Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19152 del 17/07/2019

Cassazione civile sez. I, 17/07/2019, (ud. 13/06/2019, dep. 17/07/2019), n.19152

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GIANCOLA Maria Cristina – Presidente –

Dott. MARULLI Marco – Consigliere –

Dott. IOFRIDA Giulia – rel. Consigliere –

Dott. LAMORGESE Antonio Pietro – Consigliere –

Dott. SCALIA Laura – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 13398/2017 proposto da:

C.V., domiciliata in Roma, Piazza Cavour, presso la

Cancelleria Civile della Corte di Cassazione, rappresentata e difesa

da se medesima;

– ricorrente –

contro

Ca.Ge., elettivamente domiciliato in Roma, Via Barnaba

Tortolini n. 30, presso lo studio Agenzia Placidi S.r.l.,

rappresentato e difeso dall’avvocato Conte Mario, giusta procura in

calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso il decreto della CORTE D’APPELLO di SALERNO, depositato il

16/01/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

13/06/2019 dal cons. Dott. IOFRIDA GIULIA;

lette le conclusioni scritte del P.M. in persona del Sostituto

Procuratore Generale Dott. De Augustinis U., che ha chiesto che il

ricorso sia dichiarato inammissibile.

Fatto

FATTI DI CAUSA

La Corte d’appello di Salerno, con decreto n. 262/2017, emesso in controversia concernente, a seguito di ricorsi ex artt. 330-333 c.c., promossi da entrambi i coniugi C.V. e Ca.Ge., pendente il giudizio per la separazione giudiziale dei medesimi (con reciproche domande di addebito), contrapposte domande di declaratoria della decadenza dalla responsabilità genitoriale e di affidamento esclusivo della figlia minore R., nata nel (OMISSIS), ha confermato la decisione di primo grado, che aveva disposto l’affidamento esclusivo della minore al padre, con collocazione della stessa presso la casa di quest’ultimo e fissazione di incontri con la madre disciplinati temporalmente.

In particolare, il Tribunale di Salerno, competente sui provvedimenti limitativi o ablativi della potestà genitoriale, essendo pendente il giudizio di separazione personale tra i coniugi, acquisiti le relazioni dei Servizi Sociali incaricati e gli atti delle indagini penali non coperti da segreto (“quali fonti di conoscenza liberamente valutabili” dal giudice), aveva respinto le richieste, formulate in via principale, dal Ca. e dalla C. di decadenza dalla responsabilità genitoriale, ritenendo, in accoglimento di una domanda subordinata svolta dal Ca., di dovere modificare i provvedimenti precedentemente adottati sul medesimo tema nel giudizio di separazione personale dei coniugi (non potendo ulteriormente conservarsi, senza traumi ed occasioni di ulteriore scontro, una gestione condivisa della figlia da parte dei genitori), disponendo l’affido esclusivo della minore al padre, tenendo conto del rapporto padre-figlia, della rivendicazione del ruolo paterno avanzata dal Ca., della sua capacità, già dimostrata, di prendersi cura della figlia e della ritenuta insussistenza dei gravi fatti ascrittigli dalla C., fissando modalità, controllate dai locali servizi sociali e temporalmente definite, di incontro della minore con la madre.

I giudici d’appello, respingendo il reclamo della C., hanno sostenuto che, in un contesto di evidente conflittualità tra le parti, aggravata da un giudizio penale (avviato su denuncia della madre, per asseriti abusi sessuali commessi dal padre sulla minore, accuse rivelatesi infondate), non era possibile ripristinare un affido condiviso della minore ed andava confermato l’affidamento esclusivo al padre, essendosi la C. resa responsabile, nei riguardi della figlia, di gravi fatti fortemente pregiudizievoli del ruolo paterno e di “intrusioni di natura psicologica e fisica altamente traumatizzanti…”, mentre la relazione tra padre e figlia era caratterizzata, come confermato dai servizi sociali (senza che fossero emerse le lamentate negligenze ed inefficienze di questi ultimi), da equilibrio ed affettività.

