Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19153 del 17/07/2019

Cassazione civile sez. I, 17/07/2019, (ud. 13/06/2019, dep. 17/07/2019), n.19153

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GIANCOLA Maria Cristina – Presidente –

Dott. MARULLI Marco – Consigliere –

Dott. IOFRIDA Giulia – rel. Consigliere –

Dott. LAMORGESE Antonio Pietro – Consigliere –

Dott. SCALIA Laura – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 6099/2018 proposto da:

O.M., elettivamente domiciliato in Roma, Via Ludovisi n. 35,

presso lo studio dell’avvocato Lauro Massimo, rappresentato e difeso

dall’avvocato Piazza Carlo, giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

F.L., domiciliata in Roma, Piazza Cavour, presso la

Cancelleria Civile della Corte di Cassazione, rappresentata e difesa

da se medesima;

– controricorrente –

avverso il decreto della CORTE D’APPELLO di MILANO, del 01/08/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

13/06/2019 dal cons. Dott. IOFRIDA GIULIA.

Fatto

FATTI DI CAUSA

La Corte d’appello di Milano, con decreto n. 4624/2017, depositato in data 1/8/2017, – pronunciato in sede di rinvio, a seguito di cassazione, per effetto della sentenza di questa Corte n. 6919/2016, del pregresso decreto emesso dalla Corte d’appello nel 2013, nell’ambito di un procedimento ex artt. 330,333 e 336 c.p.c. promosso, dinanzi al Tribunale per i minorenni, da O.M., nei confronti di F.L., a tutela della figlia minore S., nata nel (OMISSIS) dalla relazione sentimentale tra i due, dopo l’interruzione della convivenza more uxorio tra gli stessi, al fine di sentire dichiarare la limitazione e/o sospensione della potestà genitoriale della madre, – ha sostanzialmente confermato la decisione di primo grado, del 2011, che aveva, tenuto conto dell’atteggiamento della figlia di rifiuto del padre, disposto l’affidamento condiviso della minore, collocata presso la madre, con prescrizione di un percorso psicoterapeutico alla ragazza finalizzato alla ripresa dei rapporti con il padre.

Nel pregresso decreto della Corte d’appello, cassato da questa Corte nel 2016, era stato fissato un assegno mensile di Euro 800,00, a decorrere dalla domanda, a titolo di contributo per il mantenimento della minore, oltre il 50% delle spese straordinarie (scolastiche, mediche non previste dal SSN, etc…).

In particolare, i giudici d’appello, nel decreto qui impugnato, previa audizione della minore S. e dei genitori, valutate le due consulenze tecniche espletate, respinta la richiesta dell’ O. di nuove indagini peritali, fonte di esclusivo pregiudizio per la ragazza, ormai diciassettenne, “già pesantemente provata dal lunghissimo iter processuale”, hanno sostenuto che si giustificava la conferma delle disposizioni assunte in primo grado, con affido condiviso della stessa e collocamento presso la madre, emergendo un’incapacità dei genitori di realizzare un sincero livello di comunicazione nell’interesse della figlia, una “compressione affettiva ed una difficoltà di esprimere le emozioni sentite” da parte della minore, la quale si era sentita esposta (anche a seguito della partecipazione del genitore ad una trasmissione televisiva al fine della denuncia di una situazione di alienazione parentale) ad una condizione di profondo disagio, pur nell’attuale graduale superamento di importanti sintomi psicosomatici, ed aveva espresso la volontà di essere lasciata in pace. La Corte territoriale ha osservato poi che la ragazza è prossima al compimento dei diciotto anni, allorchè potrà decidere in autonomia e che, solo in caso di apertura dei genitori al dialogo ed alla comunicazione tra loro, potrà “determinarsi a fare dei passi verso il padre, che… non le è indifferente” (formulandosi un invito ai genitori all’avvio di un percorso di mediazione presso un centro specializzato), con conseguente opportunità di revocare la statuizione con la quale si era prevista la prosecuzione da parte della stessa di un percorso psicoterapeutico.

