Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19148 del 19/07/2018


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Civile Ord. Sez. 3 Num. 19148 Anno 2018
Presidente: TRAVAGLINO GIACOMO
Relatore: MOSCARINI ANNA

ORDINANZA

sul ricorso 28148-2015 proposto da:
POMETTI LUCIANO, elettivamente domiciliato in ROMA,
VIA AURELIA 455, presso lo studio dell’avvocato MARIA
LUFRANO, rappresentato e difeso dall’avvocato
GIANFRANCO BARBAGALLO giusta procura in calce al
ricorso;
– ricorrente contro
2018

RIOLO SALVATORE;
– intimato –

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avverso

la

sentenza

n.

1392/2015

della

CORTE

D’APPELLO di CATANIA, depositata il 15/09/2015;
udita la relazione della causa svolta nella camera di

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Data pubblicazione: 19/07/2018

consiglio del 20/02/2018 dal Consigliere Dott. ANNA

MOSCARINI;

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FATTI DI CAUSA
Con atto notificato 1’11/12/2003 Salvatore Riolo adì il Tribunale di
Catania chiedendo la condanna del rag. Pometti al pagamento della
somma di C 100.000 quale risarcimento danni causati dal
comportamento tenuto nello svolgimento dell’attività di consulente del

che, a causa del comportamento del Pometti, l’Ispettorato del Lavoro
di Catania gli aveva contestato la mancata comunicazione
dell’assunzione del Pagano quale apprendista, gli aveva irrogato la
sanzione di C 568 e che, sempre a causa del comportamento negligente
del convenuto, l’impresa aveva perduto il diritto ad ottenere la
concessione dei contributi previsti dalla Legge Regione Sicilia n. 27/94
quantificati in C 19.506,77. Il Pometti si costituì in giudizio contestando
la domanda, rappresentò di aver svolto soltanto l’attività di consulenza
fiscale per l’azienda mentre la consulenza del lavoro era stata svolta
da Rita Pantano che collaborava con il convenuto; affermò che le
ritardate comunicazioni di assunzione del rapporto di lavoro
costituivano mere irregolarità formali sanzionate in forma pecuniaria;
chiese l’autorizzazione alla chiamata in causa della Pantano.
Il Tribunale di Catania condannò il Pometti a pagare al Riolo la somma
di C 568 oltre interessi legali dalla domanda al soddisfo e rigettò le altre
domande, compensando in parte le spese del giudizio.
Il Riolo presentò appello, chiedendo l’ammissione di una CTU in
relazione alla perdita del contributo; il Pometti si costituì resistendo e
presentando appello incidentale sulla statuizione relativa alla sanzione
pecuniaria di C 568. La Corte d’Appello di Catania accolse la domanda
di ammissione di una CTU che venne espletata, raggiungendo la
conclusione che l’azienda aveva, in astratto, tutti i presupposti per
poter accedere all’erogazione dei contributi e, all’esito dell’istruttoria,
accolse l’appello principale, condannando il Pometti a pagare al Riolo

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lavoro e fiscale in favore dell’azienda di cui il Riolo era titolare. Dedusse

la somma di C 13.502,40 oltre interessi, e le spese legali di entrambi i
gradi del giudizio. Avverso quest’ultima sentenza il Ponnetti propone
ricorso per cassazione affidato a quattro motivi. Nessuno svolge attività
difensiva per resistere al ricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE

falsa applicazione dell’art. 342 c.p.c. in relazione all’art. 360, primo co.
n. 3 c.p.c. nella parte in cui ha ritenuto inammissibile l’appello
incidentale perché aspecifico. Ad avviso del ricorrente le
argomentazioni del Tribunale erano state contestate in maniera
puntuale sicchè l’inammissibilità per violazione dell’art. 342 c.p.c. non
avrebbe dovuto essere pronunciata. La sentenza non sarebbe adeguata
alla consolidata giurisprudenza di questa Corte, secondo la quale
l’onere di specificità dei motivi di appello deve ritenersi assolto quando,
anche in assenza di una formalistica enunciazione, le argomentazioni
contrapposte dall’appellante a quelle esposte nella decisione gravata
siano tali da inficiarne il fondamento logico giuridico. (Cass., 3,
18/9/2015 n. 18307).
1.1. Il motivo è infondato. Come si desume dal testo della impugnata
sentenza, già il Giudice di primo grado aveva, in modo articolato,
motivato sulle ragioni per le quali delle funzioni di consulente del
lavoro, pur se delegate dal Pometti alla Pantano, il solo Pometti era
tenuto a rispondere nei confronti del cliente, stante che il rapporto tra
il ragioniere e la consulente del lavoro aveva una rilevanza meramente
interna, non opponibile al cliente terzo, come dimostra la circostanza,
sottolineata dalla impugnata sentenza, che il rapporto economico era
regolato esclusivamente tra il Riolo ed il Pometti. La sentenza dà atto
che il Pometti svolgesse nei confronti dell’azienda un’attività di
“consulente del lavoro e fiscale”, sicchè si ha la controprova che il
rapporto interno con la consulente Pantano non avesse assunto alcun
rilievo esterno tale da poter essere opposto al cliente. Non era