Avverso la suddetta pronuncia, C.V. propone ricorso per cassazione, affidato a quattro motivi, nei confronti di Ca.Ge. (che resiste con controricorso).

Il P.G. ha depositato conclusioni scritte.

La ricorrente ha depositato memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.La ricorrente lamenta, con il primo motivo, la violazione, ex art. 360 c.p.c., n. 3, degli artt. 1, 2, 3, 10, 11, 13, 24, 27, 29, 30, 31, 32, 97, 101, 111 e 113 Cost., della Cedu, della Direttiva 97/80/CE, della Direttiva 2000/43/CE, della L. n. 154 del 2001, della Raccomandazione del Consiglio d’Europa del 30/4/2002, del D.Lgs. n. 198 del 2006, della L. n. 30 del 2009 della L. n. 96 del 2010, della L. n. 119 del 2013, della L. n. 77 del 2013, nonchè degli artt. 2699, 2700,2712 e 2733 c.c. e artt. 61,64,101,115,116,191,201 e 295 C.p.c., artt. 75,651 e 652 c.p.p., per avere la Corte d’appello immotivatamente privato la minore del rapporto madre-figlia, senza “alcun accertamento tecnico legittimo”, e, rinviando per relationem all’istruttoria di primo grado, completamente disatteso le prove legali precostituite prodotte da essa C., nonchè per avere acquisito le mere dichiarazioni del Ca. e dei suoi informatori, dato rilievo probatorio alle relazioni degli assistenti sociali ed applicato, al pari del giudice di primo grado, la c.d. pregiudiziale penale, essendo stati trasfusi nel giudizio civile gli accertamenti tecnici disposti dal Procuratore della Repubblica, inammissibili ed inutilizzabili, nonchè per non avere disposto l’audizione della minore.

Con il secondo motivo, si lamenta l’omessa motivazione e l’illogicità della motivazione, ex art. 360 c.p.c., n. 5, in riferimento alle prove legali offerte da essa ricorrente (consulenza tecnica di parte, certificati medici, “dichiarazioni testimoniali con assunzione di responsabilità, visure camerali, lettere di diniego e/o ostruzionismo, denunce/querele della C…., foto e video, registrazioni fonografiche”), che se correttamente valutate avrebbero determinato una diversa decisione; sempre nel corpo del secondo motivo (sub. 2.2), si denuncia poi la violazione, in relazione all’art. “360 c.p.c., n. 5”, degli artt. 337 ter-quater c.p.c., L. n. 54 del 2006 e S.M.I. e artt. 342 bis c.p.c. e ss., per avere la Corte d’appello, rigettando il reclamo, senza una congrua motivazione, sottratto la minore, di soli quattro anni, alla madre, per una presunta inidoneità genitoriale della stessa, mai provata. Con il terzo motivo, la ricorrente lamenta la violazione, ex art. 360 c.p.c., n. 4, degli artt. 708 e 709 c.p.c., nonchè art. 739 c.p.c., per avere il giudice di primo grado e la Corte d’appello deciso sugli stessi fatti e circostanze sui quali si era già adita la Corte d’appello, con reclamo del Ca. avverso l’ordinanza presidenziale in sede di giudizio di separazione giudiziale dei coniugi, con asserita formazione di giudicato, non revocabile o modificabile in difetto di sopravvenienza di nuovi fatti. Infine con il quarto motivo la ricorrente denuncia sia la violazione, es art. 360 c.p.c., n. 3, degli artt. 91 c.p.c. e ss., sia l’omessa motivazione, ex art. 360 c.p.c., n. 5, in relazione alla mancata riforma della statuizione di condanna al pagamento delle spese di primo grado ed alla mancata liquidazione delle spese, rimesse dalla Corte d’appello “alla fase di merito, del giudizio di primo grado”.