Quanto alle statuizioni economiche, la Corte d’appello, riformando il decreto del Tribunale, h,à, in accoglimento di una richiesta della F., considerate le condizioni economiche dei genitori, le esigenze legate all’età della ragazza, il totale accudimento della stessa ad opera della madre, collocataria, ha disposto che il padre contribuisse al mantenimento della minore con un assegno mensile di Euro 800,00, a decorrere dalla domanda (30/6/2008).

Avverso la suddetta pronuncia, O.M. propone ricorso per cassazione, affidato a due motivi, nei confronti di F.L. (che resiste con controricorso).

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. IL ricorrente lamenta, con il primo motivo, la violazione e falsa applicazione, ex art. 360 c.p.c., n. 3, degli artt. 2 e 30 Cost., art. 8 CEDU, art. 337 ter c.c., in ordine all’affidamento della figlia minore, nonchè l’omesso esame, ex art. 360 c.p.c., n. 5, di fatto decisivo rappresentato dalle reali cause dell’atteggiamento di rifiuto da parte della figlia S. di frequentare il padre e l’error in procedendo rappresentato dalla mancata adozione, da parte dei giudici di merito, di tutte le misure necessarie a realizzare un concreto e rapido riavvicinamento della figlia con il padre, così confermando una soluzione negazionista della c.d. Sindrome di Alienazione Parentale. Con il secondo motivo, si lamenta la violazione e falsa applicazione, ex art. 360 c.p.c., nn. 3 e 4, degli artt. 2697, 147, 146, 316 bis c.c. e art. 337 ter c.c., comma 4, 115 e 116 c.p.c., in ordine ala misura del contributo al mantenimento della figlia, nonchè l’omessa ed apparente motivazione, in violazione dell’art. 111 Cost. e art. 132 c.p.c., sempre su tale profilo economico della statuizione impugnata, non avendo la Corte territoriale analizzato le esigenze attuali della minore nè le entrate effettive economiche e reddituali delle parti.

2. La prima censura è inammissibile.

Occorre rilevare che S., già diciassettenne al momento della decisione della Corte d’appello, ha compiuto 18 anni il (OMISSIS), pendente il presente ricorso per cassazione.

Ne consegue che le richieste concernenti le statuizioni relative all’affidamento della minore ed il suo collocamento sono divenute inammissibili per carenza di interesse (v. Cass. 10719/2013:”quando, nelle more del giudizio di legittimità avente ad oggetto l’affidamento di figlio minore ad uno degli ex coniugi a seguito di cessazione degli effetti civili del matrimonio, sopravvenga la maggiore età del figlio, il ricorso deve essere dichiarato inammissibile per sopravvenuta carenza di interesse del ricorrente all’impugnazione”; Cass. 5383/2006). L’interesse all’impugnazione, il quale costituisce manifestazione del generale principio dell’interesse ad agire – sancito, quanto alla proposizione della domanda ed alla contraddizione alla stessa, dall’art. 100 c.p.c. – va apprezzato in relazione all’utilità concreta derivabile alla parte dall’eventuale accoglimento del gravame e non può consistere in un mero interesse astratto ad una più corretta soluzione di una questione giuridica, non avente riflessi sulla decisione adottata (Cass. 15623/2005).

Peraltro, la motivazione della Corte d’appello dà conto della precisa volontà espressa dalla ragazza, a seguito di specifica audizione (unitamente a quella dei genitori) disposta dalla Corte territoriale, ritenendo non necessarie nuove indagini peritali, in ragione del fatto che esse sarebbero state fonte di pregiudizio per la ragazza diciassettenne, già “pesantemente provata dal lunghissimo iter processuale”, e per lo stesso rapporto padre/figlia; la Corte territoriale, valutate le risultanze della audizione, ha ritenuto di dovere confermare le misure adottate dal Tribunale per i minorenni, atteso che le diverse soluzioni prospettate dal padre (affido esclusivo della figlia al padre o collocamento della stessa in una struttura comunitaria) si sarebbero rivelate destabilizzanti e sarebbero state percepite da S. come punitive.