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1.Con il primo motivo il ricorrente censura la sentenza per violazione e

sufficiente affermare, come svolto dal Pometti con l’appello incidentale,
che la prestazione della Pantano non potesse essere riguardata quale
prestazione svolta in qualità di sostituto o ausiliario del prestatore
d’opera incaricato, perché avente un oggetto del tutto distinto rispetto
alla consulenza fiscale, in quanto già la sentenza di primo grado aveva

rispondere dell’attività di consulente del lavoro, ancorchè la medesima
fosse stata delegata alla Pantano. Ribadire che l’attività era stata svolta
da un soggetto terzo era censura puramente ripetitiva di quanto già
formulato nel primo grado del giudizio e non una censura specifica alla
sentenza di appello. Secondo la consolidata giurisprudenza di questa
Corte “il ricorrente non è dispensato dall’onere di specificare (a pena di
inammissibilità) il contenuto della critica mossa alla sentenza
impugnata, indicando anche specificamente i fatti processuali alla base
dell’errore denunciato, e tale specificazione deve essere contenuta
nello stesso ricorso per cassazione. Pertanto, ove il ricorrente censuri
la statuizione di inammissibilità, per difetto di specificità, di un motivo
di appello, ha l’onere di specificare nel ricorso le ragioni per cui ritiene
erronea tale statuizione del giudice di appello e sufficientemente
specifico, invece, il motivo di gravame sottoposto a quel giudice, e non
può limitarsi a rinviare all’atto di appello ma deve riportarne il
contenuto nella misura necessaria ad evidenziarne la pretesa
specificità”(Cass., 5, n. 22880 del 29/9/2017; Cass., 6-2, n. 21336 del
14/9/2017; Cass., L, n. 7332 del 23/3/2018).
Da quanto precede consegue l’infondatezza del primo motivo di ricorso.
2. Con il secondo motivo (“la violazione e falsa applicazione dell’art.

132 c.p.c. e dell’art. 111 Cost. in relazione all’art. 360, n. 3 c.p.c.
Nullità della sentenza in relazione all’art. 360 n. 4 c.p.c.”) il ricorrente
denuncia la statuizione relativa alla sanzione pecuniaria, a suo avviso
nulla perché priva di qualunque supporto motivazionale. In sostanza,
dice il ricorrente, la sentenza si basa sulla tesi secondo la quale, a
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adeguatamente argomentato come l’appellato Pometti dovesse

seguito della richiesta di integrazione documentale inoltrata
dall’Ispettorato del Lavoro, egli avrebbe dovuto prevedere la
successiva erogazione della sanzione pecuniaria.
2.1 n motivo è manifestamente infondato.
Come emerge dalla lettura della impugnata sentenza, la Corte

dando atto della conoscenza, in capo al Pometti, della contestazione
relativa alla ritardata comunicazione dell’assunzione dell’apprendista.
Lo stesso Pometti aveva inviato, qualificandosi consulente del Riolo,
una comunicazione all’Ispettorato del Lavoro di Catania, con la quale
si era detto impossibilitato a presentare i libri paga e matricola,
compresi quelli relativi al dipendente Federico Pagano, in quanto la
consulente del lavoro, Rita Pantano, li aveva smarriti e che comunque
la stessa aveva effettuato in ritardo la comunicazione di prima
assunzione. Dando atto di ciò, la Corte territoriale ha motivato in modo
più che adeguato, senza ricorrere neppure a presunzioni, circa la
consapevolezza, da parte del Pometti, dell’incombente ingiunzione di
una sanzione pecuniaria. Ne consegue la manifesta infondatezza del
relativo motivo di ricorso.
3. Con il terzo motivo di ricorso (violazione e falsa applicazione degli
artt. 1218, 1223, 2697 in relazione all’art. 360 n. 3 c.p.c.) censura la
statuizione relativa alla mancanza di prova del nesso eziologico tra
l’inadempimento del professionista ed il danno incorso al danneggiato
Riolo: non vi sarebbe certezza circa il fatto che l’istanza volta ad
ottenere l’erogazione dei contributi sarebbe stata rigettata a causa
dell’inadempimento del Pometti. Non sarebbe stata in alcun modo
provata la responsabilità del professionista né potrebbe ritenersi che la
CTU tenga il luogo della prova fornita dall’onerato, stante l’obbligo, a
carico di chi voglia far valere un diritto, di provarne i fatti costitutivi.
Secondo il ricorrente una volta che la CTU aveva acclarato il ritardo
nella comunicazione relativa all’apprendista Pagano, ciò avrebbe dato

