Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19150 del 19/07/2018


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Civile Sent. Sez. 3 Num. 19150 Anno 2018
Presidente: ARMANO ULIANA
Relatore: SAIJA SALVATORE

Ud. 21/02/2018

SENTENZA

PU

sul ricorso 2052-2016 proposto da:
CUOMO GIOVANNI, domiciliato ex lege in ROMA, presso la
CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e
difeso dagli avvocati ANTONIO NAPOLETANO, MARIA CUOMO
giusta procura speciale in calce al ricorso;
14.

2018
620

ricorrente

contro

GENERALIA ITALIA SPA in persona dei procuratori
speciali COLAIANNI PIERFRANCESCO e PORZIO MARCO,
elettivamente domiciliata in ROMA, VIA GIUSEPPE
FERRARI 35, presso lo studio dell’avvocato MARCO

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Data pubblicazione: 19/07/2018

VINCENTI, che la rappresenta e difende giusta procura
speciale in calce al controricorso;
– controricorrente nonchè contro

AVITABILE ALFONSO;

Nonché da:
AVITABILE ALFONSO, elettivamente domiciliato in ROMA,
CORSO TRIESTE 185, presso lo studio dell’avvocato
RAFFAELE VERSACE, rappresentato e difeso dagli
avvocati RAFFAELE PELLEGRINO, GIUSEPPE PELLEGRINO
giusta procura speciale a margine del controricorso e
ricorso incidentale;
– ricorrente incidentale contro

GENERALIA ITALIA SPA in persona dei procuratori
speciali COLAIANNI PIERFRANCESCO e PORZIO MARCO,
elettivamente domiciliata in ROMA, VIA GIUSEPPE
FERRARI 35, presso lo studio dell’avvocato MARCO
VINCENTI, che la rappresenta e difende giusta procura
speciale in calce al controricorso;
– controricorrenti all’incidentale contro

CUOMO GIOVANNI;
– intimato –

avverso la sentenza n. 5142/2014 della CORTE D’APPELLO

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– intimati –

di NAPOLI, depositata il 30/12/2014;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica
udienza del 21/02/2018 dal Consigliere Dott. SALVATORE
SAIJA;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore

rigetto del ricorso principale e incidentale;
udito l’Avvocato MARIA CUOMO;
udito l’Avvocato ROBERTO OTTI per delega;

3

Generale Dott. ALBERTO CARDINO che ha concluso per il

N. 2052/16 R.G.

FATTI DI CAUSA
Il Tribunale di Torre Annunziata, Sez. dist. di Gragnano, con sentenza del
16.5.2011, accolse la domanda proposta da Giovanni Cuomo nei confronti di
Alfonso Avitabile, odontoiatra, per i danni da questi cagionatigli per cure

pagamento in favore dell’attore della somma di C 10.329,14 per la restituzione
del compenso pagato, e di C 61.666,00 a titolo risarcitorio, oltre accessori; il
Tribunale accolse anche la domanda di manleva del medico nei confronti della
propria Compagnia assicuratrice, Assitalia-Le Assicurazioni d’Italia s.p.a.
Proposto appello principale da Alfonso Avitabile, nonché in via incidentale dalla
Compagnia, la Corte d’appello di Napoli, con sentenza del 30.12.2014, li
accolse entrambi parzialmente, condannando l’Avitabile al pagamento in favore
del Cuomo della minor somma di C 25.783,00 a titolo risarcitorio e rigettando la domanda di garanzia dell’Avitabile nei confronti della predetta Compagnia.
Giovanni Cuomo ricorre ora per cassazione, affidandosi a due motivi. Resistono
con controricorso Generali Italia s.p.a. (già INA-Assitalia) e Alfonso Avitabile,
che propone anche ricorso incidentale, affidato a due motivi, di cui uno
condizionato, cui resiste con autonomo controricorso la stessa Compagnia.
RAGIONI DELLA DECISIONE
RICORSO PRINCIPALE
1.1 – Con il primo motivo, si deduce violazione e falsa applicazione degli artt.
352 e 112, con riferimento agli artt. 342, 345 e 346 c.p.c. Rileva il ricorrente
che la Corte d’appello, nella interpretazione del gravame proposto
3

e■

-,

mediche errate, effettuate nell’anno 2009, condannando il convenuto al

N. 2052/16 R.G.

dall’Avitabile, non ha tenuto conto della sua formulazione letterale,
modificando in sostanza la domanda e favorendo lo stesso appellante, nei cui
confronti era maturata la decadenza, per non aver riproposto domande ed
eccezioni sulle quali esso ricorrente non aveva speso argomenti, avendo

ricorrente osserva, in proposito, che la Corte ha impropriamente valorizzato un
passaggio del gravame in cui l’Avitabile