Ora, in generale, in tema di affidamento dei figli nati fuori del matrimonio, questa Corte ha avuto modo di affermare che alla regola dell’affidamento condiviso può derogarsi soltanto se la sua applicazione risulti pregiudizievole per l’interesse del minore, precisando che ai fini dell’affidamento esclusivo non è sufficiente la mera considerazione della distanza oggettiva esistente tra i luoghi di residenza dei genitori, la quale può incidere esclusivamente sulla disciplina dei tempi e delle modalità della presenza del minore presso ciascuno di essi, o della conflittualità che caratterizza i rapporti tra gli stessi, ma occorre una specifica motivazione che tenga conto in positivo della capacità educativa del genitore affidatario ed in negativo dell’inidoneità o delle manifeste carenze dell’altro genitore (cfr. Cass., Sez. 1, 17/01/2017, n. 977; 17/12/ 2009, n. 26587; 18/06/2008, n. 16593; Cass., Sez. 6, 2/12/2010, n. 24526). La realizzazione della cd. bigenitorialità, quale presenza comune di entrambe le figure parentali nella vita del figlio e cooperazione delle stesse nell’adempimento dei doveri di assistenza, educazione ed istruzione, non comporta necessariamente una determinazione paritetica del tempo da trascorrere con il minore, risultando invece sufficiente la previsione di modalità di frequentazione tali da garantire il mantenimento di una stabile consuetudine di vita e di salde relazioni affettive con il genitore.

Nella fattispecie, la Corte d’appello ha espresso le sue motivazioni nel senso sopra esposto, confermando, per quanto qui interessa, la statuizione del Tribunale per i minorenni, di affidamento condiviso della, all’epoca, figlia minore e di collocamento esclusivo della stessa presso la madre, alla luce del manifestato rifiuto da parte della medesima.

Indubbiamente, si tratta di valutazioni di merito che hanno tenuto conto della complessiva condotta di ciascuna delle odierne parti (e del giudizio di incapacità entrambi di comprendere i reciproci bisogni e di creare relazioni serene tra essi stessi nell’interesse della figlia).

Il ricorrente, denunciando vizi di violazioni di legge del decreto impugnato, oltre alla prospettazione di questioni di mero fatto (i descritti episodi dimostrativi dell’atteggiamento ostativo assunto dalla madre, cui soltanto deve ascriversi il rifiuto manifestato dalla minore, ormai adolescente, della figura paterna), non censurabili in questa sede, non essendo consentito trasformare il giudizio di legittimità in un terzo grado di merito, nel quale ridiscutere analiticamente tanto il contenuto dei fatti storici quanto le valutazioni di quei fatti espresse dal giudice di reclamo – non condivise e per ciò solo censurate – al fine di ottenerne la sostituzione con altre più consone alle proprie aspettative (cfr., tra le più recenti, Cass. 4 aprile 2017, n. 8758), si duole essenzialmente della conferma del provvedimento del Tribunale e della mancata adozione, per tempo, di misure atte ad impedire il consolidarsi della situazione attuale, unicamente dovuta, a suo dire, all’inosservanza delle decisioni giudiziarie”.

Peraltro, la pronuncia n. 6919/2016 di questa Corte, che ha dato luogo al giudizio di rinvio nel quale è intervenuto il decreto qui impugnato, prescinde dal giudizio astratto sulla validità o invalidità scientifica della sindrome suddetta (PAS), in quanto questa Corte accolse il ricorso, rilevando una acritica adesione del giudice di merito, nella prima pronuncia della Corte d’appello, alle conclusioni del consulente tecnico d’ufficio.

Orbene, la decisione qui impugnata della Corte d’appello, che tiene conto di una situazione di fatto, ha confermato la statuizione di primo grado, in attesa del completamento del percorso individuale di crescita della minore. Indubbiamente, nella decisione della Corte distrettuale, emerge anche un giudizio critico sul comportamento dei genitori e sulla incapacità degli stessi di elaborare un processo di superamento della conflittualità interna, al fine di instaurare tra di loro responsabili relazioni, nel solo interesse della minore ad una crescita equilibrata ed ad un rapporto sereno con entrambe le figure genitoriali (e quindi anche al confronto con la figura paterna).