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territoriale si è data carico di motivare adeguatamente sul punto,

luogo ad una irregolarità sanzionata con una multa pecuniaria ma non
anche alla perdita del contributo, correlato dalla legge soltanto alla
violazione degli obblighi formativi gravanti sul datore di lavoro. Ad
avviso del ricorrente la sentenza avrebbe, quindi, altresì violato l’art.
2697 c.c. in materia di onere della prova, dichiarando assolto l’onere

illegittimamente esonerato da ogni prova grazie all’ammissione della
CTU. La Corte d’Appello avrebbe errato nell’ammettere la CTU in
mancanza di prova, da parte dell’attore, del fatto costitutivo del proprio
diritto, cioè del nesso eziologico esistente tra la mancata o ritardata
istruzione circa l’assunzione di un apprendista e la perdita dei contributi
regionali.
3.1 II motivo è manifestamente infondato.
Come affermato da questa Corte proprio nella pronuncia invocata dal
ricorrente a sostegno della propria contraria tesi (Cass., 3, n. 6922 del
21/3/2012), in materia di responsabilità del professionista, gravando
sul committente l’onere di provare il danno ed il nesso causale tra la
condotta del professionista ed il danno medesimo, non potendosi il
giudice limitare a mere congetture, è necessario che, mediante l’ausilio
di una CTU, si valuti la corrispondenza tra la somma richiesta a titolo
di risarcimento del danno e quella alla quale il committente avrebbe
eventualmente avuto diritto laddove la domanda di finanziamento
fosse stata accolta. Essendo stata disposta una CTU cd. percipiente, è
risultato acclarato che il mancato ottenimento del contributo,
rappresentante la perdita la cui liquidazione è stata rapportata all’entità
dei contributi che sarebbero stati erogati, sia dipeso, in presenza di
tutti i requisiti in astratto necessari per ottenere i medesimi benefici,
esclusivamente dalla negligenza del consulente del lavoro. Nel caso di
specie, trattandosi di dover considerare presupposti giuridici che
implicavano anche la conoscenza di elementi tecnici, la CTU fu disposta
al fine, non tanto di valutare i fatti accertati o dati per esistenti, quanto

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probatorio da parte dell’attore, laddove, invece, il medesimo risultò

di accertare i fatti stessi. Secondo la giurisprudenza consolidata di
questa Corte nel caso di CTU percipiente è necessario e sufficiente che
la parte deduca il fatto che pone a fondamento del suo diritto e che il
giudice ritenga necessaria la disponibilità di specifiche cognizioni
tecniche (Cass., 3, n. 6155 del 13/3/2009; Cass., 3, n. 4792 del

consulenza tecnica percipiente, correttamente la Corte territoriale ha
argomentato che a nulla rilevasse la mancata prova di un
provvedimento di diniego, giacchè quest’ultimo non poteva che essere
la naturale conseguenza di quanto accertato dal CTU.
Da quanto precede discende l’infondatezza del terzo motivo di ricorso.
4. Con il quarto motivo il ricorrente censura l’impugnata sentenza per
violazione degli artt. 190, 112 c.p.c., 24 Cost. in relazione all’art. 360
n. 3 c.p.c. nella parte in cui la stessa non ha esaminato le
argomentazioni addotte dal Pometti in comparsa conclusionale perché
articolate al di fuori di un regolare contraddittorio.
Già nella comparsa di costituzione e risposta con appello incidentale il
Pometti avrebbe articolato tutte le proprie censure sì che la pretesa
estraneità di alcuni temi al contraddittorio delle parti semplicemente
non sussisterebbe.
4.1 n motivo è inammissibile perché privo di decisività: quand’anche
si giungesse alla conclusione che erroneamente la Corte territoriale
abbia erroneamente ritenuto non articolato adeguatamente il
contraddittorio su questioni invece ricomprese in esso, non si vede
quale decisività potrebbe essere attribuita a detto argomento, non
essendo ad esso riconducibile alcun motivo che possa autonomamente
inficiare l’impugnata sentenza. Come si desume dalla trattazione dei
precedenti motivi la sentenza impugnata è basata su più

rationes

decidendi che reggono alle avverse censure sicchè, anche in presenza
di un motivo in astratto accoglibile, le altre rationes resterebbero

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26/2/2013). Soddisfatte le condizioni richieste perché fosse disposta la

immuni da censura, sì da privare di decisività l’eventuale accoglimento
del residuo motivo di ricorso.
5. Conclusivamente il ricorso va rigettato. Non occorre provvedere
sulle spese in quanto non è stata svolta alcuna attività difensiva per
resistere al ricorso. Sussistono i presupposti, ai sensi dell’art. 13 co. 1

ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a
quello dovuto per il ricorso principale a norma del comma 1 bis dello
stesso art. 13.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso; non occorre provvedere sulle spese non
essendo stata svolta alcuna attività difensiva da parte resistente. Si dà
atto della sussistenza dei presupposti, ai sensi dell’art. 13 co. 1 quater
del d.P.R. n. 115 del 2002, per il versamento, da parte del ricorrente,
dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto
per il ricorso principale a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Terza Civile
il 20/2/2018

quater del d.P.R. n. 115 del 2002, per il versamento, da parte del

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