“sembra far cenno”

ad una

preesistente patologia di cui soffriva il Cuomo – questione che, se anche
proposta, era da considerarsi comunque nuova e quindi inammissibile – per
farne derivare una riduzione del 50% del danno risarcibile.
1.2 – Con il secondo motivo, si deduce violazione e falsa applicazione degli artt.
1223 e 2697 c.c., 116 c.p.c. e 40 e 41 c.p., e ancora dell’art. 1218 c.c.
Osserva il ricorrente che la Corte territoriale, pur in presenza di una accertata
causa umana imputabile (inadempimento dell’odontoiatra) avente efficienza
causale rispetto al danno lamentato dal paziente, e della concausa, anch’essa
efficiente, del fattore naturale rappresentato dalla patologia pregressa del
danneggiato, ha erroneamente praticato un frazionamento di responsabilità sul
piano della causalità materiale, riducendo del 50% il diritto al risarcimento
spettante al ricorrente. Nel far ciò, la Corte ha disatteso il consolidato
orientamento di legittimità secondo cui “In tema di responsabilità civile,
qualora la produzione di un evento dannoso, quale una gravissima patologia
neonatale (concretatasi, nella specie, in una invalidità permanente al 100 per
cento), possa apparire riconducibile, sotto il profilo eziologico, alla
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ritenuto essersi formato il giudicato implicito sulle relative questioni. Il

N. 2052/16 R.G.

concomitanza della condotta del sanitario e del fattore naturale rappresentato
dalla pregressa situazione patologica del danneggiato (la quale non sia legata
all’anzidetta condotta da un nesso di dipendenza causale), il giudice deve
accertare, sul piano della causalità materiale (rettamente intesa come

dall’art. 1227, primo comma, cod. civ.), l’efficienza eziologica della condotta
rispetto all’evento in applicazione della regola di cui all’art. 41 cod. pen. (a
mente della quale il concorso di cause preesistenti, simultanee o sopravvenute,
anche se indipendenti dall’azione del colpevole, non esclude il rapporto di
causalità fra l’azione e l’omissione e l’evento), così da ascrivere l’evento di
danno interamente all’autore della condotta illecita, per poi procedere, eventualmente anche con criteri equitativi, alla valutazione della diversa
efficienza delle varie concause sul piano della causalità giuridica (rettamente
intesa come relazione tra l’evento di danno e le singole conseguenze dannose
risarcibili all’esito prodottesi) onde ascrivere all’autore della condotta,
responsabile “tout court” sul piano della causalità materiale, un obbligo
risarcitorio che non comprenda anche le conseguenze dannose non riconducibili
eziologicamente all’evento di danno, bensì determinate dal fortuito, come tale
da reputarsi la pregressa situazione patologica del danneggiato che, a sua
volta, non sia eziologicamente riconducibile a negligenza, imprudenza ed
imperizia del sanitario” (Cass. n. 15991/2011).

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relazione tra la condotta e l’evento di danno, alla stregua di quanto disposto

N. 2052/16 R.G.

RICORSO INCIDENTALE
1.3 – Con il primo motivo, deducendo violazione e falsa applicazione degli artt.
2697 c.c. e 116 c.p.c., il medico impugna la decisione nella parte in cui ha
affermato la propria – pur parziale – responsabilità. Infatti, rileva il ricorrente

