Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19151 del 28/09/2016


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Cassazione civile sez. VI, 28/09/2016, (ud. 27/06/2016, dep. 28/09/2016), n.19151

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CIRILLO Ettore – Presidente –

Dott. CARACCIOLO Giuseppe – Consigliere –

Dott. NAPOLITANO Lucio – Consigliere –

Dott. FEDERICO Guido – Consigliere –

Dott. VELLA Paola – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 15071-2015 proposto da:

CARISMA SPA, in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata presso la CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE,

rappresentata e difesa dall’avvocato GIUSEPPE MATONTI giusta procura

a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE (OMISSIS), in persona del Direttore pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e

difende ope legis;

– controricorrente –

avverso da sentenza n. 9998/09/2014 della COMMISSIONE TRIBUTARIA

REGIONALE di NAPOLI SEZIONE DISTACCATA di SALERNO del 09/07/2014,

depositata il 18/11/2014;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

27/06/2016 dal Consigliere Relatore Dott. VELLA Paola.

Fatto

FATTO E DIRITTO

La Corte, costituito il contraddittorio camerale sulla relazione prevista dall’art. 380 bis c.p.c., osserva quanto segale.

1. Con il primo motivo di ricorso si deduce “Violazione art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5). Motivazione errata – Illogica e contraddittorietà, per avere la C.T.R. ritenuto appellato il recupero dell’IVA (OMISSIS), quando invece l’Ufficio aveva limitato l’appello al rilievo concernente l’indeducibilità di costi relativi a “perdite su cambi derivati” ai fini delle II.DD., e per aver fatto riferimento all’inconferente art. 102 TUIR, piuttosto che all’art. 109 applicabile nel caso di specie.

2. Il secondo censura invece la “Violazione e falsa applicazione di legge D.P.R. n. 917 del 1996, art. 109, comma 5 e D.P.R. n. 917 del 1986, art. 112, – Violazione art. 360 c.p.c., comma 3. Falsa applicazione delle norme di diritto”, per avere il giudice d’appello richiamato erroneamente, “a fondamento del proprio convincimento l’art. 102”, mentre in realtà “le operazioni fuori bilancio sono disciplinate dal legislatore fiscale al D.P.R. n. 917 del 1986, art. 112”, in base al cui comma 6 si sarebbe dovuta riconoscere l’inerenza dei costi relativi alle perdite su cambi generate dagli strumenti finanziari (derivati) stipulati dalla società, operante “prevalentemente all’estero”, per prevenire il “rischio di oscillazione del tasso di cambio Euro/Dollaro”.

3. Entrambi i motivi presentano plurimi profili di inammissibilità.

4. Il primo, oltre a non essere corrispondente all’attuale paradigma del vizio motivazionale disciplinato dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), applicabile regione temporis alla fattispecie in esame, fa impropriamente leva su banali errori redazionali della sentenza impugnata assolutamente ininfluenti ai fini della decisione, correttamente incentrata sulla deducibilità di costi ai fini delle imposte dirette e sul disposto dell’art. 112 TUIR, solo formalmente digitato come “102”.

5. Il secondo, oltre a risentire della medesima inadeguatezza sopra illustrata, contiene censure in termini di “omessa motivazione” ed “omissione di pronuncia sul merito del contendere” (v. pag. 13 del ricorso) impropriamente veicolati dal tipo di vizio contestato – da proporre semmai ai sensi del successivo art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4), – e comunque affronta specifici aspetti attinenti alla valutazione del materiale probatorio acquisito (specie con riguardo alla esistenza di altri contratti derivati, che però avevano generato non perdite ma utili sui cambi; natura dell’attività svolta, consistente nel commercio all’ingrosso e al dettaglio di articoli in pelle, conceria e raffineria di pellami nel distretto delle pelli di (OMISSIS)), il cui esame, che risulta già effettuato dai giudici di merito, esula dall’ambito del giudizio di legittimità.

6. In sostanza, quanto contestato come pretesa violazione di legge sembra piuttosto integrare una contestazione sul merito della decisione, in contrasto con il granitico orientamento di questa Corte secondo il quale nemmeno il controllo di adeguatezza e logicità del giudizio di fatto – prima consentito dall’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), nella versione precedentemente in vigore – potrebbe mai sostanziarsi nella revisione del ragionamento decisorio, altrimenti risolvendosi in una vera e propria riformulazione del giudizio di fatto, incompatibile con la funzione assegnata dall’ordinamento al giudizio di legittimità (cfr., ex plurimis, Cass. nn. 959, 961 e 14233 del 2015), spettando in via esclusiva al giudice di merito la selezione degli elementi del suo convincimento (cfr. Cass. n. 26860 del 2014, n. 962 del 2015).

6. In conclusione, il ricorso va respinto e la parte ricorrente va condannata, in ragione della soccombenza, alla rifusione delle spese del presente giudizio in favore dell’amministrazione controricorrente.

PQM

La Corte dichiara inammissibili i motivi di ricorso e condanna la ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in Euro 5.600,00 oltre spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 – quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dell’art. 13, comma 1 – bis.

Così deciso in Roma, il 27 giugno 2016.

Depositato in Cancelleria il 28 settembre 2016

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