2. Il ricorso risulta, anzitutto, ammissibile, contrariamente a quanto eccepito dal controricorrente, alla luce dell’orientamento da ultimo espresso da questo giudice di legittimità favorevole all’ammissibilità del ricorso straordinario per cassazione avverso i provvedimenti c.d. de potestate, in ragione dell’attitudine degli stessi al giudicato rebus sic stantibus (Cass. S.U. 32359/2018; Cass. 4099/2018; Cass. 23633/2016). Nella specie, il provvedimento qui impugnato è stato emesso nell’ambito di un procedimento avviato ex artt. 330 e 333 c.c., anche se il Tribunale (e la Corte d’appello nel confermare la statuizione di primo grado) ha ritenuto di accogliere la richiesta, subordinata, di modifica del regime dell’affidamento della minore, respingendo le richieste, in via principale, di provvedimenti di decadenza ella responsabilità genitoriale.

3. Il terzo motivo, avente rilievo pregiudiziale, implicando error in procedendo, è infondato.

La ricorrente assume che il ricorso proposto dal Ca., ai sensi degli artt. 330 e 333 c.c. (non anche quello dalla stessa, parimenti, promosso), dinanzi al Tribunale di Salerno, era inammissibile, in quanto costituente una duplicazione del reclamo già proposto dinanzi alla Corte d’appello di Salerno, avverso i provvedimenti Presidenziali temporanei ed urgenti resi ex art. 708 c.p.c., comma 3.

Ora, a parte ogni rilievo in punto di ammissibilità della doglianza, atteso che su tale questione la Corte d’appello nulla dice e la ricorrente avrebbe dovuto indicare, nel presente ricorso per cassazione, dove e quando l’eccezione era stata sollevata nel merito, risulta all’evidenza che diversi sono i presupposti dei provvedimenti ex art. 330, di decadenza della responsabilità genitoriale sui figli, e art. 333, condotta del genitore pregiudizievole ai figli, c.c. e di quelli, temporanei ed urgenti, adottati “nell’interesse della prole e dei coniugi” sia, ex art. 708 c.p.c., comma 3, dal Presidente del Tribunale e sia, ex art. 709 c.p.c., comma 4, dal giudice istruttore nel successivo corso del medesimo giudizio separatizio.

In ogni caso, i provvedimenti adottati, in via temporanea ed urgente, dal Presidente in sede di comparizione dei coniugi nel giudizio di separazione personale, ex art. 708 c.p.c., anche dopo la previsione della possibilità di reclamo dinanzi alla Corte d’appello, introdotta dalla Novella del 2006, sono sempre modificabili e revocabili da parte del giudice istruttore, nel giudizio di separazione, essendo destinati ad essere trasfusi nella sentenza che decide il processo (Cass. 19587/2011; Cass. 15410014 e 11279/2018; v pure Corte Cost. 322/2010), e quindi vanno distinti da quelli adottati in sede di modifica dei provvedimenti riguardanti i coniugi e la prole conseguenti la separazione, ex art. 710 c.p.c., sulla base di fatti nuovi e sopravvenuti.

4. Le prime due censure, da trattare unitariamente in quanto connesse, vertendo tutte sulla contestazione del provvedimento adottato sotto il profilo della asserita sottrazione della minore, nata nel (OMISSIS), alla madre, sono in parte inammissibili ed in parte infondate.

La Corte d’appello ha confermato il provvedimento del 2016 del Tribunale, che, all’esito di due perizie in sede penale, tenuto conto anche delle richieste di archiviazione delle denunce penali presentate dalla C. a danno del Ca. (per reati “particolarmente odiosi”, quali violenze fisiche ed abusi sessuali nei confronti della figlia), nonchè delle relazioni dei Servizi sociali del Comune di Eboli, aveva disposto l’affidamento esclusivo della minore al padre, con regolamentazione temporale degli incontri con la madre.

I motivi consistono, anzitutto, in una confusa e caotica elencazione di una serie di disposizioni, sostanziali, procedurali, costituzionali, con richiami a documenti versati in atti, così da non consentire una chiara e specifica individuazione delle doglianze lamentate avverso le statuizioni del provvedimento impugnato o comunque da renderla estremamente difficile.