Cuomo non già nell’immediatezza della interruzione delle terapie, bensì dopo
un lungo periodo, durante il quale la sua pregressa malattia s’era aggravata,
sicché era impossibile accertare se la condizione di “edentulia totale” fosse
dipesa o meno dal proprio operato. Di ciò è piena traccia nel percorso
decisionale della Corte d’appello, laddove essa ascrive al medico la
responsabilità su base meramente probabilistica, potendo appunto ritenersi
che, se la riabilitazione protesica fosse stata effettuata a regola d’arte,
probabilmente la perdita degli elementi dentari residui si sarebbe verificata
dopo un notevole lasso di tempo.
Così opinando, la Corte avrebbe violato le norme in rubrica, avendo
implicitamente affermato che qualsiasi intervento praticato sul Cuomo
dall’odontoiatra non avrebbe comunque potuto scongiurare la edentulia, ma
solo ritardarla. Conseguentemente, il nesso di causalità è non provato,
contrariamente a quanto affermato dalla Corte.
1.4 – Con il secondo motivo, proposto condizionatamente all’accoglimento del
ricorso principale, l’Avitabile deduce violazione e falsa applicazione degli artt.
2697, 1363 e ss. c.c. e 112 c.p.c. Si rileva che la Corte d’appello ha rigettato la
domanda di garanzia svolta dal medico nei confronti della propria Compagnia
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incidentale che il CTU ha proceduto ad accertare la situazione patologica del

N. 2052/16 R.G.

assicurativa, ritenendo non operante la polizza, perché questa non copriva i
danni derivanti dalla “implantologia”. Ritiene il ricorrente incidentale, invece,
che la Corte abbia violato le norme in rubrica, perché i danni patiti dal Cuomo
non derivano dall’impianto, ma dalle cure dentarie tout court, soggette alla

2.1 – Deve anzitutto affrontarsi il primo motivo del ricorso principale, che è
infondato.
Infatti, nonostante l’infelice argomentare della sentenza impugnata
“l’appellante sembra far cenno …” e

(specialmente nei seguenti passaggi:

“benché il motivo … non assurga a tema autonomo di impugnazione”), il tema
della “preesistente patologia di cui il Cuomo era affetto già prima di richiedere
le cure del dott. Avitabile”, incidendo sull’accertamento del nesso di causalità,
non può non essere stato devoluto alla cognizione della Corte territoriale,
perché col secondo motivo d’appello l’Avitabile aveva comunque contestato la
prima decisione nella parte in cui era stata accertata la correlazione tra la
condizione di edentulia totale del Cuomo e le cure da lui praticategli. Ed è
evidente che alcun giudicato interno può essersi formato sulla questione della
preesistente patologia, proprio perché l’eventuale accoglimento del detto
mezzo di gravame (se del caso, previa rinnovazione della CTU) avrebbe
comportato l’esclusione tout court del nesso di causalità, quali che fossero le
iniziali condizioni patologiche del paziente: il riferimento operato dall’Avitabile
alla preesistente patologia del Cuomo, quindi, non può assurgere al rango di
eccezione in senso proprio (affetta da novità), come invece preteso dall’odierno
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previsione della polizza in discorso.

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ricorrente principale, sicché i vizi denunciati col mezzo in esame sono
insussistenti.
3.1 – Possono adesso esaminarsi congiuntamente il secondo motivo del ricorso
principale e il primo motivo del ricorso incidentale, mettendo essi in

sia invece per negarla tout court.
La Corte d’appello, ricostruendo la vicenda – insorta perché il Cuomo,
sottoposto ad un intervento di implantologia di esito infausto, aveva
conseguito, in tesi, la perdita degli impianti e la sua condizione di edentulia (v.
ricorso, p. 3) – ha anzitutto affermato la sussistenza di una correlazione
eziologica tra la edentulia totale riscontrata al Cuomo in corso di causa e gli
interventi operati dal dott. Avitabile (p. 7).
Afferma infatti il giudice d’appello che “… se la riabilitazione protesica fosse
stata effettuata a regola d’arte secondo lo stato della scienza e della tecnica
raggiunto all’epoca, probabilmente la perdita degli elementi dentari residui e la
rimozione degli impianti ancora in sede si sarebbe verificata dopo un notevole
lasso temporale, consentendo nel frattempo al paziente una sufficiente
masticazione e un accettabile condizione estetica e fonetica (oltre che
psicologica)”. Inoltre, prosegue la Corte, è da escludere che il rifiuto del Cuomo
di continuare la terapia sia stata la causa generatrice della constatata edentulia
e della caduta degli impianti residui, sia perché l’Avitabile non ha dimostrato in
cosa consistesse il completo trattamento terapeutico ancora da attuare, sia
perché il Cuomo avvertì certamente violenti dolori nella regione mascellare
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discussione la responsabilità dell’odontoiatra, sia per affermarla nella totalità,

