Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19159 del 15/09/2020

Cassazione civile sez. VI, 15/09/2020, (ud. 02/07/2020, dep. 15/09/2020), n.19159

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE 1

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FERRO Massimo – Presidente –

Dott. SCOTTI Umberto Luigi Cesare Giuseppe – Consigliere –

Dott. TRICOMI Laura – Consigliere –

Dott. MERCOLINO Guido – Consigliere –

Dott. FALABELLA Massimo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 9978-2018 proposto da:

B.V., G.T., elettivamente domiciliati in ROMA,

PIAZZA CAVOUR 17, presso lo studio dell’avvocato MAURIZIO CANFORA,

rappresentati e difesi dall’avvocato GAETANO FRANCHINA;

– ricorrente –

Contro

DOBANK SPA, quale procuratrice di FINO 1 SECURITISATION SRL e nella

qualità di mandataria della ASPRA FINANCE SPA, in persona del

Procuratore pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA LIMA

28, presso lo studio dell’avvocato MARCO NICOLOSI, rappresentata e

difesa dall’avvocato DANIELE SANTANGELO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1693/2017 della CORTE D’APPELLO di CATANIA,

depositata il 25/09/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 02/07/2020 dal Consigliere Relatore Dott. MASSIMO

FALABELLA.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Il 28 luglio 2009 il Tribunale di Siracusa pronunciava sentenza in due giudizi riuniti. Rigettava le domande proposte da NOT.AL. s.r.l. e dai fideiussori B.V. e G.T. nei confronti del Banco di Sicilia: domande dirette all’accertamento dell’applicazione, in quattro rapporti di conto corrente intrattenuti dalla predetta società con la banca, di interessi, capitalizzazioni, valute e commissioni non pattuite, oltre che alla condanna alla ripetizione dell’indebito correlativo. Lo stesso giudice, con riferimento al secondo giudizio, avente ad oggetto l’opposizione al decreto ingiuntivo pronunciato a fronte del saldo debitore del conto corrente, identificato col n. (OMISSIS), e della passività residua di un finanziamento, dichiarava poi illegittima la capitalizzazione trimestrale degli interessi, di valute e spese applicate dalla banca; con riguardo a un giroconto di lire 49.379.466, annotato a debito di NOT.AL. il giorno successivo all’apertura del conto corrente di cui si è appena detto, il Tribunale osservava che il Banco di Sicilia non aveva dato prova della spettanza di tale somma, disponendone, così, l’espunzione.

2. – Aspra Finance s.p.a., divenuta titolare delle posizioni controverse, impugnava la pronuncia; la società correntista e i fideiussori resistevano all’impugnazione.

La Corte di appello di Catania, con sentenza del 25 settembre 2017, accoglieva il gravame. Per quanto qui rileva, il giudice distrettuale riteneva dirimente la formazione del giudicato sulle domande proposte da NOT.AL., B. e G.: evenienza, questa, da cui discendeva, a suo avviso, la preclusione di ogni ulteriore accertamento circa l’illegittimità delle operazioni di accredito e addebito poste in essere in esecuzione dei contratti di conto corrente. Rilevava, in particolare, doversi ritenere “consolidato nel suo ammontare il saldo del conto corrente n. 410.3320.34, che pure era stato posto in discussione in virtù delle domande di ripetizione proposte nel giudizio riunito” e che l’operazione di giroconto annotata a debito della correntista in data 11 dicembre 1996 riguardava proprio il detto saldo: onde affermava che, in virtù del giudicato formatosi, la legittimità di tale operazione non poteva essere più oggetto di confutazione. Con riferimento al terzo motivo di appello, la Corte di merito osservava, poi, che nella lettera contratto del 10 dicembre 1996 risultavano espressamente convenute dalle parti sia le spese, sia i giorni di valuta da applicare ai versamenti eseguiti dalla correntista: ne ricavava che erroneamente il Tribunale aveva dichiarato l’illegittimità dei costi addebitati alla società correntista nel corso del rapporto.

3. – La sentenza della Corte etnea è impugnata per cassazione da B.V. e G.T. con un ricorso articolato in tre motivi. Resiste con controricorso, attraverso la procuratrice doBank s.p.a., FINO 1 Securitisation s.r.l., divenuta titolare del credito qui controverso. I ricorrenti hanno fatto pervenire memoria.

Il Collegio ha autorizzato la redazione della presente ordinanza in forma semplificata.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – Con il primo motivo viene dedotta l’erroneità della pronuncia impugnata nella parte in cui ha ritenuto superati il primo e il secondo motivo di appello e ha concluso per la legittimità della annotazione a debito di NOT.AL. risultante dal primo estratto conto del conto corrente n. (OMISSIS); è inoltre denunciata la violazione e falsa applicazione dell’art. 274 c.c.. Rilevano i ricorrenti che la riunione di procedimenti relativi a cause connesse non implica il venir meno dell’autonomia delle cause medesime, con la conseguenza che resta autonoma anche la posizione assunta dalle parti in ciascuno dei giudizi riuniti. La sentenza che aveva rigettato la domanda di ripetizione dell’indebito non precludeva, dunque, ad essi istanti di “continuare a contestare la fondatezza delle avverse domande della banca nell’autonomo giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, nè (sollevava) la banca dall’onere di provare la fondatezza del suo presunto credito”.