La critica presente in ricorso, al di là dei riferimenti all’art. 8 della CEDU – il quale, nell’imporre alle autorità nazionali il dovere di compiere ogni tentativo possibile per agevolare la conservazione o il ripristino di una congrua ed assidua frequentazione tra il minore ed il genitore non collocatario, anche nel caso in cui sussista una considerevole distanza tra il luogo di residenza di quest’ultimo e quello in cui risiede l’altro genitore, non impedisce alle stesse di conformare l’esercizio del diritto di visita secondo le modalità più idonee ad assicurare un sereno ed equilibrato svolgimento dell’esistenza del minore -, a fronte di provvedimenti, in primo ed in secondo grado, che hanno accertato il rifiuto, allo stato, della, all’epoca, minore di incontrare il padre, a seguito di un vissuto di anni e di una costante osservazione della stessa, rifiuto definito “non forzabile” (in quanto interventi coattivi sortirebbero inevitabili effetti controproducenti, pregiudicando l’equilibrio psico-emotivo della minore), non coglie profili di effettiva illegittimità della decisione impugnata.

Il vizio motivazionale è inammissibile, in quanto prospetta, in realtà, un vizio di insufficienza motivazionale, non più censurabile in questa sede di legittimità.

3. Il secondo motivo è infondato.

L’obbligo di mantenere il figlio non cessa automaticamente con il raggiungimento della maggiore età, ma si protrae, qualora questi, senza sua colpa, divenuto maggiorenne, sia tuttavia ancora dipendente dai genitori. In tale ipotesi, il coniuge separato o divorziato, già affidatario è legittimato, “iure proprio” (ed in via concorrente con la diversa legittimazione del figlio, che trova fondamento nella titolarità, in capo a quest’ultimo, del diritto al mantenimento), ad ottenere dall’altro coniuge un contributo per il mantenimento del figlio maggiorenne (Cass. 32529/2018, da ultimo).

Ora, si è osservato, a seguito della separazione personale dei coniugi, nel quantificare l’ammontare del contributo dovuto dal genitore non collocatario per il mantenimento del figlio minore, deve osservarsi il principio di proporzionalità, che richiede una valutazione comparata dei redditi di entrambi i genitori, oltre alla considerazione delle esigenze attuali del figlio e del tenore di vita da lui goduto (Cass. 4811/2018).

Non può tuttavia ritenersi che la Corte d’appello abbia trascurato di vagliare i presupposti necessari per il contributo al mantenimento della figlia all’epoca minore e collocata presso la madre (ed ora maggiorenne ma senza allegazione di una raggiunta autosufficienza economica), avendo considerato la situazione reddituale e patrimoniale dei genitori (due liberi professionisti) e le necessità di una ragazza di quasi diciotto anni (con le correlate spese scolastiche, mediche, sportive e ricreative), che vive con la madre nell’abitazione di proprietà di quest’ultima (la quale ha provveduto al suo mantenimento).

La sentenza ha fatto corretta applicazione di tali principi di diritto.

4. Per tutto quanto sopra esposto, va respinto il ricorso. Le spese, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

Essendo il procedimento esente, non si applica il D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater.

PQM

La Corte respinge il ricorso; condanna il ricorrente, al pagamento delle spese processuali del presente giudizio di legittimità, liquidate in complessivi Euro 4.000,00, a titolo di compensi, oltre 200,00 per esborsi, nonchè al rimborso forfetario delle spese generali nella misura del 15% ed agli accessori di legge.

Dispone che, ai sensi del D.Lgs. n. 198 del 2003, art. 52 siano omessi le generalità e gli altri dati identificativi, in caso di diffusione del presente provvedimento.

Così deciso in Roma, il 13 giugno 2019.

Depositato in Cancelleria il 17 luglio 2019

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