Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19145 del 07/09/2010

Cassazione civile sez. trib., 07/09/2010, (ud. 08/07/2010, dep. 07/09/2010), n.19145

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PAPA Enrico – Presidente –

Dott. BOGNANNI Salvatore – Consigliere –

Dott. MERONE Antonio – Consigliere –

Dott. PERSICO Mariaida – Consigliere –

Dott. BOTTA Raffaele – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

Regione Toscana, in qualità del Presidente pro tempore,

elettivamente domiciliato in Roma, Via del Viminale 43, presso l’avv.

LORENZONI Fabio, che unitamente all’avv. Vanna Console, la

rappresenta e difende, giusta delega in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Consorzio CAVET Consorzio Alta Velocità Emilia Toscana, in persona

del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in

Roma, Via della Scrofa 57, presso l’avv. PIZZONIA Giuseppe, che

unitamente all’avv. Dario Romagnoli, lo rappresenta e difende, giusta

delega a margine del controricorso e ricorso incidentale;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

C.B., elettivamente domiciliato in Roma, Via della Scrofa

57, presso l’avv. Giuseppe Pizzonia, che unitamente all’avv. Dario

Romagnoli, lo rappresenta e difende, giusta delega a margine del

controricorso e ricorso incidentale;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

G.G., elettivamente domiciliato in Roma, Via della Scrofa

57, presso l’avv. Giuseppe Pizzonia, che unitamente all’avv. Dario

Romagnoli, lo rappresenta e difende, giusta delega a margine del

controricorso e ricorso incidentale;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

S.C., elettivamente domiciliato in Roma, Via della Scrofa

57, presso l’avv. Giuseppe Pizzonia, che unitamente all’avv. Dario

Romagnoli, lo rappresenta e difende, giusta delega a margine del

controricorso e ricorso incidentale;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

R.B., elettivamente domiciliato in Roma, via della Scrofa

57, presso l’avv. Giuseppe Pizzonia, che unitamente all’avv. Dario

Romagnoli, lo rappresenta e difende, giusta delega a margine del

controricorso e ricorso incidentale;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

Ru.Al., elettivamente domiciliato in Roma, via della

Scrofa 57, presso l’avv. Giuseppe Pizzonia, che unitamente all’avv.

Dario Romagnoli, lo rappresenta e difende, giusta delega a margine

del controricorso e ricorso incidentale;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

M.R., elettivamente domiciliato in Roma, via della

Scrofa 57, presso l’avv. Giuseppe Pizzonia, che unitamente all’avv.

Dario Romagnoli, lo rappresenta e difende, giusta delega a margine

del controricorso e ricorso incidentale;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

Astaldi S.p.A. (incorporante per fusione la Italstrade S.p.A.), in

persona del legale rappresentante pro tempore, C.L. e

S.G.L., tutti elettivamente domiciliati in Roma, via

Giulio Cesare 14, presso l’avv. Gerardo Romano Cesareo, che li

rappresenta e difende, giusta delega a margine del controricorso e

ricorso incidentale;

– controricorrenti e ricorrenti incidentali –

avverso la sentenza della Commissione Tributaria Regionale della

Toscana (Firenze), Sez. 9, n. 99/9/05 del 21 novembre 2005,

depositata il 13 febbraio 2006, non notificata;

Udita la relazione svolta nella pubblica udienza dell’8 luglio 2010

dal Cons. Dott. Raffaele Botta;

Uditi gli avv.ti Vanna Console per la Regione ricorrente, Giuseppe

Russo Corvace, per delega, per i controricorrenti e ricorrenti

incidentali CAVET, C., G., S., R., Ru.,

M., e G.R.C., per i controricorrenti e

ricorrenti incidentali Astaldi S.p.A., Ca. e So.;

Udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale DE

NUNZIO Wladimiro, che ha concluso per l’accoglimento del primo,

secondo e terzo motivo del ricorso principale e per il rigetto dei

ricorsi incidentali.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

La controversia concerne la pretesa assoggettabilità al tributo previsto dalla L. n. 549 del 1995, art. 3, comma 30, dei materiali di risulta degli scavi, terre e rocce, derivanti dai lavori per la realizzazione del sistema di alta velocità per la tratta ferroviaria (OMISSIS) da parte del consorzio CAVET (mediante l’appaltatore Italstrade S.p.A., poi incorporata nella Astaldi S.p.A.) in un sito denominato (OMISSIS) per il quale era stata concessa apposita autorizzazione dall’amministrazione provinciale fiorentina. Accertato, con verbale del 27 ottobre 2000 redatto dalla Polizia Provinciale di Firenze, che non era stato tenuto il registro di carico e scarico dei rifiuti, previsto dalla L.R. Toscana n. 60 del 1996, art. 5, che non risultavano i versamenti del tributo previsto dalla L. n. 549 del 1995, art. 3, comma 30, e che non era stata presentata la dichiarazione annuale sui conferimenti in discarica di cui a quest’ultima disposizione e alla L.R. Toscana n. 60 del 1996, art. 7, venivano contestate le violazioni della L. n. 549 del 1995, art. 3, comma 31 (come modificato dal D.Lgs. n. 473 del 1997, art. 15), del D.Lgs. n. 471 del 1997, art. 3, e della L.R. Toscana n. 60 del 1996, art. 7. Trasmesso il verbale alla Regione Toscana, quest’ultima emetteva due avvisi, uno per il recupero del tributo, e un altro per l’applicazione della relativa sanzione, a carico del consorzio CAVET, della Astaldi, dei tecnici e amministratori del consorzio (il geom. C., il Dott. G., l’ing. S., il rag. R., l’ing. Ru., l’ing. M.), nonchè il direttore tecnico e il legale rappresentate della Italstrade (il perito ind. So. e il rag. Ca.).

Tutti i soggetti destinatari dei provvedimenti, ne proponevano l’impugnazione alla Commissione Tributaria Provinciale di Firenze, la quale, riuniti i ricorsi, li accoglieva, escludendo la qualificabilità come rifiuti, perchè immediatamente riutilizzabili, delle terre e rocce da scavo depositate nel sito denominato (OMISSIS) e ritenendo ostativo nella specie il giudicato formatosi sulla sentenza n. 95 del 2002, della medesima Commissione provinciale, nella quale, in una controversia tra le stesse parti, avente ad oggetto questione analoga relativa ad altro analogo sito denominato “(OMISSIS)”, erano state affrontate e risolte le questioni interpretative concernenti la disciplina applicabile nella specie, che non potevano più essere messe in discussione. La Commissione Tributaria Regionale della Toscana, con la sentenza in epigrafe, nel respingere l’appello della Regione, esclusa la rilevanza, ai fini del decidere, del giudicato di cui alla già richiamata sentenza n. 95 del 2002, riteneva che le terre e rocce da scavo non potessero essere considerate rifiuti se destinate al riutilizzo e addebitava alla Regione l’onere di provare il superamento dei limiti di concentrazione delle sostanze inquinanti nei materiali in questione ed il fatto che il Consorzio stesse in concreto realizzando una discarica. Peraltro, il giudice d’appello riteneva che il Consorzio avesse dato prova del riutilizzo dei materiali per rimodellamento e per la costruzione di un parco attrezzato.

Avverso tale sentenza la Regione Toscana propone ricorso per cassazione con tre motivi, illustrati anche con memoria. Resistono con separato controricorso, proponendo a loro volta con lo stesso atto ricorso incidentale, la CAVET con cinque motivi, il geom.

C., coordinatore delle costruzioni, il dott. G., Presidente del Consorzio, l’ing. S., Direttore generale, il rag. R., Direttore amministrativo, l’ing. Ru., Presidente del Consiglio direttivo, l’ing. M., Direttore tecnico e responsabile produzione tronco 2, con sette motivi, mentre la Astaldi S.p.A., il rag. Ca., legale rappresentate della Italstrade S.p.A., il perito ind. So., Direttore tecnico del cantiere (OMISSIS), con unico atto, unitamente al controricorso, propongono ricorso incidentale condizionato con unico motivo, illustrato anche con memoria, ripresentando anche tutti i motivi di ricorso sui quali non si sarebbe pronunciato il giudice di prime cure e non considerati dal giudice d’appello.

MOTIVAZIONE Preliminarmente deve essere disposta la riunione del ricorso principale e dei ricorsi incidentali, ai sensi dell’art. 335 c.p.c..

1. Nell’economia del giudizio deve essere dapprima esaminato il primo motivo di ricorso incidentale, identicamente sviluppato nei ricorsi della CAVET, del geom. C., del dott. G., dell’ing. S., del rag. R., dell’ing. Ru., dell’ing. M..

La censura concerne l’eccezione di giudicato esterno, respinta dall’impugnata sentenza, e che avrebbe, se accolta, la capacità di risolvere radicalmente la controversia. In particolare, secondo i ricorrenti incidentali, l’invocato giudicato “aveva stabilito che la regola giuridica da applicare per la individuazione (o per la esclusione) della natura di rifiuto … dei materiali di scavo (era) quella contenuta negli artt. 7 e 8 del decreto Ronchi, come interpretati dalla L. 21 dicembre 2001, n. 443, art. 1, commi 18, 19 e 20, c.d. legge obiettivo”: e tanto non poteva più essere messo in discussione, in una causa tra le stesse parti e avente ad oggetto una questione assolutamente analoga.

