Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19144 del 17/07/2019

Cassazione civile sez. I, 17/07/2019, (ud. 13/03/2019, dep. 17/07/2019), n.19144

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VALITUTTI Antonio – Presidente –

Dott. MELONI Marina – Consigliere –

Dott. FEDERICO Guido – Consigliere –

Dott. PAZZI Alberto – Consigliere –

Dott. FIDANZIA Andrea – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 20476/2018 proposto da:

O.F., domiciliato in Roma, P.zza Cavour, presso la

Cancelleria Civile della Corte di Cassazione, rappresentato e difeso

dall’avvocato Rigotti Beatrice, giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Ministero dell’Interno, Procura Generale Presso Corte Appello Di

Venezia;

– intimati –

avverso il decreto del TRIBUNALE di VENEZIA, dell’1/06/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

13/03/2019 dal cons. Dott. FIDANZIA ANDREA.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Il Tribunale di Venezia, con decreto depositato in data 1 giugno 2018, ha rigettato la domanda di O.F., cittadino della Nigeria, volta ad ottenere il riconoscimento della protezione internazionale o, in subordine, della protezione umanitaria.

E’ stato, in primo luogo, ritenuto che difettassero i presupposti per il riconoscimento in capo al ricorrente dello status di rifugiato, non essendo state le sue dichiarazioni ritenute attendibili (costui aveva riferito di essere fuggito dalla Nigeria per il timore di essere ucciso dalla setta (OMISSIS) i cui adepti lo avevano sottoposto contro la sua volontà ad un cruento rito di iniziazione, colpendolo con un machete e lasciandogli delle circatrici ancora visibili).

Inoltre, con riferimento alla richiesta di protezione sussidiaria, il Tribunale di Venezia ha evidenziato l’insussistenza del rischio del ricorrente di essere esposto a grave danno in caso di ritorno nel paese d’origine, non essendovi pericolo per la sicurezza della popolazione civile nella sua regione di provenienza ((OMISSIS)).

Infine, il ricorrente non è stato comunque ritenuto meritevole del permesso per motivi umanitari, non essendo stata comprovata una sua specifica situazione di vulnerabilità personale.

Ha proposto ricorso per cassazione O.F. affidandolo a tre motivi. Il Ministero dell’Interno non ha svolto difese.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo è stata dedotta la violazione dell’art. 360, comma 1, n. 3 in relazione all’art. 116 c.p.c., comma 1, D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5 e D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3.

Lamenta il ricorrente che il Tribunale di Venezia, nel valutare la credibilità del suo racconto, non ha applicato i criteri normativi di cui all’art. 3, comma 5 legge citata, formulando un giudizio connotato da inconsistenza, genericità e superficialità, fondato su valutazioni personali.

Lamenta, altresì, che il Tribunale ha posto a fondamento della propria decisione in ordine alla mancanza di credibilità estrinseca dello stesso una fonte (rapporto EASO del giugno 2017) citandola in modo parziale, estrapolandone il contenuto in maniera poco chiara e parziale.

2. Il motivo è inammissibile.

Va osservato che, anche recentemente, questa Corte ha statuito che la valutazione in ordine alla credibilità del racconto del cittadino straniero costituisce un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito, il quale deve valutare se le dichiarazioni del ricorrente siano coerenti e plausibili, D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 3, comma 5, lett. c). Tale apprezzamento di fatto è censurabile in cassazione solo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 come omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, come mancanza assoluta della motivazione, come motivazione apparente, come motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile, dovendosi escludere la rilevanza della mera insufficienza di motivazione e l’ammissibilità della prospettazione di una diversa lettura ed interpretazione delle dichiarazioni rilasciate dal richiedente, trattandosi di censura attinente al merito. (Sez. 1 -, Ordinanza n. 3340 del 05/02/2019, Rv. 652549).

Nel caso di specie, il Tribunale di Venezia ha valutato le dichiarazioni del ricorrente tenendo ben presenti i parametri previsti dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5 essendo stati particolarmente analizzati i profili della plausibilità e della coerenza del racconto, evidenziando con ricchezza di particolari i punti nei quali il narrato del richiedente risultava privo di tali necessari requisiti.

