale di Verbania ingiungeva alla società Rete Ferroviaria italiana s.p.a. (d’ora in avanti, RFI) e alla (OMISSIS) s.p.a. (d’ora in avanti, (OMISSIS)) di pagare al lavoratore in epigrafe una somma a titolo di differenze retributive e TFR dovuta per attività lavorative prestate in favore della (OMISSIS) nell’ambito di appalto affidato da RFI. RFI proponeva opposizione al decreto ingiuntivo, chiedendone la revoca e, stante la dichiarazione di insolvenza di (OMISSIS) (poi seguita da fallimento), chiamando in causa anche l’INPS quale gestore del fondo di garanzia L. n. 297 del 1982,. ex art. 2. All’esito di accordo transattivo tra RFI ed il detto lavoratore per il pagamento delle differenze, il tribunale di Verbania, con sentenza del 23 maggio 2014, condannava RFI a pagare il TFR al lavoratore e accertava il diritto di RFI di ripetere le relative somme dall’INPS.

La sentenza veniva appellata dall’INPS e da RFI.

La corte d’appello di Torino, con sentenza del 10 marzo 2015, in parziale riforma della sentenza appellata, ha rigettato sia la domanda di RFI verso l’Inps, sia l’appello di RFI.

In particolare, la corte territoriale ha ritenuto, da un lato, che il datore di lavoro è soggetto obbligato al pagamento del TFR anche all’esito della L. n. 296 del 2006 e che il committente è responsabile D.Lgs. n. 276 del 2003, ex art. 29; dall’altro lato, la corte territoriale ha escluso che il committente tenuto agli obblighi dell’appaltatore verso i suoi dipendenti ex art. 29 citato possa chiedere al fondo di garanzia dell’Inps il pagamento del TFR cui è direttamente tenuto.

Avverso tale sentenza ricorre RFI per tre motivi, cui resistono il lavoratore e l’INPS con controricorso.

L’INPS propone altresì ricorso incidentale condizionato per due motivi, cui resiste RFI con controricorso. Il lavoratore ha presentato memoria.

Diritto

CONSIDERATO

che:

Con il primo motivo si deduce violazione – ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – artt. 434,436 bis, 112,115,437 c.p.c., in relazione al D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 29, D.Lgs. n. 163 del 2006, art. 25, nonchè art. 118, D.P.R. n. 207 del 2010, artt. 4,5 e 6 e ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 – nullità della sentenza, per avere trascurato (ritenendo inammissibile per tardività la relativa deduzione) che per i contratti pubblici di appalto i lavoratori devono avvalersi degli strumenti di tutela previsti dal D.Lgs. n. 163 del 2006 e che è invece inapplicabile alla fattispecie il D.Lgs. n. 276 del 2003 (aggiungendo che nella specie detta deduzione era mera difesa basata sui fatti di causa già dedotti dal lavoratore in causa).

Con il secondo motivo si deduce – ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – violazione dell’art. 1203 c.c., in relazione al D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 29, nonchè della L. n. 297 del 1982, artt. 1 e 2, anche in relazione all’art. 3 Cost. e delle direttive Europee 80/987/CEE e 2008/94/CEE, per avere la sentenza impugnata trascurato che la prestazione del fondo operava in favore dei lavoratori e dei loro “aventi diritto”, a prescindere dal titolo (individuale o universale, legale o negoziale) della successione.

Con il terzo motivo si deduce – ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 -violazione della L. n. 296 del 2006, art. 1, commi 755 e 757 e D.M. 30 gennaio 2007, nonchè dell’art. 2697 c.c., in relazione all’art. 2120 c.c. e D.Lgs. n. 76 del 2003, art. 29, comma 2, per avere la sentenza impugnata trascurato che, a seguito della L. n. 296 del 2006, il datore di lavoro versa contribuzione all’INPS andando ad alimentare il fondo che poi erogherà il TFR al lavoratore e che il datore (come adiectus) anticipa l’erogazione per conto del fondo, sicchè al mandatario non può operare la responsabilità solidale del committente che non avrebbe modo di recuperare le somme con i conguagli; si lamenta altresi che la corte territoriale abbia richiesto prova al committente degli accantonamenti effettuati presso il fondo.

Il ricorso incidentale condizionato dell’INPS è proposto per due motivi.

Con il primo motivo si deduce – ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 -violazione della L. n. 297 del 1982, art. 2, commi 1, 2, 7 e 8, artt. 442,443 e 148 att. c.p.c., nonchè art. 12 preleggi, per avere la sentenza impugnata trascurato l’improponibilità della domanda giudiziale per carenza di previa domanda amministrativa.

Con il secondo motivo si deduce – ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – violazione della L. n. 297 del 1982, art. 102, per non avere la sentenza impugnata considerato la carenza di interesse ad agire del RFI per mancanza di ammissione del credito allo stato passivo della fallita (OMISSIS).

Il primo motivo del ricorso principale è infondato.

Occorre premettere che nella specie il credito dei lavoratori al TFR è sorto al momento della cessazione dei rapporti di lavoro, e dunque nella vigenza del D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 29 e che la predetta disposizione non limita l’obbligazione solidale del committente al T.F.R. maturato a decorrere dalla sua entrata in vigore.

Ciò posto, va evidenziato che questa Corte, in fattispecie analoghe (Cass. n. 1655 24.1.20; n. 31837 del 5.12.19; n. 28446 5.11.19; n. 6333 del 2019), ha ripetutamente affermato che il T.F.R. deve essere compreso tra i trattamenti retributivi previsti del D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 29, stante la natura di retribuzione differita dell’istituto. Ne consegue che in relazione ai periodi di esecuzione dell’appalto le quote di T.F.R. devono essere incluse nei trattamenti retributivi del cui pagamento il committente è solidalmente responsabile ai sensi del cit. D.Lgs. n. 276, art. 29. Tale affermazione ha trovato conferma sul piano del diritto positivo per effetto delle modifiche poi apportate dal D.L. n. 5 del 2012, art. 21, comma 1, conv., con mod., in L. n. 35 del 2012 (cfr., fra le altre, Cass. n. 10731 del 2016 e, da ultimo, Cass. n. 19339 del 2018 cit.).