Il motivo non è fondato. Il giudice d’appello correttamente rileva che nel caso di specie non può dirsi efficace alcun giudicato esterno, stante la diversità degli atti impositivi impugnati, dei depositi di rifiuti, delle località in cui questi sono situati e soprattutto della diversa composizione dei materiali: sicchè la sentenza n. 95 del 2002, invocata dai contribuenti potrà aver valore di “precedente”, in ragione delle soluzioni date alle questioni giuridiche coinvolte, ma non di “giudicato esterno”, ostativo alla pronuncia.

2. In ordine logico deve essere poi esaminato il secondo motivo del ricorso incidentale del consorzio CAVET, identicamente articolato, come terzo motivo, nei ricorsi incidentali del geom. C., del dott. G., dell’ing. S., del rag. R., dell’ing. Ru., dell’ing. M..

La censura concerne la pretesa illegittimità degli atti impositivi impugnati in ragione delle non chiare indicazioni circa le “modalità relative alla presentazione del ricorso”, eccezione sulla quale il giudice d’appello avrebbe omesso di pronunciarsi.

Il motivo è infondato. Infatti, quand’anche fosse vero, e la formulazione non sufficientemente chiara della censura non consente di dare al quesito una risposta sicuramente positiva, la mancata o erronea indicazione nell’atto impugnabile della commissione tributaria (o di altra autorità) competente, delle forme, o del termine per proporre ricorso, non comporta la nullità dell’atto (non essendo una simile sanzione prevista nè dalla L. n. 241 del 1990, art. 3, nè dalla L. n. 212 del 2000, art. 7), ma solo il non verificarsi di eventuali conseguenze negative a carico del contribuente, come ad es. la irrimediabile decorrenza del termine di impugnazione (v. Cass. nn. 3865 del 2002; 14482 del 2003; 20532 del 2006; 20634 del 2008). Nel caso di specie, poi, non solo risulta che il ricorso sia stato efficacemente e correttamente proposto dai contribuenti, ma nemmeno è allegato e dimostrato quale sia stato il concreto danno che al diritto di difesa dei contribuenti medesimi sia potuto derivare dalle supposte non chiare indicazioni dell’atto impugnabile.

3. Infine, nel quadro di questo esame preliminare alla valutazione del ricorso principale, deve essere esaminato il secondo motivo dei ricorsi incidentali proposti dal geom. C., dal dott. G., dall’ing. S., dal rag. R., dall’ing. Ru., dall’ing. M., che lamentano la mancata allegazione all’avviso di accertamento degli atti – nella specie il verbale elevato nei confronti del consorzio CAVET dalla Provincia di Firenze sui quali sarebbe fondata, per relationem, la pretesa tributaria.

Il motivo è infondato. La censura è formulata genericamente, lamentandosi, senza nulla ulteriormente prospettare, la mancata allegazione all’avviso del verbale elevato nei confronti della CAVET che costituirebbe presupposto procedimentale dell’atto impositivo.

Detta censura non può essere accolta alla luce del principio già affermato da questa sezione, che il collegio condivide, secondo cui “in tema di motivazione degli avvisi di accertamento, l’obbligo dell’Amministrazione di allegare tutti gli atti citati nell’avviso (L. 27 luglio 2000, n. 212, art. 7) va inteso in necessaria correlazione con la finalità integrativa delle ragioni che, per l’Amministrazione emittente, sorreggono l’atto impositivo, secondo quanto dispone la L. 7 agosto 1990, n. 241, art. 3, comma 3: il contribuente ha, infatti, diritto di conoscere tutti gli atti il cui contenuto viene richiamato per integrare tale motivazione, ma non il diritto di conoscere il contenuto di tutti quegli atti, cui si faccia rinvio nell’atto impositivo e sol perchè ad essi si operi un riferimento, ove la motivazione sia già sufficiente (e il richiamo ad altri atti abbia, pertanto, mero valore narrativo), oppure se, comunque, il contenuto di tali ulteriori atti (almeno nella parte rilevante ai fini della motivazione dell’atto impositivo) sia già riportato nell’atto noto. Pertanto, in caso di impugnazione dell’avviso sotto tale profilo, non basta che il contribuente dimostri l’esistenza di atti a lui sconosciuti cui l’atto impositivo faccia riferimento, occorrendo, invece, la prova che almeno una parte del contenuto di quegli atti, non riportata nell’atto impositivo, sia necessaria ad integrarne la motivazione” (Cass. n. 26683 del 2009).