D’altra parte, il ricorrente ha censurato in modo generico le obiezioni svolte dal giudice di primo grado al suo racconto senza confrontarsi minimamente con le articolate argomentazioni del decreto impugnato con le quali è stata evidenziata la genericità, l’incoerenza e le contraddittorietà delle sue dichiarazioni.

Il ricorrente, con l’apparente doglianza della violazione da parte del Tribunale di Venezia di una norma di legge, ovvero del citato art. 3, comma 5 legge cit. ha, in realtà, svolto – peraltro in modo assai generico – delle censure di merito, in quanto finalizzate a prospettare una diversa lettura delle sue dichiarazioni.

In proposito, questa Corte, sempre nella pronuncia n. 3340 del 05/02/2019 sopra citata, ha statuito che, in tema di ricorso per cassazione, il vizio di violazione di legge consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e implica necessariamente un problema interpretativo della stessa; l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è, invece, esterna all’esatta interpretazione della norma e inerisce alla tipica valutazione del giudice di merito, sottratta al sindacato di legittimità.

Infine, in ordine alla doglianza secondo cui il giudice di merito avrebbe valutato la mancanza di credibilità estrinseca del ricorrente citando il rapporto EASO del giugno 2017 in modo erroneo o solo parziale, estrapolandone il contenuto in maniera poco chiara e parziale, non vi è dubbio che anche con tale censura venga sollecitato un inammissibile sindacato sulla valutazione da parte del giudice di merito di una prova documentale.

3. Con il secondo motivo è stata dedotta la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 360, comma 1, n. 3 in relazione al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 2, comma 1 e art. 14, D.Lgs. n. 25 del 2008, artt. 3 e 8.

Lamenta il ricorrente di essere esposto al rischio individualizzato di subire un grave danno alla propria persona da parte della setta (OMISSIS), cui si aggiunge la minaccia di subire un grave danno derivante dalla violenza indiscriminata presente nella sua regione.

Si duole che i rapporti citati dal Tribunale riguardano la situazione specifica degli stati del nord, mentre nessun tipo di indagine è stato svolto con riferimento a quelli del sud della Nigeria, tra cui il (OMISSIS).

4. Il motivo è infondato.

In ordine al rischio di “grave danno” individualizzato alla persona del ricorrente proveniente dai membri della setta sopra indicata, va osservato che la violazione dell’art. 14, lett. a) e b) è esclusa dalla ritenuta non credibilità del ricorrente.

Con riferimento, invece, alla minaccia di subire un grave danno derivante dalla violenza indiscriminata presente nella sua regione, il giudice di merito, ha accertato, citando rapporti internazionali aggiornati, che solo nelle aree del nord-est della Nigeria, e, segnatamente, negli stati del (OMISSIS) vi è il pericolo di violenze ed attacchi indiscriminati contro la popolazione civile, mentre tale rischio non sussiste nella regione di provenienza del ricorrente. Si tratta di apprezzamento di fatto di esclusiva competenza del giudice di merito non censurabile in sede di legittimità (Cass. 12/12/2018 n. 32064).

Peraltro, la censura, così come quella secondo cui nella regione del ricorrente vi sarebbe, in realtà, una violenza diffusa ed indiscriminata, si appalesa come di mero merito, in quanto finalizzata a sollecitare una diversa valutazione del materiale probatorio esaminato dal giudice di merito, ed è come tale inammissibile in sede di legittimità (Cass. 8757/2017).

5. Con il terzo motivo è stata dedotta la violazione dell’art. 360 c.p.c., n. 4 in relazione all’art. 132, comma 2, n. 4 nonchè la nullità della sentenza per motivazione apparente in relazione al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 3, D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, D.Lgs. n. 25 del 2008, 8 comma, 3 bis.

Lamenta il ricorrente la natura apparente con cui il Tribunale ha rigettato la domanda di protezione umanitaria, omettendo di valutare le sue allegazioni in fatto da cui poteva desumersi la sua condizione di vulnerabilità, comprese le risultanze della perizia medica sulle cicatrici, che comunque documentavano una violenza dallo stesso subita.

