Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19159 del 17/07/2019

Cassazione civile sez. trib., 17/07/2019, (ud. 26/10/2018, dep. 17/07/2019), n.19159

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PERRINO A. Maria – Presidente –

Dott. CATALLOZZI Paolo – rel. Consigliere –

Dott. TRISCARI Giancarlo – Consigliere –

Dott. PUTATURO DONATI VISCIDO DI NOCERA M.G. – Consigliere –

Dott. GRASSO Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso iscritto al n. 23882/2011 R.G. proposto da:

Agenzia delle Entrate, in persona del Direttore pro tempore,

rappresentata e difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso

la quale è domiciliata in Roma, via dei Portoghesi, 12;

– ricorrente –

contro

Duegi Trasporti s.r.l., in persona del legale rappresentante pro

tempore, rappresentata e difesa dagli avv. Giuseppe Tenchini e Fabio

Franco, con domicilio eletto presso il loro studio, sito in Roma,

via F. de Sanctis, 4;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della

Toscana, n. 78/31/10, depositata il 30 giugno 2010.

Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 26 ottobre 2018

dal Consigliere Dott. Catallozzi Paolo;

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore

generale Dott. Mastroberardino Paola, che ha concluso chiedendo

l’accoglimento del ricorso;

uditi gli avv. Giovanni Palatiello, per la ricorrente, e Domenico

Rettura, per delega dell’avv. Franco Fabio, per la controricorrente.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. L’Agenzia delle Entrate propone ricorso per cassazione avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della Toscana, depositata il 30 giugno 2010, di reiezione dell’appello dalla medesima proposto avverso la sentenza di primo grado che aveva accolto il ricorso della Duegi Trasporti s.r.l. per l’annullamento di un avviso di accertamento con cui, relativamente all’anno 2000, era stata rideterminata l’I.v.a. dovuta e recuperata l’imposta non versata.

2. Dall’esame della sentenza si evince che, con riferimento alla prestazione del servizio di trasporto di marmo, l’Ufficio aveva contestato il mancato assoggettamento all’imposta della cd. “tassa marmi” addebitata dalla contribuente ai propri clienti.

2.1. Il giudice di appello, confermando la decisione della Commissione provinciale, ha escluso la fondatezza del gravame ritenendo che la tassa in oggetto – peraltro illegittima – non concorreva a formare la base imponibile ai sensi del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633, art. 15, comma 1, n. 3, trattandosi di tributo gravante sul proprietario del bene.

3. Il ricorso è affidato a tre motivi.

4. Resiste con controricorso la Duegi Trasporti s.r.l..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo di ricorso l’Agenzia denuncia la violazione o falsa applicazione del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 13,commi 1 e 15, art. 11, par. a, n. 2, della Direttiva 17 maggio 1977, n. 77/388/CEE, e L. 15 luglio 1911, n. 749, art. 1, per aver la sentenza impugnata negato che la società contribuente, quale trasportatore di marmi, fosse soggetto passivo dalla cd. “tassa marmi” e, conseguentemente, escluso che il relativo importo, addebitato ai clienti nelle fatture emesse, rientrasse nella base imponibile rilevante ai fini i.v.a.

La tassa in esame è stata istituita dalla L. n. 749 del 1911, art. unico, come modificata dalla L. 27 dicembre 1997, n. 449, art. 55, comma 18, il quale dispone che la stessa è dovuta in favore del comune di Carrara sui marmi escavati nel suo territorio e trasportati fuori di esso ed è applicata e riscossa dal comune all’uscita dei marmi dai suoi confini in base ad apposito regolamento da deliberarsi dal Consiglio comunale sentite le parti sociali.

Il D.L. 26 gennaio 1999, n. 8, art. 2, comma 2 ter, convertito, con modif., nella L. 25 marzo 1999, n. 75, ha chiarito che la tassa è applicata ai marmi e loro derivati ed è determinata in relazione alle esigenze della spesa comunale inerente direttamente o indirettamente alle attività del settore marmifero locale.