In altri termini, “ai fini dell’annullamento … il contribuente, deve provare non solo che gli atti ai quali fa riferimento l’atto impositivo (o quelli cui esso rinvia) sono a lui sconosciuti, ma anche che almeno una parte del contenuto di essi sia necessaria ad integrare (direttamente o indirettamente) la motivazione del suddetto atto impositivo, e che quest’ultimo (ovvero quelli cui esso rinvia) non la riporta, per cui non è comunque venuta a sua conoscenza” (Cass. n. 2749 del 2009).

Nulla di tutto questo sussiste nel caso di specie, anche a voler trascurare il fatto che i contribuenti, avendo la qualità di coordinatore delle costruzioni, di Presidente del Consorzio, di Direttore generale, di Direttore amministrativo, di Presidente del Consiglio direttivo, di Direttore tecnico e responsabile produzione tronco 2, erano nelle condizioni di conoscere direttamente, nell’assolvere i doveri del loro ufficio, il verbale elevato nei confronti della CAVET. 4. Superate le questioni preliminari è, quindi, possibile procedere all’analisi del ricorso principale i cui tre motivi, che possono essere esaminati congiuntamente per ragioni di connessione logica, sono intesi a censurare la sentenza impugnata, sotto il profilo della violazione di legge e del vizio di motivazione, in ordine alla individuazione e interpretazione della legge applicabile nella specie, in particolare per quanto riguarda il concetto di “rifiuto”, la possibilità di (o le condizioni per le quali sia possibile) considerare tali le “terre e rocce da scavo”, la ripartizione dell’onere della prova in ordine alla composizione e all’utilizzo dei materiali depositati in discarica ai fini della soggezione a tassazione.

5. La materia è complessa e la relativa disciplina ha subito più volte modifiche, nel corso di una intensa dialettica tra diritto nazionale e diritto comunitario.

La norma (L. n. 549 del 1995, art. 3, commi 24 e 41, applicata, per quel che concerne il giudizio in oggetto, con L.R. Toscana n. 60 del 1996) che istituisce la c.d. ecotassa per il deposito in discarica di rifiuti solidi, cioè il tributo preteso nel caso di specie dalla Regione Toscana, fa riferimento per la disciplina di detti “rifiuti” al D.P.R. n. 915 del 1982, art. 2, il cui comma 2, n. 3, classificava tra i rifiuti speciali “i materiali provenienti da demolizioni, costruzioni e scavi”, disposizione abrogata, con l’intero provvedimento, prima, dal D.Lgs. n. 22 del 1997, art. 56, comma 1, lett. b), (c.d. decreto Ronchi), e, poi, anche dal D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 264, comma 1, lett. b), (c.d. Codice dell’ambiente), 6. Il Decreto Ronchi – con il quale veniva data attuazione alle direttive comunitarie nn. 91/156/CEE sui rifiuti, 91/689/CEE sui rifiuti pericolosi e 94/62/CE sugli imballaggi e sui rifiuti di imballaggio – prevedeva:

– all’art. 6, comma 1, lett. a), definiva rifiuto “qualsiasi sostanza od oggetto che rientra nelle categorie riportate nell’allegato A e di cui il detentore si disfi o abbia deciso di disfarsi o abbia l’obbligo di disfarsi. Di tale disposizione il legislatore ha, poi, dettato una interpretazione autentica con il D.L. n. 138 del 2002, art. 14, secondo la quale si deve intendere per: a) si disti:

qualsiasi comportamento attraverso il quale in modo diretto o indiretto una sostanza, un materiale o un bene sono avviati o sottoposti ad attività di smaltimento o di recupero, secondo gli allegati B e C del D.Lgs. n. 22; b) abbia deciso di disfarsi: la volontà di destinare ad operazioni di smaltimento e di recupero, secondo gli allegati B e C del D.Lgs. n. 22, sostanze, materiali o beni; c) abbia l’obbligo di disfarsi: l’obbligo di avviare un materiale, una sostanza o un bene ad operazioni di recupero o di smaltimento, stabilito da una disposizione di legge o da un provvedimento delle pubbliche autorità o imposto dalla natura stessa del materiale, della sostanza e del bene o dal fatto che i medesimi siano compresi nell’elenco dei rifiuti pericolosi di cui all’allegato D del D.Lgs. n. 22”;

– all’art. 7, comma 3, lettera b), classificava come rifiuti speciali “i rifiuti derivanti dalle attività di demolizione, costruzione, nonchè i rifiuti pericolosi che derivano dalle attività di scavo”;