In ogni caso, le censure sono inammissibili perchè rivolte essenzialmente ad una sollecitazione di un nuovo esame del merito Quanto dedotto dalla ricorrente non configura in effetti violazioni di diritto sostanziale o processuale presenti nella decisione impugnata, cosicchè il riferimento alle diverse norme civili, processuali e sostanziali, risulta palesemente inconferente, giacchè quel che viene in discussione è unicamente il modo in cui la corte di merito, cui competeva farlo, ha valutato le risultanze documentali acquisite agli atti. Si è trattato, dunque, di una valutazione di merito, come tale di stretta competenza della corte territoriale, che il riferimento alla documentazione prodotta rende adeguatamente motivata.

Quanto poi alle asserite violazioni di legge in materia di prove legali tipiche e di utilizzo di prove atipiche, deve osservarsi che, come da tempo chiarito da questa Corte (Cass. 11426/2006) “il giudice di merito può utilizzare, in mancanza di qualsiasi divieto di legge, anche prove raccolte in un diverso giudizio fra le stesse o anche fra altre parti, come qualsiasi altra produzione delle parti stesse, e può quindi trarre elementi di convincimento ed anche attribuire valore di prova esclusiva ad una perizia disposta in sede penale, tanto più se essa sia stata predisposta in relazione ad un giudizio avente ad oggetto una situazione di fatto rilevante in entrambi i processi”; inoltre, mancando nell’ordinamento processuale vigente una norma di chiusura sulla tassatività dei mezzi di prova, il giudice, potendo porre a base del proprio convincimento anche prove cd. atipiche, è legittimato ad avvalersi delle risultanze derivanti, ad es., dagli atti delle indagini preliminari svolte in sede penale, così come delle dichiarazioni verbalizzate dagli organi di polizia giudiziaria in sede di sommarie informazioni testimoniali (Cass. 1593/2017), ovvero “dichiarazioni scritte provenienti da terzi, della cui utilizzazione fornisca adeguata motivazione e che siano idonee ad offrire elementi di giudizio sufficienti, non smentiti dal raffronto critico con le altre risultanze istruttorie, senza che ne derivi la violazione del principio di cui all’art. 101 c.p.c., atteso che, sebbene raccolte al di fuori del processo, il contraddittorio si instaura con la produzione in giudizio” (Cass.17392/2015; in termini, Cass.840/2015).

Questa Corte ha poi chiarito (Cass. 1883/2019; Cass. 232/2013), sia pure in riferimento ad un procedimento per la dichiarazione dello stato di adottabilità di un minore (ma il principio può estendersi ad i procedimenti come quello in esame ex artt. 330 e 333 c.c.), che le relazioni degli assistenti sociali e degli psicologi, ancorchè non asseverate da giuramento, “costituiscono, nel quadro dei rapporti informativi, degli accertamenti e delle indagini da compiere in via sommaria e secondo il rito camerale, indizi sui quali il giudice può fondare il proprio convincimento e la cui valutazione non comporta violazione del diritto di difesa dei genitori, atteso che questi ultimi, nel successivo giudizio di impugnazione della dichiarazione di adottabilità (e già in precedenza nel giudizio di opposizione alla dichiarazione di adottabilità), hanno diritto di prendere cognizione delle relazioni, nonchè di controdedurre e di offrire prova contraria”.

Peraltro, il procedimento in oggetto è disciplinato dall’art. 336 c.c., ove si prevede che il Tribunale debba decidere in camera di consiglio, “assunte informazioni e sentito il pubblico ministero”.

La sentenza della Corte d’appello avendo valutato il complesso delle risultanze istruttorie, emergente tra l’altro dagli atti penali, dalle due perizie (una delle quali collegiale) espletate in tale sede e dalle relazioni dei Servizi sociali incaricati, risulta conforme ai suddetti principi di diritto.