Con sentenza del 9 settembre 2004, Carbonati Apuani, la Corte di Giustizia ha dichiarato che tale tributo, in quanto commisurato al peso di una merce, riscosso soltanto in un comune di uno Stato membro e gravante su una categoria di merci a causa del loro trasporto oltre i confini comunali, costituisce una tassa di effetto equivalente a un dazio doganale all’esportazione, ai sensi dell’art. 23 CE, malgrado la tassa gravi anche sulle merci la cui destinazione finale si trova all’interno dello Stato membro interessato.

Con la medesima pronuncia ha aggiunto che la contrarietà alla previsione comunitaria non può essere invocata a sostegno di richieste di rimborso di importi riscossi anteriormente al 16 luglio 1992 a titolo della tassa sui marmi, salvo dai richiedenti che, prima di tale data, abbiano agito in giudizio o contestato l’imposizione con un’impugnativa equivalente.

Questa Corte ha dato seguito alle indicazioni della Corte di Giustizia, affermando l’incompatibilità della tassa con l’art. 23 del Trattato CEE e puntualizzando che il diritto al rimborso di quanto indebitamente pagato dal contribuente è subordinato alla presentazione della relativa istanza entro il termine di decadenza biennale di cui al D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 21, comma 2 (cfr. Cass. 8 luglio 2016, n. 13959).

1.2. Afferma la Corte unionale che la tassa si applica ai marmi di Carrara quando sono trasportati oltre i confini del comune di Carrara, per cui il fatto che genera l’imposizione va ravvisato dal superamento di tali confini.

Deve, dunque, ritenersi che il soggetto passivo della tassa va individuato nel soggetto nel cui nome è effettuato il trasporto dei marmi al di fuori del comune di Carrara, indipendentemente dal fatto che tale trasporto sia eseguito per conto proprio o per conto del proprietario del marmo o, comunque, di terzi committenti.

1.3. Orbene, il D.P.R. n. 633 del 1972, art. 15, comma 1, n. 3, stabilisce – in coerenza con la disciplina comunitaria (art. 11, lett. A, par. 3, lett. c), della sesta direttiva 77/388/CEE del Consiglio, del 17 maggio 1977, in materia di armonizzazione delle legislazioni degli Stati Membri relative alle imposte sulla cifra di affari – Sistema comune di imposta sul valore aggiunto: base imponibile uniforme – che non concorrono a formare la base imponibile dell’I.v.a. “le somme dovute a titolo di rimborso delle anticipazioni, fatte in nome e per conto della controparte, purchè regolarmente documentate”.

La disposizione trova la sua giustificazione nel fatto che la corresponsione di tali somme costituisce una semplice partita di giro, in ragione della diretta produzione degli effetti dell’atto nella sfera giuridica del soggetto il cui nome sia dichiarato nella conclusione dell’atto medesimo per effetto della spendita del nome, e che, come tale, non ha natura di corrispettivo per la prestazione del servizio (cfr. Cass. 17 giugno 2011, n. 13324).

1.4. Da ciò consegue che le prestazioni di servizi rese dai mandatari con rappresentanza costituiscono anticipazioni, il cui rimborso, se regolarmente documentate, non concorrono a formare la base imponibile del corrispettivo dovuto per i servizi svolti dal prestatore.

Invece, le prestazioni di servizi rese da mandatari senza rappresentanza sono considerate autonomi presupposti per l’applicazione del tributo anche nei rapporti tra mandante e mandatario, per cui le somme dovute a titolo di rimborso delle “anticipazioni” fatte da un mandatario senza rappresentanza nell’interesse della controparte, ma in nome proprio, concorrono a formare la base imponibile (cfr. Cass. 18 dicembre 2013, n. 28285; Cass. 23 ottobre 2013, n. 23999; Cass., ord., 18 luglio 2013, n. 17612).