– all’art. 8, comma 2, lett. c), escludeva dalla categoria dei rifiuti, “i materiali non pericolosi che derivano dall’attività di scavo”: il comma 2 era poi interamente abrogato dal D.Lgs. 389 del 1997, art. 1, comma 9, emanato per rispondere alla nota della Commissione europea del 29 settembre 1997, n. 6465, con la quale erano state formulate alcune osservazioni sul “decreto Ronchi” ai sensi e per gli effetti dell’art. 169 del Trattato U.E. L’abrogazione del comma 2 dell’art. 8, non risolveva, tuttavia, quale dovesse essere la effettiva disciplina delle “terre e rocce da scavo”, non essendo sufficientemente chiaro se tali materiali dovessero essere considerati rifiuti solo se pericolosi o anche se non pericolosi.

7. A questo scopo fu emanata la L. n. 93 del 2001 (recante “Disposizioni in campo ambientale”), con il cui art. 10, comma 1, veniva inserita nel D.Lgs. n. 22 del 1997, art. 8, comma 1, la lettera f bis), secondo la quale erano da escludersi dal campo di applicazione della normativa sui rifiuti, “le terre e le rocce da scavo destinate all’effettivo utilizzo per reinterri, riempimenti, rilevati e macinati, con esclusione di materiali provenienti da siti inquinati e da bonifiche con concentrazione di inquinanti superiore ai limiti di accettabilità stabiliti dalle norme vigenti”.

Questa modifica era chiaramente intesa a “restringere”, in qualche misura, l’area di esclusione delle “terre e rocce da scavo” dalla disciplina dei rifiuti (recependo così, in qualche modo, l’indirizzo europeo sul “divieto” di una interpretazione restrittiva della nozione di “rifiuto”), condizionando l’esclusione ad un “effettivo utilizzo” dei materiali e ad una composizione dei medesimi priva di una concentrazione di inquinanti superiore ai limiti di accettabilità stabiliti dalla legge.

8. L’incertezza del legislatore nazionale di fronte alle norme comunitarie e-ra, tuttavia, evidente, in quanto:

– da un lato, la nuova norma era inserita in un contesto (comma 1, dell’art. 8, del “decreto Ronchi”, funzionale ad escludere dalla disciplina del decreto stesso determinati materiali in ragione del fatto che questi fossero regolati da norme speciali, norme quest’ultime inesistenti per quanto riguarda le “terre e rocce da scavo”;

– dall’altro, non era fatta chiarezza sulla circostanza se l’utilizzo delle “terre e rocce da scavo” potesse avvenire, con le medesime conseguenze (sull’esclusione dalla nozione di “rifiuto”), in luogo diverso da quello di provenienza dei materiali e su come potesse essere accertata la contaminazione dei materiali.

9. Di qui l’esigenza di dettare una norma di interpretazione autentica, alla quale il legislatore provvede con la L. n. 443 del 2001, art. 1, commi 17, 18 e 19 (c.d. “legge Lunardi” o “legge obiettivo”), i quali stabiliscono come debbano intendersi le disposizioni di cui all’art. 7, comma 3, lettera b) e all’art. 8, comma 1, lettera f-bis), del decreto Ronchi:

– il comma 17 stabilisce: “Il D.Lgs. n. 22 del 1997, art. 7 comma 3, lettera b), ed art. 8, comma 1, lettera f bis, si interpretano nel senso che le terre e rocce da scavo, anche di gallerie, non costituiscono rifiuti e sono, perciò, escluse dall’ambito di applicazione del medesimo decreto legislativo, anche quando contaminate, durante il ciclo produttivo, da sostanze inquinanti derivanti dalle attività di escavazione, perforazione e costruzione, semprechè la composizione media dell’intera massa non presenti una concentrazione di inquinanti superiore ai limiti massimi previsti dalle norme vigenti”;

– il comma 18 stabilisce: “Il rispetto dei limiti di cui al comma 17 è verificato mediante accertamenti sui siti di destinazione dei materiali da scavo. I limiti massimi accettabili sono individuati dall’allegato 1, tabella 1, colonna B, del D.M. Ambiente 25 ottobre 1999, n. 471, e successive modificazioni, salvo che la destinazione urbanistica del sito non richieda un limite inferiore”;

– il comma 19 stabilisce: “Per i materiali di cui al comma 17 si intende per effettivo utilizzo per reinterri, riempimenti, rilevati e macinati anche la destinazione a differenti cicli di produzione industriale, ivi incluso il riempimento delle cave coltivate, nonchè la ricollocazione in altro sito, a qualsiasi titolo autorizzata dall’autorità amministrativa competente, a condizione che siano rispettati i limiti di cui al comma 18 e la ricollocazione sia effettuata secondo modalità di rimodellazione ambientale del territorio interessato”.

