Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 19143 del 02/09/2016
Cassazione civile sez. VI, 28/09/2016, (ud. 15/06/2016, dep. 28/09/2016), n.19143
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE T
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CIRILLO Ettore – Presidente –
Dott. CARACCIOLO Giuseppe – Consigliere –
Dott. NAPOLITANO Lucio – Consigliere –
Dott. FEDERICO Guido – Consigliere –
Dott. VELLA Paola – rel. Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 1 5301-201 5 proposto da:
GIMBO SRL UNIPERSONALE, in persona del legale rappresentante pro
tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA MERULANA 234, presso
lo studio dell’avvocato CRISTINA DELLA VALLE, che la rappresenta e
difende unitamente all’avvocato DARIO MORETTI giusta procura
speciale in calce al ricorso;
– ricorrente –
contro
AGENZIA DELLE ENTRATE (OMISSIS), in persona del Direttore pro
tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI, 12,
presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e
difende, ope legis;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 6511/2014 della COMMISSIONE TRIBUTARIA
REGIONALE di MILANO del 12/11/2014, depositata il 10/12/2014;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del
15/06/2016 dal Consigliere Relatore Dott. VELLA Paola;
udito l’Avvocato Cristina Della difensore della ricorrente che si
riporta agli scritti.
Fatto
FATTO E DIRITTO
La Corte, costituito il contraddittorio camerale sulla relazione prevista dall’art. 380 bis c.p.c., osserva quanto segue.
1. Con il primo motivo si deduce “nullità dell’avviso per mancanza di motivazione e violazione della L. n. 212 del 2000, art. 7, comma 1, parte seconda e del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 42, come modificato dal D.Lgs. n. 32 del 2001 in relazione all’art. 360 c.p.c. n. 3) e 4), in guanto “il provvedimento sanzionatorio contiene esclusivamente un rinvio recettizio a presunti verifiche verbali o contestazioni senza, peraltro, la minima indicazione nemmeno degli estremi e del loro contenuto essenziale”; inoltre, “l’Ufficio non ha fornito alcuna indicazione circa i presupposti e la modalità del recupero dei costi”.
2. Con il secondo mezzo si lamenta altresì la “nullità dell’avviso per mancato assolvimento dell’onere della prova in violazione dell’art. 2697 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3) e 4), nel senso che “l’avviso di accertamento deve essere annullato in quanto sfornito di prova alcuna”.
3. La terza censura è di “nullità dell’avviso perchè è onere dell’ufficio provare il fondamento della contestazione, ovverosia che le operazioni, in ogni caso e per quanto emerso incidentalmente, sono parzialmente o totalmente insistenti in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3) e 4)”; e ciò in quanto l’Agenzia delle entrate non avrebbe fornito “alcuna prova…. circa la fondatezza, in ogni caso, della contestazione astratta elevata”.
4. Tutti i motivi sono manifestamente inammissibili.
4.1. In primo luogo, essi sono palesemente rivolti a censurare non già la sentenza impugnata, bensì l’avviso di accertamento.
4.2. Inoltre, essi contengono cumulativamente ragioni di impugnazione eterogenee (errores in indicando e in procedendo), in contrasto con la tassatività dei motivi di ricorso ed il consolidato orientamento di questa Corte per cui una simile tecnica espositiva riversa impropriamente sul giudice di legittimità il compito di isolare le singole censure (ex plurimis, Cass. 5471/08, 9470/08, 19443/11, 21611/13, 19959/14, 22404/14, 25982/14, 26018/14, 5964/15).
4.3. Infine, il loro effettivo tenore rivela che, sotto l’apparenza di contestazioni in diritto, essi celano in realtà una contestazione sul merito della decisione, e segnatamente sulla valutazione del materiale probatorio acquisito agli atti del giudizio – peraltro operata in conformità dai giudici di entrambi i gradi di giudizio – in palese contrasto con il granitico orientamento di questa Corte per cui persino il controllo di adeguatezza e logicità della motivazione (nella forma più penetrante consentita prima della modifica dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5) non potrebbe mai tradursi nella revisione del ragionamento decisorio, altrimenti risolvendosi in una vera e propria riformulazione del giudizio di fatto, incompatibile con la funzione assegnata dall’ordinamento al giudizio di legittimità (cfr., ex plurimis, Cass. nn. 14233/15, 961/15, 959/15), spettando in via esclusiva al giudice di merito la selezione degli elementi del sud convincimento (cfr. Cass. nn. 962/15, 26860/14); il ricorso per cassazione invero, integrando un rimedio impugnatorio a critica vincolata ed a cognizione determinata dall’ambito dei vizi dedotti, non può costituire uno strumento per accedere ad un terzo grado di giudizio di merito, nel quale far valere la supposta ingiustizia della sentenza impugnata; di qui l’inammissibilità del ricorso che tenda a sollecitare una nuova valutazione di risultanze dì fatto sulle quali il giudice d’appello abbia espresso opzioni “non condivise e per ciò solo censurate, al fine di ottenerne la sostituzione con oltre più consone ai propri desiderata” (ex plurimis, Cass. s.u. n. 7931/13; Cass. nn. 12264/14 e 3396/15).
5. In ogni caso, dalla sentenza impugnata risulta ampiamente chiarito, tra l’altro, che “l’esito delle verifiche operate nei confronti delle fornitrici risulta essere stato utilizzato dall’Ufficio non come fonte probatoria, ma solo come segnalazione per avviare la fase istruttoria, nel corso della quale veniva acquisita alla documentazione prodotta dall’appellante; documentazione che, valutata alla stregua dei criteri di deducibilità fiscale dei componenti negativi di reddito ed art. 109 TUIR, costituisce l’unica fonte probatoria utilizzata dall’Ufficio, in quanto ha fornito gli elementi indiziali necessari e sufficienti per ritenere raggiunta, in assenza di adeguata giustificazione delle anomalie rilevate” – puntualmente riepilogate – “la prova positiva della non effettività delle prestazioni fatturate”.
6. In conclusione il ricorso va respinto, con condanna della ricorrente, in ragione della soccombenza, alla rifusione delle spese.
PQM
La Corte dichiara inammissibili i motivi di ricorso e condanna la ricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in Euro 4.000,00 oltre spese prenotate a debito. Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 – quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 – bis.
Così deciso in Roma, il 15 giugno 2016.
Depositato in Cancelleria il 28 settembre 2016