N. 2052/16 R.G.

sinistra e difficoltà alla masticazione, per effetto degli interventi praticati
dall’Avitabile.
Infine, la Corte evidenzia che il secondo CTU aveva rilevato che se “i
trattamenti eseguiti dal dott. Avitabile furono incongrui, il fallimento della

essere totalmente attribuita ad una condotta professionale colposa in quanto il
Cuomo presentava già una patologia paradontale diffusa che rappresenta una
condizione predisponente per la perdita degli elementi dentari e che condiziona
il buon esito degli interventi impiantologici”.
partenopea, poiché il CTU

Pertanto, prosegue la Corte

“sembra attribuire pari rilevanza causale e

all’incongruo intervento del dott. Avitabile e alla preesistente patologia
paradontale del Cuomo, il risarcimento … deve essere imputato in pari misura
e all’una e all’altra causa individuate dal CTU, riducendo per la metà il quantum 7,
del risarcimento liquidato”.
3.2 – Ora (almeno a partire dalla nota Cass. n. 15991/2011), il problema della
concomitanza ai fini della causalità tra errore del medico-chirurgo e patologia
pregressa del paziente viene affrontato dalla giurisprudenza di legittimità
attraverso la scissione tra i concetti di causalità materiale e causalità giuridica:
la prima opera sul piano fenomenologico, la seconda sul piano delle
conseguenze giuridiche a carico del danneggiante.
Se, nella verifica della causalità, prevale il fattore naturale, da intendersi come
caso fortuito e secondo il criterio del “più probabile che non”, il medico va
totalmente assolto da responsabilità perché il fatto-evento non gli è
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riabilitazione protesica, ed in particolare la perdita degli impianti, non può

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materialmente imputabile. Al contrario, deve affermarsi la sussistenza della
causalità materiale tra l’errore umano e l’evento di danno se può giungersi ad
un giudizio di irrilevanza del fattore umano pregresso, quale causa
preesistente, da sola non idonea a produrre l’evento, ex art. 41 c.p. L’errore, in

Ciò, tuttavia, non implica che il medico debba necessariamente rispondere per
l’intero dei danni arrecati al paziente, perché la compresenza di cause naturali,
quali la pregressa patologia del paziente, comporta la necessità di procedere
alla selezione dei pregiudizi risarcibili, eventualmente anche ricorrendo a criteri
equitativi, “sulla base del confronto fra le condizioni del danneggiato precedenti
l’illecito, quelle successive alla lesione e quelle che si sarebbero verificate se
non fosse intervenuto l’evento dannoso”

(così, in motivazione, Cass. n.

15991/2011. Il principio è stato ribadito da ultimo, in tema di responsabilità
medica, da Cass. n. 3893/2016 e da Cass. n. 27524/2017).
3.3.1 – Ciò posto, ritiene il Collegio che la Corte d’appello, sia pur senza aver
analiticamente scandito i necessari passaggi decisionali, abbia nella sostanza
fatto applicazione dei predetti principi.
Infatti, la Corte ha affermato la sussistenza del nesso di causalità materiale tra
l’operato dell’Avitabile e il danno, individuando quest’ultimo, nella sostanza,
non già in una condizione patologica (l’edentulia) che, in caso di corretto
adempimento da parte del medico, non si sarebbe mai determinata, bensì nel
danno certo, concreto ed attuale subito dal Cuomo (laddove afferma, p. 8, che
“probabilmente la perdita degli elementi dentari residui e la rimozione degli
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tal caso, vale ad ascrivere l’intero evento, sotto il profilo causale, al medico.

N. 2052/16 R.G.

impianti ancora in sede si sarebbe verificata dopo un notevole lasso temporale,
consentendo nel frattempo al paziente una sufficiente masticazione e un
accettabile condizione estetica e fonetica (oltre che psicologica)”), per poi
analizzare la liquidazione del danno stesso, sul piano della causalità giuridica,

medico, rispetto alla condizione finale (edentulia totale) del paziente, e ciò in
considerazione di quanto ritenuto dal CTU riguardo alla rilevanza dell’una
(errore del medico) e dell’altra causa (pregressa paradontite).
3.3.2 – Così precisato il contenuto della motivazione della sentenza impugnata,
ritiene la Corte che entrambi i motivi in esame non colgano nel segno.
Non quello spiegato dal Cuomo, perché la decisione impugnata non ha valutato
la sua condizione patologica pregressa sul piano della causalità materiale,
come preteso dal ricorrente principale, bensì proprio sul piano della
liquidazione del danno e, quindi, su quello della causalità giuridica (si veda p. 9
della sentenza: “E’ singolare che lo stesso CTU … non ne abbia poi tratto
alcuna conseguenza nella determinazione del danno liquidato al Cuomo …”):
nessuna violazione delle norme in rubrica e, specialmente, dell’art. 1223 c.c.
(né tantomeno dell’art. 116 c.p.c.) può quindi configurarsi, avendo anzi la
Corte debitamente e congruamente valorizzato la condizione patologica
pregressa del Cuomo – si ripete ai fini della liquidazione del danno – come
emergente dalla CTU, condizione invece non presa in considerazione dal
Tribunale.