Mediante la richiamata norma interpretativa il legislatore intende chiarire meglio le condizioni, ricorrendo le quali, le “terre e le rocce da scavo” non costituiscono un rifiuto (come, invece, di norma è): ciò accade quando tali materiali, pur contaminati, ma senza eccedere i limiti di accettabilità di concentrazione delle sostanze inquinanti (riferiti all’intera massa), siano destinate all’effettivo riutilizzo “per reinterri, riempimenti, rilevati e macinati”, in tale concetto ricompresa anche “la destinazione a differenti cicli di produzione industriale, ivi incluso il riempimento delle cave coltivate, nonchè la ricollocazione in altro sito”, ove quest’ultima sia a qualsiasi titolo autorizzata dall’autorità amministrativa competente.

10. Due sembrano emergere come elementi essenziali della fattispecie:

a) il primo, concerne la concreta ed effettiva destinazione dei materiali.

– la discarica (nel qual caso essi vanno definiti e trattati come “rifiuti”) o;

– riutilizzo per le finalità descritte dalla legge (nel qual caso essi sono esclusi dalla disciplina dei rifiuti);

b) il secondo, è la qualità dei materiali stessi, ossia il grado della loro contaminazione da agenti inquinanti.

11. La disciplina non riesce, tuttavia, a trovare una sua “tranquillità”, perchè la predetta disposizione viene modificata con la L. n. 306 del 2003, art. 23 (c.d. Legge comunitaria 2003), per effetto della quale la L. n. 443 del 2001, art. 1, commi 17, 18 e 19, vengono ad assumere i seguenti contenuti:

– comma 17: Il comma 3, lettera b), dell’art. 7 ed il comma 1, lettera f bis dell’art. 8 del D.Lgs. n. 22 del 1997, si interpretano nel senso che le terre e rocce da scavo, anche di gallerie, non costituiscono rifiuti e sono, perciò, escluse dall’ambito di applicazione del medesimo decreto legislativo solo nel caso in cui, anche quando contaminate, durante il ciclo produttivo, da sostanze inquinanti derivanti dalle attività di escavazione, perforazione e costruzione, siano utilizzate, senza trasformazioni preliminari, secondo le modalità previste nel progetto sottoposto a VIA ovvero, qualora non sottoposto a VIA, secondo le modalità previste nel progetto approvato dall’autorità amministrativa competente previo parere dell’ARPA, semprechè la composizione media dell’intera massa non presenti una concentrazione di inquinanti superiore ai limiti massimi previsti dalle norme vigenti.

– comma 18: Il rispetto dei limiti di cui al comma 17 può essere verificato in accordo alle previsioni progettuali anche mediante accertamenti sui siti di destinazione dei materiali da scavo. I limiti massimi accettabili sono individuati dall’allegato 1, tabella 1, colonna B, del D.M. ambiente 25 ottobre 1999, n. 471, e successive modificazioni, salvo che la destinazione urbanistica del sito non richieda un limite inferiore.

– comma 19: Per i materiali di cui al comma 17 si intende per effettivo utilizzo per reinterri, riempimenti, rilevati e macinati anche la destinazione a differenti cicli di produzione industriale, purchè sia progettualmente previsto l’utilizzo di tali materiali, intendendosi per tale anche il riempimento delle cave coltivate, nonchè la ricollocazione in altro sito, a qualsiasi titolo autorizzata dall’autorità amministrativa competente, previo, ove il relativo progetto non sia sottoposto a VIA, parere dell’ARPA a condizione che siano rispettati i limiti di cui al comma 18 e la ricollocazione sia effettuata secondo modalità di rimodellazione ambientale del territorio interessato. Qualora i materiali di cui al comma 17 siano destinati a differenti cicli di produzione industriale, le autorità amministrative competenti ad esercitare le funzioni di vigilanza e controllo sui medesimi cicli, provvedono a verificare, senza oneri aggiuntivi per la finanza pubblica, anche mediante l’effettuazione di controlli periodici, l’effettiva destinazione all’uso autorizzato dei materiali; a tal fine l’utilizzatore è tenuto a documentarne provenienza, quantità e specifica destinazione”.

12. Le modifiche del 2003, pur essendo apportate ad una norma di interpretazione autentica, presentano notevoli e consistenti “novità”, in quanto agli elementi essenziali dell’effettivo utilizzo delle terre e rocce da scavo e ai limiti dei loro componenti inquinanti, aggiunge ulteriori significativi elementi:

– assenza di trasformazioni preliminari per l’utilizzo dei materiali;

– utilizzazione dei medesimi secondo le modalità previste nel progetto sottoposto a VIA ovvero, qualora non sottoposto a VIA, secondo le modalità previste nel progetto approvato dall’autorità amministrativa competente previo parere dell’ARPA;

– controllo sull’effettiva destinazione dei materiali, con obbligo per l’utilizzatore di documentarne provenienza, quantità e specifica destinazione.