E’ stata ingiustificatamente disattesa la documentazione relativa al percorso scolastico e lavorativo intrapreso in Italia.

6. Il motivo è infondato.

Va preliminarmente osservato che sebbene con l’entrata in vigore del D.L. n. 113 del 2018 sia stato soppresso l’istituto della protezione umanitaria, questa Sezione, con sentenza n. 4890/2019, nell’ambito del ricorso deciso all’udienza del 23 gennaio 2019 ed iscritto al n. R.G. 19651/2018 (Bandia Aliou c. Ministero dell’Interno) ha già elaborato il seguente principio di diritto: “La normativa introdotta con il D.L. n. 113 del 2018, convertito nella L. n. 132 del 2018, nella parte in cui ha modificato la preesistente disciplina del permesso di soggiorno per motivi umanitari dettata dal D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, e dalle altre disposizioni consequenziali, sostituendola con la previsione di casi speciali di permessi di soggiorno, non trova applicazione in relazione alle domande di riconoscimento di un permesso di soggiorno per motivi umanitari proposte prima dell’entrata in vigore (5/10/2018) della nuova legge, le quali saranno pertanto scrutinate sulla base della normativa esistente al momento della loro presentazione…”.

Ne consegue che questo Collegio, condividendo il principio di diritto sopra riportato, provvederà anche all’esame di questa domanda.

Orbene, ad avviso di questo Collegio, il Tribunale di Venezia non è incorso in una motivazione apparente nel negare il permesso umanitario.

Non vi è dubbio, infatti, che la ritenuta inattendibilità e non credibilità delle dichiarazioni del ricorrente, e, più in generale, la condizione soggettiva del richiedente, assuma un notevole rilievo ai fini della valutazione della situazione di vulnerabilità.

Questa Corte ha già affermato che, ai fini di valutare se il richiedente abbia subito nel paese d’origine una effettiva e significativa compromissione dei diritti fondamentali inviolabili, pur partendo dalla situazione oggettiva del paese d’origine, questa deve essere necessariamente correlata alla condizione personale che ha determinato la ragione della partenza. Infatti, ove si prescindesse dalla vicenda personale del richiedente, si finirebbe per prendere in considerazione non già la situazione particolare del singolo soggetto, ma piuttosto quella del suo paese d’origine in termini del tutto generali ed astratti, e ciò in contrasto con il parametro normativo di cui al D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6 (in questi termini sez. 1 n. 4455 del 23/02/2018).

E’ evidente, pertanto, che in un caso, come quello di specie, in cui il ricorrente non ha neppure allegato una grave e sistematica violazione dei diritti umani nella sua regione di provenienza, e la dedotta condizione di vulnerabilità si fonda sempre e solo sul rischio di danno grave proveniente dalla setta (OMISSIS), la valutazione di inaffidabilità e non credibilità del racconto del ricorrente assuma un rilievo dirimente nel mancato riconoscimento dei requisiti per la concessione della protezione umanitaria, con la conseguenza che il riferimento a tale profilo non rende certo apparente la motivazione.

Nè può rilevare in via esclusiva il livello di integrazione raggiunto dall’odierno nel paese d’accoglienza, elemento che, secondo la giurisprudenza di questa Corte, può essere sì considerato in una valutazione comparativa al fine di verificare la sussistenza della situazione di vulnerabilità, ma non può, tuttavia, da solo esaurirne il contenuto (vedi sempre sez. 1 n. 4455 del 23/02/2018).

Peraltro, il Tribunale ha altresì accertato che lo straniero è in buona salute ed in patria ha la madre e la sorella che possono prendersi cura del medesimo.

Il rigetto del ricorso non comporta la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, non essendosi il Ministero dell’Interno costituito in giudizio.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali che liquida in Euro 203,00, oltre S.P.A.D. oltre accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 13 marzo 2019.

Depositato in Cancelleria il 17 luglio 2019

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