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liquidandolo appunto sulla base dell’effettivo apporto della condotta del

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Per le stesse ragioni, e specularmente, è infondato anche il motivo spiegato
dall’Avitabile, perché – contrariamente a quanto da lui affermato – la Corte non
ha violato la regola in tema di onere probatorio invocata sulla base
dell’insegnamento di Cass. n. 21177/2015: in base all’accertamento del giudice

se l’Avitabile avrebbe potuto praticare terapie idonee ad evitare tout court
l’edentulia, ma piuttosto stabilire se le cure da lui in concreto praticate siano
state in grado di rallentare la stessa edentulia e di assicurare, al contempo,
migliori condizioni di vita al paziente. Tale accertamento è stato effettuato dalla
Corte sulla base delle risultanze processuali, sicché non sono stati violati né
l’art. 2697 c.c., né l’art. 116 c.p.c., avendo anzi la stessa Corte affermato che
l’Avitabile non aveva dimostrato quale fosse il completo programma
riabilitativo ancora da attuare, al fine di escludere che l’interruzione del
trattamento da parte del Cuomo fosse l’unica ragione dell’insuccesso
terapeutico, come sostenuto dal medico: ciò dimostrando, in definitiva, che è
stato proprio l’Avitabile a venir meno al proprio onere probatorio.
Entrambi i motivi in esame vanno quindi respinti.
4.1 – Venendo infine al secondo motivo (condizionato) del ricorso incidentale,
esso è inammissibile per almeno due ragioni.
La prima perché, in violazione dell’art. 366, comma 1, n. 6, c.p.c., si censura la
decisione d’appello per aver erroneamente interpretato la clausola della polizza
concernente l’esclusione della sua operatività per il rischio implantologico,
senza tuttavia indicare dove e quando detta polizza sia stata prodotta e,
12

d’appello (non specificamente censurato, sul punto), il problema non è stabilire

N. 2052/16 R.G.

soprattutto, senza riportare il contenuto della detta clausola, neanche per
riassunto.
La seconda perché è noto che “Il motivo di ricorso per cassazione che denunci
la violazione, da parte del giudice del merito, dei criteri di ermeneutica

puntuale e precisa enunciazione delle ragioni per le quali un dato criterio
sarebbe stato erroneamente applicato, non assumendo rilievo la circostanza
che nella sentenza impugnata risulti omesso l’espresso riferimento ad uno
specifico criterio interpretativo legale” (Cass. n. 15350/2017).
Si tratta di elementi, questi ultimi, totalmente mancanti nel ricorso incidentale.
5.1 – In definitiva, entrambi i ricorsi sono rigettati. Dalla reciproca
soccombenza, deriva l’integrale compensazione delle spese di lite tra il Cuomo
e l’Avitabile. Sussistono inoltre giusti motivi per l’adozione di analoga
statuizione nei rapporti tra quest’ultimo e la Compagnia.
In relazione alla data di proposizione del ricorso per cassazione (successiva al
30 gennaio 2013), può darsi atto dell’applicabilità dell’art.13, comma 1 quater,
del D.P.R. 30 maggio 2002, n.115 (nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17,
legge 24 dicembre 2012, n. 228).
P.Q.M.
rigetta il ricorso principale e il ricorso incidentale e compensa integralmente le
spese del giudizio di legittimità tra tutte le parti costituite.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater, D.P.R. 30 maggio 2002, n.115 (nel testo
introdotto dall’art. 1, comma 17, legge 24 dicembre 2012, n. 228), si dà atto
13

contrattuale di cui agli artt. 1362 e ss. c. c., deve essere formulato attraverso la

N. 2052/16 R.G.

della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente
principale e del ricorrente incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di
contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale e per il ricorso
incidentale, a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13.

giorno 21.2.2018.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Corte di cassazione, il

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