La portata di dette “novità” – soprattutto quella che condizione l’utilizzo dei materiali a modalità stabilite nel progetto sottoposto a VIA o dall’autorità amministrativa competente previo parere dell’ARPA – è tale, che la loro automatica applicazione retroattiva, perchè modifiche apportate ad una norma di interpretazione autentica, potrebbe avere effetti non indifferenti per gli operatori del settore: sicchè il legislatore vara una “moratoria” con il D.L. n. 355 del 2003, art. 23 octies (introdotto dalla Legge di Conversione n. 47 del 2004), stabilendo che “la L. 31 ottobre 2003, n. 306, art. 23, si applica ai lavori in corso alla data del 30 novembre 2003 a decorrere dal 31 dicembre 2004”.

13. Il contenuto della “nuova” norma “interpretativa”, successivamente confluiva sostanzialmente inalterato, sia pur in quadro di regole più ampio, nel D.Lgs. n. 152 del 2006, art. 186, che sarebbe stato a sua volta modificato, una prima volta, mediante integrale sostituzione, con il D.Lgs. n. 4 del 2008, art. 2, comma 23, a seguito della pronuncia della Corte di Giustizia del 18 dicembre 2007 in causa C-194/05 su procedura di infrazione nei confronti dell’Italia, e, poi, con il D.L. n. 185 del 2008, convertito con modificazioni dalla L. n. 13 del 2009.

14. Alla luce della descritta evoluzione del quadro normativo, la disciplina applicabile nel caso di specie è quella emergente dall’ari. 8, comma 1, lettera f-bis), del “decreto Ronchi”, così come interpretato autenticamente dall’art. 1, commi 17, 18 e 19, della “legge obiettivo”, senza tener conto, per le ragioni già dapprima enunciate, delle modifiche a quest’ultima norma apportate con la L. n. 306 del 2003, art. 23: i fatti di causa, infatti, risalgono agli anni 1998 e 1999 (accertati nell’anno 2000), fuori, quindi, del periodo di “moratoria” stabilito con il D.L. n. 355 del 2003, art. 23 octies.

15. Tanto stabilito, occorre vedere come si configura l’onere probatorio, il quale è, invero, l’elemento centrale della controversia: sicchè la soluzione di quest’ultima è legata ad una questione eminentemente di fatto.

Orbene l’onere probatorio deve essere diversamente ripartito tra le parti in conflitto rispetto ai differenti elementi della complessa fattispecie che si propone all’attenzione nella controversia in esame, i quali possono identificarsi:

a) nella qualifica di rifiuto, che deriva anzitutto dal comportamento del detentore, ritenendosi tale, sia sul piano del diritto nazionale, sia sul piano del diritto comunitario, qualsiasi materiale del quale il detentore si “disfi”, “abbia intenzione di disfarsi” o “abbia l’obbligo di disfarsi”. Trattandosi di prova relativa all’esistenza del presupposto per la legittimità dell’imposizione, spetta all’amministrazione, nel caso alla Regione, provare che il detentore dei materiali in questione si sia degli stessi “disfatto”, o abbia l’intenzione o l’obbligo di disfarsi dei medesimi;

b) nell’effettivo riutilizzo dei materiali, che può determinarne a determinate condizioni l’esclusione dalla disciplina dei rifiuti.

Trattandosi di prova relativa ad una causa di esenzione o di esclusione da un determinato tributo, spetta al contribuente provare l’effettivo riutilizzo dei materiali secondo un progetto ambientalmente compatibile;

c) nel grado di contaminazione dei materiali, che può escluderne, a determinati livelli, il riutilizzo. Trattandosi di prova relativa alle ragioni di esclusione della deroga al normale regime dei rifiuti, spetta all’amministrazione provare l’esistenza di un grado di inquinamento dei materiali superiore ai parametri di legge che impedisce il riutilizzo dei materiali stessi 16. Alla luce di siffatte considerazioni, il ricorso della Regione non è fondato, in quanto, la sentenza impugnata fa corretta applicazione della regola ora enunciata. Essa afferma, infatti, che:

– “il contribuente ha provato il riutilizzo per modellamento del territorio che costituisce parte integrante di un più vasto progetto di opera pubblica, allegando documenti da cui risulta la costruzione di un parco urbano dotato di spazi attrezzati per giochi, piste ciclabili, percorsi pedonali, zone alberate e aree a prato”;