Con il secondo mezzo viene ulteriormente lamentata l’erroneità della pronuncia impugnata con riguardo all’indicato profilo; i ricorrenti si dolgono, inoltre, dell’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti e di una motivazione manifestamente contraddittoria. Viene dedotto che la Corte territoriale avrebbe mancato di considerare “d’omessa produzione degli estratti conto relativi all’intero periodo di durata del rapporto”.

I due motivi, che possono esaminarsi congiuntamente, vanno disattesi.

Come ricordato, la sentenza di primo grado riguarda due giudizi riuniti e contiene due pronunce: l’una resa sulle domande di accertamento e di ripetizione dell’indebito proposte dalla società correntista e dai fideiussori, e l’altra emessa con riguardo all’opposizione al decreto ingiuntivo richiesto e ottenuto dal Banco di Sicilia: decisione – quest’ultima – non definitiva, giacchè quel procedimento poi proseguì per l’accertamento del credito della banca.

Il fatto che la riunione dei procedimenti non faccia venir meno l’autonomia delle cause riunite nello stesso processo (principio del tutto pacifico: cfr. ad es. Cass. 13 luglio 2018, n. 18649) non esclude che la mancata impugnazione relativa alle statui7ioni rese con riferimento ad una di dette cause possa spiegare effetto sull’altra: è infatti proprio sul piano dell’alterità dei giudizi che opera il principio del dedotto e del deducibile, per il quale deve ritenersi precluso alle parti di far valere domande od eccezioni aventi ad oggetto situazioni soggettive incompatibili con quanto già accertato attraverso una sentenza passata in giudicato.

Si spiega, in tal modo, come non abbiano fondamento le censure sollevate dai ricorrenti: infatti, la legittimità del saldo debitore del conto corrente n. 410.3320.34 discende proprio dal rigetto, con sentenza passata in giudicato, delle domande proposte, nel primo giudizio, da NOT.AL. e dagli odierni ricorrenti: sicchè rettamente la Corte di merito ha escluso potesse essere oggetto di discussione la validità dell’operazione di giroconto con cui quella passività era stata trasferita sul conto corrente n. (OMISSIS) (per il cui saldo passivo era stato richiesto ed emesso il decreto ingiuntivo opposto nel secondo dei procedimenti riuniti).

2. – Con il terzo motivo di censura i ricorrenti si dolgono della violazione e falsa applicazione del contratto e dell’art. 117 t.u.b. e dell’omesso esame circa un fatto decisivo che è stato oggetto di discussione tra le parti, nonchè dell’erroneità della pronuncia con riguardo alle spese e alla postergazione delle valute. Sostengono, in sintesi, che la Corte territoriale, nell’affermare che nella lettera-contratto del 10 dicembre 1996 risultavano convenute dalle parti le spese ed i giorni valuta da applicare ai versamenti, avrebbe omesso di valutare che nella detta missiva erano indicati “il tipo o il genere di operazione che avrebbe generato la relativa spesa” e “i giorni di valuta applicati alle operazioni di addebito, certamente più rilevanti in un rapporto di conto corrente affidato”, per modo che le relative condizioni economiche risultavano assolutamente generiche e indeterminate.

La censura è inammissibile, in quanto carente di autosufficienza.

Chi ricorre per cassazione ha l’onere di indicare i documenti su cui il ricorso è fondato, non solo mediante indicazione del luogo in cui ne è avvenuta la produzione, ma altresì mercè la riproduzione diretta del contenuto che sorregge la censura oppure attraverso la riproduzione indiretta di esso con specificazione della parte del documento cui corrisponde l’indiretta riproduzione (Cass. 27 luglio 2017, n. 18679; Cass. 15 luglio 2015, n. 14784; cfr. pure Cass. 7 marzo 2018, n. 5478). Sul tema si sono espresse di recente le Sezioni Unite, che hanno precisato essere inammissibili, per violazione dell’art. 366 c.p.c., n. 6, le censure fondate su atti e documenti del giudizio di merito qualora il ricorrente si limiti a richiamare tali atti e documenti, senza riprodurli nel ricorso ovvero, laddove riprodotti, senza fornire puntuali indicazioni necessarie alla loro individuazione con riferimento alla sequenza dello svolgimento del processo inerente alla documentazione, come pervenuta presso la Corte di cassazione, al fine di renderne possibile l’esame, ovvero ancora senza precisarne la collocazione nel fascicolo di ufficio o in quello di parte e la loro acquisizione o produzione in sede di giudizio di legittimità (Cass. Sez. U. 27 dicembre 2019, n. 34469). Nel caso in esame gli istanti non hanno affatto trascritto il contenuto delle condizioni contrattuali che interessano e ciò si riflette sulla stessa/ il obiettiva comprensibilità della doglianza.

3. – In conclusione, il ricorso va respinto.

4. – Le spese del giudizio seguono la soccombenza.

PQM

La Corte:

rigetta il ricorso; condanna parte ricorrente al pagamento, in favore della parte controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 3.000.00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 100,00, ed agli accessori di legge; ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello da corrispondersi per il ricorso, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della 6a Sezione Civile, il 2 luglio 2020.

Depositato in Cancelleria il 15 settembre 2020

 

 

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