1.5. Deve, tuttavia, evidenziarsi che il D.P.R. n. 633 del 1972, art. 13, comma 1, stabilisce – anche in questo caso in coerenza con la richiamata sesta direttiva (art. 11, lett. A, par. 2, lett. a) – che la base imponibile delle cessioni di beni e delle prestazioni di servizi è costituita dall’ammontare complessivo dei corrispettivi dovuti al cedente o prestatore secondo le condizioni contrattuali, compresi gli oneri e le spese inerenti all’esecuzione e i debiti o altri oneri verso terzi accollati al cessionario o al committente, aumentato delle integrazioni direttamente connesse con i corrispettivi dovuti da altri soggetti.

Poichè tale disposizione fa riferimento, nel determinare la base imponibile, ai “corrispettivi dovuti dal cedente”, deve ritenersi che esulano dalla stessa quei corrispettivi e quelle integrazioni del prezzo non dovute, ivi inclusi quelli riconducibili alla traslazione di imposte chieste o applicate dall’Amministrazione finanziaria in difetto di una legittima previsione di legge o dei relativi presupposti.

1.6. Da quanto esposto in precedenza discende che la Commissione regionale non ha fatto corretta applicazione delle disposizioni di legge in esame, nella parte in cui ha individuato il presupposto impositivo della cd. tassa marmi nella estrazione e nella proprietà del marmo, anzichè nel trasporto del marmo oltre i confini del comune di Carrara.

Ai fini di una corretta applicazione della disciplina fiscale in materia, il giudice di appello, muovendo da tale premessa, avrebbe dovuto verificare se il pagamento della tassa è stato effettuato dalla Duegi s.r.l. in nome e per conto della committente, ossia previa spendita di un potere rappresentativo, ovvero in nome proprio, sia pure per conto altrui: solo nel primo caso, il pagamento della tassa può dare luogo ad un’anticipazione, irrilevante, se regolarmente documentata, ai fini della determinazione della base imponibile dell’I.v.a.

Qualora, invece, il pagamento fosse stato effettuato in nome proprio, il giudice avrebbe dovuto escludere la sussistenza di un’anticipazione e valutare, ai fini della determinazione della base imponibile del servizio, se il costo traslato, rappresentato dalla cd. tassa marmi, fosse dovuto, alla luce del contenuto delle previsioni negoziali e della doverosità del tributo.

2. Con il secondo motivo la ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione del D.P.R. n. 633 del 1972, artt. 1,4 e 13,per aver il giudice di appello ritenuto illegittima l’I.v.a. contestata in quanto gravante una tassa.

2.1. Il motivo è inammissibile, in quanto da una attenta lettura della decisione si evince che la pur sibillina espressione utilizzata dalla Commissione regionale secondo cui “Infine, l’imposta Iva è da considerarsi illegittimamente pretesa quanto gravante su una tassa” deve intendersi, alla luce del ragionamento svolto dal giudice nella parte motiva che precede, nel senso che la tassa, benchè riaddebitata al committente, è estranea alla base imponibile, ai fini Iva, delle prestazioni rese in favore di quest’ultimo.

3. Con l’ultimo motivo l’Agenzia delle Entrate si duole della violazione e falsa applicazione, sotto altro profilo, del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 13, per aver la sentenza impugnata sostenuto che la cd. “tassa marmi” è stata dichiarata illegittima dalla Corte di giustizia.

3.1. Il motivo è inammissibile, poichè trattasi di affermazione priva di rilevanza ai fini della decisione, non costituendo una ratio decidend9.

4. La sentenza impugnata va, dunque, cassata in relazione al motivo accolto e rinviata, anche per le spese, alla Commissione tributaria regionale della Toscana, in diversa composizione, la quale dovrà riesaminare la questione dell’inclusione della tassa pagata dalla controricorrente nella base imponibile dell’I.v.a. secondo le indicazioni indicate in precedenza

P.Q.M.

La Corte accoglie il primo motivo di ricorso e dichiara inammissibili i restanti; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia, anche per le spese, alla Commissione tributaria regionale della Toscana, in diversa composizione.

Così deciso in Roma, il 26 ottobre 2018.

Depositato in Cancelleria il 17 luglio 2019

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