– “le analisi dei campioni del materiale destinato alla ricollocazione ha dato risultati negativi rispetto alle soglie di inquinamento”, mentre, da un lato, “sarebbe stato onere della PA provare a suo tempo e prima della emissione degli atti impositivi il superamento di concentrazione di sostanze inquinanti” e, dall’altro, “prelievi e campionamenti dei materiali sono stati tutti effettuati nel contraddittorio della PA e con la presenza di un ente strumentale della Regione (ARPAT)”;

– “le autorizzazioni ottenute dal Consorzio per l’esercizio dei depositi e delle attività di ripristino ambientale possiedono tutti i requisiti di idoneità e nessuna di esse contiene il divieto di utilizzazione del materiale depositato”, mentre “sarebbe stato onere della Regione dimostrare che il Consorzio Cavet stava in concreto realizzando una discarica nell’area in questione”, ossia che il Consorzio si era disfatto o aveva l’intenzione o l’obbligo di disfarsi dei materiali in questione.

17. Il giudice di merito ha, in sostanza, accertato che il riutilizzo dei materiali, il cui grado di contaminazione da inquinanti era al di sotto della soglia di legge, è stato effettivo e si è realizzato all’interno di un più vasto progetto di opera pubblica, mentre manca una prova, il cui onere gravava sulla Regione, che l’ente si era disfatto, o avesse intenzione di disfarsi o avesse l’obbligo di disfarsi dei materiali. Il giudice ha verificato che, nella specie, non vi era la mera volontà dell’ente di riutilizzare i materiali in questione, ma esisteva la certezza del riutilizzo di quest’ultimi (senza alcuna trasformazione preliminare dei medesimi, trasformazione la cui esecuzione non risulta nemmeno eccepita), nel quadro della (e all’interno delle necessarie attività relative alla) realizzazione dell’opera pubblica autorizzata, secondo un progetto ambientalmente compatibile. E di ciò il giudicante si è convinto sulla base dei documenti prodotti dalla parte contribuente, documenti dai quali risultava “la costruzione di un parco urbano dotato di spazi attrezzati per giochi, piste ciclabili, percorsi pedonali, zone alberate e aree a prato”.

18. La sentenza è sotto questo aspetto congruamente motivata: il giudice, infatti, “non è tenuto a dare conto in motivazione del fatto di aver valutato analiticamente tutte le risultanze processuali, nè a confutare ogni singola argomentazione prospettata dalle parti, essendo, invece, sufficiente che egli, dopo averle vagliate nel loro complesso, indichi gli elementi sui quali intende fondare il suo convincimento e l’iter logico seguito nella valutazione degli stessi per giungere alle proprie conclusioni, implicitamente disattendendo quelli morfologicamente incompatibili con la decisione adottata” (Cass. n. 14972 del 2006).

19. La censura svolta nel terzo motivo del ricorso principale si palesa, in proposito, inammissibile in quanto intesa ad ottenere, sotto il profilo di una denunciata carenza di motivazione, una revisione dell’accertamento di fatto, in questa sede inibito in quanto le circostanze cui la parte ricorrente fa riferimento avrebbero dovuto essere oggetto di prova da parte della amministrazione, che non risulta essere stata offerta e rispetto alla cui questione il ricorso appare non autosufficiente. Dalla sentenza non emerge che sia stata sollevata in giudizio una eccezione relativa alla diversità (rispetto a quelli di cui è causa) dei materiali utilizzati per la realizzazione del “parco urbano”, nè nel ricorso risulta indicato quando e in quale atto una siffatta eccezione sia stata proposta.

20. Il ricorso principale deve essere, pertanto, respinto, con assorbimento di tutti gli altri motivi dei ricorsi incidentali, che concernono questioni assorbite nella decisione adottata dal giudice di merito e del ricorso incidentale dichiaratamente condizionato proposto dalla soc. Astaldi S.p.A., e dei sig.ri Ca. e So..

La novità e la difficoltà della questione giustificano la compensazione delle spese della presente fase del giudizio.

P.Q.M.

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE Riunisce i ricorsi. Rigetta il ricorso principale e il primo, secondo e terzo motivo dei ricorsi incidentali della CAVET, del geom.

C., del dott. G., dell’ing. S., del rag. R., dell’ing. Ru., dell’ing. M., assorbiti tutti gli altri motivi di detti ricorsi incidentali, nonchè il ricorso incidentale condizionato della Astaldi S.p.A., e dei sig.ri Ca. e S.. Compensa le spese.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 8 luglio 2010.

Depositato in Cancelleria il 7 settembre 2010

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