Il secondo motivo del ricorso principale è infondato alla luce dei principi affermati da questa Corte in numerosi arresti (Cass. n. 1655 del 24.1.20; n. 31837 del 5.12.19; n. 28446 5.11.19; n. 6880 del 16.3.17; n. 6361 del 10.3.17; n. 10543 del 20.5.2016), che hanno evidenziato come la posizione giuridica soggettiva della società committente non sia riconducibile a quella dell’avente diritto che beneficia della garanzia del Fondo istituito ai sensi della L. n. 297 del 1982, art. 2; è stato in proposito rilevato che il committente, solidalmente responsabile con il proprio appaltatore, ai sensi del D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 29, comma 2, non trae la propria posizione in via derivata da un dante causa (nel caso di specie, il lavoratore) come invece il cessionario del suo credito, ma presta una garanzia in favore del datore di lavoro ed a vantaggio del lavoratore, adempiendo alla quale assolve ad un’obbligazione propria, istituita ex lege, che lo legittima, come nei rapporti tra condebitori solidali, ad un’azione di regresso ai sensi dell’art. 1299 c.c., nei confronti dell’appaltatore, obbligato principale; che, pertanto, nei suoi confronti, quando si renda inadempiente, il medesimo committente può agire anche in surrogazione dei diritti del lavoratore, ai sensi dell’art. 1203 c.c., n. 3, in base al diverso titolo del rapporto di appalto assistito dal particolare obbligo di garanzia legale (cfr. Cass. 16 dicembre 2013, n. 28061); per tale ragione, è stato escluso che RFI possa essere qualificata ad alcun titolo avente diritto del lavoratore, il quale riceve la propria garanzia attraverso il meccanismo predisposto dalla speciale normativa in materia di appalto, così essendo soddisfatto del proprio credito, ed è stato chiarito che, per effetto di ciò, vengono meno, per la parte così soddisfatta, i presupposti di intervento del Fondo di Garanzia gestito dall’Inps, avendo l’adempimento del committente, obbligato solidale dell’appaltatore datore di lavoro, rimediato alla sua insolvenza, in virtù della garanzia istituita dal D.Lgs. n. 276 del 2003, art. 29, comma 2, sicchè, quest’ultimo non può sicuramente accedere a detto Fondo (cfr., nei termini richiamati, Cass. 10543 e 10544/2016 cit.).

Anche il terzo motivo del ricorso principale è infondato.

Questa Corte ha già precisato (Cass. Sez. 6-L, Ordinanza n. 27014 del 15/11/2017, Rv. 646180 – 01) che, in tema di pagamento delle quote di t.f.r. maturate dopo il 1 gennaio 2007, deve escludersi il relativo obbligo da parte del Fondo Tesoreria dello Stato, gestito dall’INPS, ove il datore di lavoro-appaltatore o il committente, obbligato solidale “ex lege”, non provino l’avvenuto versamento al Fondo, da parte di uno di essi, delle quote di t.f.r., costituendo tale circostanza un fatto estintivo della pretesa dei lavoratori nei confronti del datore di lavoro, da provarsi a cura di chi lo eccepisca (Nella specie, la Corte ha confermato la sentenza di merito che aveva ritenuto la permanenza dell’obbligo a carico del datore di lavoro-appaltatore e del committente, solidalmente responsabile del D.Lgs. n. 276 del 2003, ex art. 29, comma 2, che non avevano provato di aver effettuato i relativi versamenti al Fondo).

Se è vero che il versamento dei contributi al Fondo di Tesoreria costituisce fatto estintivo della pretesa dei lavoratori nei confronti del datore di lavoro appaltatore e, di conseguenza, nei confronti della committente, obbligata solidale ex lege, quest’ultima ha l’onere di allegazione e di prova dell’avvenuto versamento ove lo opponga in eccezione.

La L. n. 296 del 2006, art. 1, prevede, infatti, al comma 756, che la liquidazione del trattamento di fine rapporto al lavoratore viene effettuata dal Fondo di cui al precedente comma 755 “limitatamente alla quota corrispondente ai versamenti effettuati al Fondo medesimo, mentre per la parte rimanente resta a carico del datore di lavoro”. Ne consegue che RFI non poteva limitarsi a sostenere il proprio difetto di legittimazione passiva per le quote del TFR maturate dal 1 gennaio 2007, ma avrebbe dovuto dedurre di avere allegato e provato, nel giudizio di merito, i versamenti al Fondo di Tesoreria effettuati dalla società appaltatrice, il che non è avvenuto nel caso in esame (in tal senso, tra le altre, Cass., n. 15961 del 2019).

Il ricorso principale deve per quanto detto essere rigettato.

Il ricorso incidentale condizionato resta assorbito.

Le spese seguono la soccombenza.

Sussistono i presupposti processuali per il raddoppio del contributo unificato, se dovuto.

P.Q.M.

la Corte rigetta il ricorso principale, assorbito quello incidentale.

Condanna la ricorrente principale al pagamento in favore di ciascuno dei controricorrenti delle spese di lite, che liquida in Euro 2000 per compensi professionali e 200 per esborsi, oltre spese generali al 15% ed accessori come per legge.

Ai sensi del D.Lgs. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento da parte della ricorrente principale dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis, ove dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 27 gennaio 2021.

Depositato in Cancelleria il 6 luglio 2021

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