Riguardo alla doglianza relativa all’omesso ascolto della minore, che, si ripete, ha compiuto quattro anni nel corso del giudizio di appello, deve rilevarsi che, seppure l’ascolto del minore di almeno dodici anni, e anche di età minore “ove capace di discernimento”, costituisce una modalità, tra le più rilevanti, di riconoscimento del suo diritto fondamentale ad essere informato e ad esprimere le proprie opinioni nei procedimenti che lo riguardano, nonchè elemento di primaria importanza nella valutazione del suo interesse (Cass. 12018/2019; Cass. 3913/2018; Cass. n. 5676 del 2017; Cass. n. 6129 del 2015; Cass. n. 19327 del 2015; Cass. S.U. n. 22238 del 2009), nella fattispecie, tuttavia, si trattava di una minore di età inferiore a cinque anni, durante il giudizio di appello (e di anni quattro durante quello di primo grado), cosicchè appare ragionevole la decisione del giudice di merito di ometterne l’ascolto, in considerazione del dato oggettivo rappresentato dall’età, non potendo, all’evidenza, la minore discernere in ordine alla materia trattata (cfr. Cass.4246/2019; Cass. 1527/2013).

La ricorrente prospetta, nel secondo motivo, anche un vizio di nullità della sentenza per omessa motivazione. Questa Corte a S.U. (Cass. nn. 8053 e 8054/2014) ha affermato che “la riformulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, disposta dal D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54 conv. in L. 7 agosto 2012, n. 134, deve essere interpretata, alla luce dei canoni ermeneutici dettati dall’art. 12 preleggi, come riduzione al “minimo costituzionale” del sindacato di legittimità sulla motivazione. Pertanto, è denunciabile in cassazione solo l’anomalia motivazionale che si tramuta in violazione di legge costituzionalmente rilevante, in quanto attinente all’esistenza della motivazione in sè, purchè il vizio risulti dal testo della sentenza impugnata, a prescindere dal confronto con le risultanze processuali. Tale anomalia si esaurisce nella “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, nella “motivazione apparente”, nel “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e nella “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa qualunque rilevanza del semplice difetto di “sufficienza” della motivazione”.

In realtà, la doglianza si risolve nella contestazione di un vizio di insufficienza motivazionale.

Va poi considerato che l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie (Cass. S.U. 8053/2014).

5. Il quarto motivo è inammissibile, in quanto, in relazione alla condanna alle spese di primo grado, operata dal Tribunale (ma dalla decisione impugnata della Corte d’appello ciò non emerge con chiarezza), la ricorrente non specifica se la statuizione era stata oggetto di specifica censura in sede di reclamo alla Corte d’appello, mentre, in relazione alla statuizione relativa alle spese della fase di reclamo, la ricorrente, a fronte della mancata liquidazione delle stesse (rimesse dalla Corte d’appello al “merito”, vale a dire al giudizio di separazione personale dei coniugi) in un procedimento in cui essa è rimasta soccombente, avrebbe dovuto allegare, essendo altrimenti la censura carente di interesse ad ottenere una riforma della decisione, il pregiudizio concretamente subito, atteso che, nel rispetto dei principi di economia processuale, di ragionevole durata del processo e di interesse ad agire, l’impugnazione non tutela l’astratta regolarità dell’attività giudiziaria ma mira ad eliminare il concreto pregiudizio subito dalla parte, sicchè l’annullamento della sentenza impugnata è necessario solo se nel successivo giudizio di rinvio il ricorrente possa ottenere una pronuncia diversa e più favorevole a quella cassata (Cass. 26157/2014; Cass.19759/2017; in punto spese processuali, Cass. 20128/2015 e Cass. 15363/2016).

6. Per tutto quanto sopra esposto, va respinto il ricorso.

Ricorrono gusti motivi, considerate tutte le peculiarità, anche processuali, della controversia, per compensare integralmente tra le parti le spese del presente giudizio di legittimità.

Essendo il procedimento esente, non si applica il D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater.

PQM

La Corte respinge il ricorso. Dichiara le spese del presente giudizio di legittimità integralmente compensate tra le parti.

Dispone che, ai sensi del D.Lgs. n. 198 del 2003, art. 52 siano omessi le generalità e gli altri dati identificativi, in caso di diffusione del presente provvedimento.

Così deciso in Roma, il 13 giugno 2019.

Depositato in Cancelleria il 17 luglio 2019

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